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13/07/2017

“Battesimo scientifico” per il network italiano delle immagini di risonanza magnetica dedicato alla SM

Una recente pubblicazione racconta lo stato dell'arte e le prospettive dell’iniziativa promossa da AISM e la sua Fondazione. Una banca dati specifica per la sclerosi multipla. L'intervista

 

INNI, il Network Italiano di Neuroimmagini, finanziato da AISM e la sua Fondazione FISM e coordinato dal professor Massimo Filippi (Università Vita e Salute, San Raffaele Milano), è giunta al ‘battesimo scientifico’ con la recente pubblicazione del primo articolo su Neurological Sciences, la rivista della Società Italiana di Neurologia [1]. «Si tratta – dice il professor Filippi – di una banca dati specifica per la sclerosi multipla, che raccoglie immagini di risonanza magnetica di alta qualità e i rispettivi risultati. A oggi vi sono registrati i dati di circa 1.500 soggetti, 1.050 persone con sclerosi multipla e 450 soggetti sani. I dati sono raccolti in 4 Centri italiani - a Napoli, Roma e Siena, oltre al nostro di Milano - da ricercatori con una competenza riconosciuta sia a livello italiano che internazionale».

Promossa da AISM con la sua Fondazione, INNI rappresenta la prima iniziativa di questo tipo nel campo della sclerosi multipla, ispirata da un’analoga iniziativa nell’ambito della malattia di Alzheimer [2]. Ai dati di risonanza si aggiungono, in forma anonima, anche i dati demografici e clinici (ad es., data e tipo di diagnosi, date delle ricadute, data di evoluzione da forma remittente a forma progressiva, punteggio di disabilità sulla scala EDSS, trattamenti modificanti malattia e trattamenti sintomatici utilizzati) e neuropsicologici. Abbiamo chiesto al professor Filippi, che ha ideato e condotto questo progetto di ricerca, di aiutarci a capire da dove si è partiti, dove si è arrivati e dove si intende andare con questa innovativa banca dati di risonanza magnetica.

 

Anche se sembra banale chiederlo, professore, perché la risonanza magnetica è diventata così importante per la sclerosi multipla?
«Innanzitutto, vale la pena di ricordare che la risonanza magnetica non è un esame ma consiste in un insieme di diverse tecniche che ci consentono di descrivere una sorta di quadro anatomo-patologico in vivo della malattia: un quadro molto vicino alla realtà patologica, che un tempo si poteva osservare solo con studi post-mortem. Queste tecniche di risonanza magnetica consentono di diagnosticare precocemente la malattia e di monitorarne l’evoluzione».

 

INNI raccoglie anche dati da tecniche avanzate di risonanza magnetica. Senza entrare in dettagli ‘da addetti ai lavori’, ci spiega quali sono e quali conoscenze in più ci permettono di acquisire rispetto alle tecniche convenzionali?
«In generale, l'applicazione di tecniche moderne di risonanza magnetica sta migliorando la comprensione dei meccanismi che comportano danni ai tessuti, che stanno alla base della riparazione di tali danni e all'adattamento funzionale nella SM, oltre che dei meccanismi responsabili dell'accumulo di deficit clinici irreversibili. Rispetto a quelle tradizionali, le nuove tecniche danno oggi un quadro ancora più completo e “microstrutturale” delle lesioni della malattia, poiché ci permettono di studiare anche il danno presente nel tessuto nervoso centrale che non sembrerebbe essere coinvolto da lesioni macroscopiche sulle sequenze convenzionali: possiamo cioè quantificare il danno presente nella cosiddetta sostanza bianca apparentemente normale e nella sostanza grigia dell’encefalo e del midollo spinale. È dunque possibile caratterizzare il danno nelle lesioni visibili assieme all’eventuale presenza del danno esterno alle lesioni, nonché un dato generale come l’atrofia cerebrale, ossia l’entità complessiva della perdita di tessuto cerebrale. A queste tecniche possiamo aggiungere anche la risonanza magnetica funzionale, che offre informazioni su come il cervello si organizza a seguito del danno, fornendo così un dato in positivo sulla capacità del sistema nervoso centrale di reagire all’accumulo del danno associato alla SM».

 

I Centri SM italiani coinvolti nel progetto INNI
Oltre all’Unità di Ricerca di Neuroimaging dell’Istituto Scientifico e Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, sono coinvolti nella raccolta dati di INNI i Centri SM del Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Università La Sapienza di Roma; il Dipartimento di Scienze Neurologiche, II Università di Napoli/Istituto Neurologico di Diagnosi e Cura “Hermitage” Capodimonte;  e il Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Neuroscienze Università di Siena.

 

A cosa serve, dentro INNI, rilevare i dati di risonanza magnetica di soggetti sani, se è la SM che si vuole conoscere?
«L’entità del danno causato da una malattia si coglie con maggiore precisione nel confronto con la situazione di chi è sano: a parte le lesioni tipiche della sclerosi multipla, se vogliamo sapere se la sostanza bianca apparentemente normale sia alterata o meno, occorre conoscere come ‘sta’ la sostanza bianca in persone che non hanno alcuna patologia. Inoltre, avere un dato di riferimento in soggetti sani, dato che non dovrebbe modificarsi nel giro di due o tre anni, consente una sorta di controllo di qualità per capire se nei pazienti si stanno verificando modifiche dovute a una reale modificazione della patologia e non a un errore di misurazione».

 

E tutte queste conoscenze a cosa devono servire? Quali, in particolare, gli obiettivi di INNI?
«Primo scopo di INNI è quello di “costituirsi”, ossia di raccogliere in unità numerosi dati di qualità raccolti tramite risonanza magnetica, favorendo, tra le altre cose, l’introduzione di nuove tecniche più avanzate e la possibilità da parte di ricercatori e ricercatrici di proporre nuovi protocolli di studio su immagini già acquisite. Gli studi di risonanza, sinora, possono utilizzare un numero limitato di casi e di immagini: diverso è arrivare a nuove scoperte su 30 soggetti o su 1.500, la solidità delle conclusioni è chiaramente differente. L’iniziativa intende inoltre omogeneizzare progressivamente, almeno sul territorio nazionale, i modelli di acquisizione e l’uso di tali dati per definire il ruolo dei biomarcatori clinici, neuropsicologici e di imaging (tra cui la trattografia con tensore di diffusione e la risonanza magnetica funzionale a riposo) per comprendere meglio la fisiopatologia della sclerosi multipla».

 

Come ricorda l’articolo da voi pubblicato, l’utilizzo delle nuove tecniche di risonanza non è attualmente diffuso ovunque e le modalità del loro utilizzo non sono ancora standardizzate: che si deve fare per migliorare?
«INNI punterà a sviluppare prossimamente un protocollo di acquisizione standardizzato di tecniche avanzate di risonanza magnetica strutturale e funzionale da applicare allo studio delle persone con sclerosi multipla. Il network, inoltre, è pronto ad aiutare i diversi Centri SM italiani nell’implementazione ed esecuzione di questo protocollo. Infine siamo disponibili a formare i neurologi coinvolti nella cura delle persone con SM nell'uso, nella valutazione e nell'interpretazione di informazioni derivate da tecniche avanzate di risonanza magnetica».

 

Oltre che nella ricerca scientifica, queste nuove tecniche di indagine potranno entrare nell’uso clinico quotidiano per le persone con SM? Quando?
«Diversi anni fa, quando la risonanza magnetica fu introdotta nell’arena clinica ci si chiedeva, ad esempio, se il mezzo di contrasto avrebbe avuto o meno un futuro; ormai credo che ci siano pochi dubbi al proposito. Ritengo pertanto che qualcosa di analogo succederà nei prossimi anni per le nuove tecniche di risonanza magnetica, grazie all’avanzamento scientifico da un lato e alla progressiva “education” della comunità neurologica dall’altro. Penso infine che molte tecniche siano già pronte per un uso clinico, in primis la diffusione, le tecniche di trasferimento di magnetizzazione e quelle che misurano l’atrofia».

 

INNI, oggi, è un progetto della comunità scientifica che ha come primo scopo quello di favorire la ricerca. Perché un’iniziativa come questa può interessare ed essere importante per le persone con SM?
«Prima di tutto perché questi esami non vengono fatti specificamente per il database; sono esami che le persone con SM farebbero comunque per seguire nel tempo l’evoluzione della malattia: il database dunque non costituisce un peso in più per le persone con SM, ma uno strumento che valorizza al meglio ciò che già si fa e si deve fare. Invece che avere dati sparsi in giro per l’Italia li mettiamo in uno stesso “contenitore”. Inoltre, proprio perché si uniscono le forze si possono realizzare ricerche importanti per le persone con SM, per esempio sui meccanismi di accumulo del danno. Il nostro gruppo, per citare un esempio, ha pubblicato una ricerca che dimostra in 73 pazienti seguiti in media per 13 anni che è il danno a carico della sostanza grigia encefalica il principale fattore associato all’accumulo a lungo termine della disabilità locomotoria e delle difficoltà cognitive [3]. Più di recente, insieme ai ricercatori del Mount Sinai di New York e dell’Università di Belgrado, abbiamo pubblicato uno studio che ha osservato, durante 5 anni, il ruolo della riserva cognitiva nel contrastare la progressione di disabilità in 52 pazienti [4]. Credo che sia facile comprendere l’importanza di queste osservazioni e, di conseguenza, la necessità di ottenere certezze solide in questi campi: INNI fornirà anche questo e penso che sia qualcosa che dovrebbe rassicurare le persone con SM circa la possibilità di approntare efficaci piani personalizzati di trattamento. Terzo aspetto di interesse per le persone con SM è che se si riuscirà ad omogeneizzare l’acquisizione degli esami di risonanza magnetica sul territorio nazionale questo sarà di vantaggio immediato per i pazienti stessi».

 

Tornando dal nostro giro d’Italia a INNI, è chiaro che questo non può essere un semplice progetto di ricerca che inizia e finisce: per adempiere il suo scopo deve continuamente essere implementato. Cosa si deve fare per riuscirci?
«Questa è sostanzialmente una scelta economico-politica: si tratta di decidere, da parte della comunità scientifica, delle Università, della stessa FISM che è davvero importante per la ricerca e la presa in carico clinica delle persone con SM che questo database sia costantemente “aggiornato”. Se si decide di investire in questo ambito, poi ci sono tutte le competenze scientifiche per formare giovani ricercatori nelle scuole di specialità, nei dottorati, nei post- dottorati».

 

Nella foto: il Prof. Massimo Filippi, Università Vita e Salute, San Raffaele Milano.

 

Il tema della ricerca e della condivisione dei dati nell'Agenda della Sclerosi Multipla 2020

La ricerca scientifica è uno dei punti fondamentali dell'Agenda della SM: Sviluppare l’eccellenza della ricerca sulla SM e trasformarla in salute e qualità di vita per la persona con sclerosi multipla. Una della priorità di questo punto, poi, affronta direttamente il tema della condivisione dei dati tra gli enti coinvolti nella SM, per la ricerca: "Condivisione dei dati, da parte delle Istituzioni pubbliche, strutture di ricerca, rete dei Centri clinici di riferimento per la SM, insieme ad AISM e alla sua Fondazione, per la ricerca epidemiologica, clinica e socio-sanitaria"

 

In quest'ottica, il database di INNI si connette con altri percorsi che AISM sta sostenendo per la costituzione di banche dati sempre più consistenti in modo da ottenere un quadro sulla reale situazione della sclerosi multipla in Italia. In particolare, va ricordato il progetto del Registro Italiano di Sclerosi Multipla giunto oggi a inserire un set di dati di circa 45.000 persone seguite da 62 Centri SM distribuiti su tutto il territorio nazionale. Il database di PROMO PRO-MS, curato direttamente dai ricercatori di AISM e la sua Fondazione, contiene i dati di questionari centrati sulla prospettiva del paziente (patient’s reported outcome) rispetto ai trattamenti terapeutici e riabilitativi, database che oggi contiene dati di circa 1.500 persone con SM seguite nei Centri riabilitativi AISM.

Per saperne di più sull'Agenda della SM 2020

 

 

Note


[1] Filippi M, Tedeschi G, Pantano P, De Stefano N, Zaratin P, Rocca M A, for the INNI Network. The Italian Neuroimaging Network Initiative (INNI): enabling the use of advanced MRI techniques in patients with MS. Neurol Sci (2017), 38: 1029–103.

 

[2] ADNI, Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative.

 

[3] Filippi M, Preziosa P, Copetti M, Riccitelli G, Horsfield MA, Martinelli V, Comi G, Rocca MA. Gray matter damage predicts the accumulation of disability 13 years later in MS. Neurology (2013), 81(20):1759-67.

[4] Sumowski JF, Rocca MA, Leavitt VM, Meani A, Mesaros S, Drulovic J, Preziosa P, Habeck CG, Filippi M. Brain reserve against physical disability progression over 5 years in multiple sclerosis. Neurology (2016), 86(21):2006-9.