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23/03/2017

Hate speech e disabilità, quando l'odio corre sui social

Nell’era dei social media, sono sempre più numerosi i discorsi di istigazione all’odio: espressioni pericolose, notizie false, attacchi gratuiti alle persone a più elevato rischio di discriminazione. Martina Chichi (Carta di Roma): “Ripartire dalle scuole e migliorare la qualità dell’informazione”

Under Pressure - Spegna

L’origine, il colore, la lingua. La disabilità, la religione, il genere. Sono tanti i possibili ‘moventi’ alla base dell’hate speech, la diffusione online di discorsi di istigazione all’odio nei confronti di una persona o di un gruppo di persone percepiti come ‘diversi’. Espressioni illegali e pericolose alle quali si cerca di mettere un freno, impresa se non impossibile di certo molto difficile soprattutto oggi, l’era dei social media. «I social media hanno un ruolo rilevante. Plasmano l’opinione pubblica, sono considerati fonte di notizie, talvolta sono anche preferiti ai media tradizionali. È essenziale, di conseguenza, che rappresentino un mondo sicuro per tutti». A parlare è Martina Chichi del coordinamento dell’associazione Carta di Roma, nata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per un’informazione corretta sui temi dell’immigrazione.

 

Sono principalmente due, spiega Chichi, i grandi problemi legati all’uso dei social. In primis, possono essere veicolo di contenuti d’odio vero e proprio rivolti, nella maggior parte di casi, ai gruppi di persone a rischio più elevato di discriminazione. In secondo luogo, possono diffondere notizie false che rimbalzano proprio grazie alle dinamiche dei social media. «Va ammesso che la cultura digitale in ambito social procede, purtroppo a piccolissimi passi. Quello che riscontriamo, però, è la volontà sempre maggiore di collaborazione e confronto per trovare, insieme, soluzioni per un uso più corretto del mezzo».

 

AISM e la tutela giudiziaria contro le discriminazioni

Inclusione sociale, empowerment, centralità della persona con sclerosi multipla e contrasto della discriminazione a ogni livello sono i principi di uno dei punti dell'Agenda della SM 2020, nel quale emerge la necessità di intervenire sulle normative e sulle politiche per cambiare concretamente le ocndizione di vista delle persone con SM. Con questo obiettivo, e sulla base alla legge 67/2006 che contiene “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazione”, AISM (e le altre associazioni individuati dai Ministeri delle Pari opportunità e del Lavoro) è abilitata ad agire in giudizio per garantire parità di trattamento e pari opportunità alle persone disabili e il godimento dei diritti civili, politici, economici e sociali, di agire in nome e per conto della vittima della discriminazione, di intervenire nei giudizi per danno subito dalle persone con disabilità e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento degli atti lesivi dei loro interessi. L’Associazione può agire in relazione ai comportamenti discriminatori quando assumono carattere collettivo. «Le molteplici modalità di azione rendono evidente come si sia inteso garantire una diversificazione delle modalità di intervento – spiega Giulia Flamingo dell’Ufficio legale di AISM – per rispondere alla molteplicità di situazioni che potrebbero prospettarsi in concreto».

 

Quel linguaggio intollerante
Come spiega il Quarto rapporto Carta di Roma, nel 2016 sui social media si è assistito alla proliferazione di linguaggi profondamente intolleranti. Su Twitter, per esempio, si è assistito a una “sguaiata deumanizzazione del linguaggio”. Secondo i rapporti più recenti dell’Odihr (Office for Democratic Institutions and Human Rights), i crimini di odio segnalati da fonti ufficiali italiane sono stati 56 nel 2010, 472 nel 2013 e 596 nel 2014, cui si aggiungono, per il solo 2014, 114 casi segnalati dalle organizzazioni della società civile. Tra il settembre 2010 e il novembre 2014 l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ha ricevuto 1.187 segnalazioni, delle quali 583 sono state riconosciute come reati di odio. Guardando al ‘movente’, prevalgono i delitti che hanno avuto una matrice razzista o “etnica” (61,4%) o uno sfondo religioso (19,8%). Gli altri delitti segnalati sono riconducibili all’orientamento sessuale (15,7%), alla disabilità della vittima (1,9%) o all’identità di genere (0,69)%. Come evidenziato in molte ricerche, solo una parte dei delitti di odio effettivamente perpetrati trova un riscontro nelle statistiche ufficiali.

 

L’assenza di spirito critico
«Le ricerche che abbiamo condotto dimostrano che telegiornali e quotidiani nazionali non sono direttamente promotori di messaggi d’odio, ma non offrono un’informazione abbastanza precisa e accurata, alimentando così, sebbene indirettamente, il clima di intolleranza che ci circonda – continua Chichi –. Quello che sicuramente manca è un maggiore spirito critico da parte dei giornalisti: di fronte ai messaggi d’odio espliciti di tanti politici, dovrebbero intervenire con più vigore, ponendo e ponendosi molte più domande».

 

I giovani rischiano di essere maggiormente esposti all’hate speech sia per il massiccio uso che fanno dei social, sia per le poche situazioni che hanno a disposizione per prendere consapevolezza del discorso d’odio. Così, per l’associazione Carta di Roma è necessario ripartire dal sistema scolastico, tra i primi soggetti chiamati a promuovere un’educazione ai media, tradizionali e non. «Ma anche i media dovono normarsi e puntare sulla qualità dei contenuti. Se ci si abitua a un basso livello di informazione, poi difficilmente si sarà in grado di discernere tra contenuti di buona e di cattiva qualità».

 

Il tema dell'esclusione sociale delle persone con disabilità è al centro dell'inchiesta pubblicata sul primo numero del 2017 di SM Italia, che potete leggere anche su Medium.

 

Nella foto: un'immagine dal reportage Under Pressure - Living with MS in Europe. ©2011, Lurdes R. Basoli, UNDER PRESSURE

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SM Italia 1/2017