Attraverso l'esperienza del Servizio civile tantissime persone si sono avvicinate ad AISM e al mondo della SM. Per fare il punto su questo importante istituto, in occasione del mese del volontariato, abbiamo intervistato Licio Palazzini, Presidente della CNESC
Nella foto: Licio Palazzini, Presidente CNESC
Uno dei modi di essere volontari in Associazione è sicuramente il servizio civile, un'esperienza che da anni rende migliore chi la fa e che si è sempre rivelata una risorsa notevole per le persone con SM, le Sezioni territoriali, la capacità di AISM di essere davvero vicina a tutti coloro che hanno la sclerosi multipla ovunque vivano. Un'esperienza anche appassionante: lo dimostra il fatto che molti e molte giovani che hanno vissuto il servizio civile in Associazione poi sono rimaste legate alla causa della SM, talora assumendo anche ruoli e cariche importanti in AISM. Per uno sguardo complessivo sul valore, i significati, e le nuove prospettive del Servizio Civile volontario oggi in Italia abbiamo intervistato Licio Palazzini, attuale Presidente di CNESC, Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile, cui anche AISM aderisce.
Dottor Palazzini, come sta andando il Servizio civile?
«C'è una pluralità di approcci tra loro differenti tra Regioni, Stato, associazioni, comuni, Asl. E poi ci sono giovani, che hanno loro prospettive e aspettative. Questa pluralità è un dato connaturato al servizio civile, non solo in Italia, ma anche in USA, Germania, Francia - queste le altre esperienze che hanno numeri significativi di servizio civile nazionale -. Da una parte è un punto di forza, perché indica interesse da parte di diversi mondi, e dall'altra è un elemento di debolezza, perché tanti disaccordi non fanno un concerto».
E lei, nella pluralità delle idee e delle esperienze, come lo legge?
«Secondo noi di CNESC il cuore, il centro da cui tutto parte sta nella cultura e nelle capacità delle persone. Dire 'tutto parte dalle persone' significa che possiamo avere comunità povere da un punto di vista economico ma molto coese dal punto di vista sociale, perché gli abitanti e le persone di quella comunità hanno sviluppato capacità di relazione, di solidarietà, di intraprendenza comune. Oppure possiamo avere comunità che, pur economicamente molto ricche, sono poi devastate dal punto di vista sociale, prive di reti civiche di comunità. Secondo noi il servizio civile deve essere lo strumento pubblico che dota il nostro paese e in prospettiva l'unione europea di persone disponibili a impegnarsi nella comunità, pronte ad affrontare le sfide anche positive che nella propria comunità si manifestano, formate a vivere questo impegno con un'ottica nonviolenta, aumentando anche la sicurezza delle comunità».
Ci racconta una storia, un'esperienza che possa in qualche modo rappresentare questa visione del servizio civile?
«Ricordo un ragazzo di 22 anni, che non aveva neppure terminato la secondaria superiore e si trovava a fare parte di un progetto per il recupero di un sistema di mulini del suo territorio. Dopo alcune settimane di spaesamento, una volta tirò fuori il suo 'capitale nascosto': lui abitava in quella frazione e, a differenza degli altri, conosceva a menadito non solo la storia del mulino scritta sui libri, ma anche alcune famiglie e persone anziane che avevano contribuito a mandare avanti quel mulino. Nell'arco di un pomeriggio scoprì cosa voleva dire stare al centro dell'attenzione e dell'interesse e avere un valore da condividere. Da parte degli altri tre ci fu, in parallelo, la scoperta di cosa sapeva quello che sembrava meno dotato. Alla fine dell'anno di servizio civile Paolo - questo il suo nome – curò la parte dei dialoghi con le famiglie che abitavano nelle zone in cui si trovavano i mulini, mentre gli altri tre avevano curato la parte architettonica, storica, economica. Senza Paolo probabilmente, le interviste non avrebbero avuto quell'immediatezza e originalità. L'esperienza del servizio civile serve per scoprire se stessi e il proprio valore per la comunità».
La nuova riforma governativa del servizio civile promette realmente di migliorare il servizio? Quali i punti di forza e quelli di criticità di questa riforma? Perché la politica a lungo è sembrata volere affossare questa esperienza, che problemi creava il servizio civile alla classe politica?
«Nelle parole scritte nel testo di Legge Delega trasmesso dal Governo al Parlamento vedo pochi elementi critici e vedo anzi una grandissima opportunità di fare diventare quella che sino ad oggi per noi è stata una ricchezza ma per pochi, un valore per tanti. Rispondendo alla seconda parte della domanda posso ipotizzare che si sia pensato che l’impegno civico fosse una questione privata dei singoli cittadini e delle organizzazioni, al massimo da “riconoscere”, invece che un asset pubblico da sostenere. E qui entra in campo il servizio civile».
Il punto di forza è l'intenzione di farne un istituto universale?
«Sì diciamo che il testo della legge delega offre l'opportunità di estendere nella maniera più ampia possibile gli arricchimenti che il servizio civile genera. Intendo arricchimenti sia relativi ai percorsi personali di vita che ai bisogni delle organizzazioni e delle istituzioni che fruiscono del servizio civile. Nella storia della Repubblica è la prima volta che il Presidente del Consiglio e il Governo intervengono in questo senso sul servizio civile volontario, con la proposta del Governo di farne un'esperienza per 100 mila giovani ogni anno».
Quali, invece, gli aspetti problematici del nuovo disegno di servizio civile?
«Resta in ombra il finanziamento: anche nell'ultimo testo di Legge delega si dice che le varie leggi di stabilità indicheranno come finanziare il servizio civile. E questo non va bene: abbiamo chiesto da tantissimo tempo che si sia una programmazione delle risorse almeno triennale. Altro problema: nel disegno di legge delega non si dice niente della riorganizzazione delle funzioni tra Stato e Regioni. Questo ha pesato in modo negativo sull'esperienza pratica del servizio civile attuale. Col risultato che invece di mettere insieme 21 intelligenze, 1 Stato e 20 Regioni, ci sono stati 21 conflitti. Se questi 21 conflitti sono stati pesanti su un'esperienza che nel massimo di ampiezza ha riguardato 45 mila persone all'anno - ora non lo è neanche per 20 mila -, non ci possiamo permettere di mantenere lo stesso scenario in un servizio civile per 100 mila persone».
Cosa succederà per eventuali cittadini stranieri che volessero fare questa esperienza in Italia o per i giovani italiani che volessero fare il servizio civile in altri Paesi d'Europa?
«L'apertura o meno del servizio ai cittadini stranieri della partecipazione al servizio civile rimane indecisa. Noi siamo per aprire servizio civile anche ai cittadini stranieri, a maggior ragione se il Governo dice di volere il servizio civile europeo. Per questo servizio civile europeo non si possono mantenere paletti e vincoli legati alle singole nazioni. Sono i giovani stessi che ci chiedono in tutte le occasioni di potere avere opportunità di sperimentare almeno una parte dell'anno di servizio civile all'estero, per capire come le stesse cose vengono o non vengono fatte in altre nazioni di Europa».
Dal suo punto di vista di adulto, il servizio civile consente a un giovane di scoprire se stesso e di essere un cittadino attivo. Ma cosa chiedono loro, i giovani al servizio civile?
«In Arci Servizio Civile dove lavoro, ogni anno, dal 2005, sottoponiamo a tutti i giovani un momento di monitoraggio attorno al quinto sesto mese di servizio. Una delle domande riguarda proprio questo tema: perché hai fatto la domanda di servizio civile. Proponiamo di scegliere tra diverse risposte: esigenze formative, esigenze di uscire-rompere col proprio ambiente - crescita personale; per avere del denaro; per trovare lavoro o altro. Anche i giovani del 2014 continuano a mettere al primo posto l'esigenza di formazione e al secondo l'occasione di crescita personale, mettendo al quarto posto il bisogno di ricevere dei soldi. Però poi quando parlo con gli adulti, anche delle organizzazioni che fruiscono del servizio civile, mi dicono che i giovani lo fanno soprattutto perchè gli servono soldi. Ammesso che è legittimo che i soldi servano, anche a un giovane, stona comunque la differenza di priorità tra quello che dichiarano i giovani e la percezione che ne hanno gli adulti. Non so dunque se noi adulti che gestiamo enti, associazioni, istituzioni parliamo veramente con i ragazzi. Credo sia determinante farlo».
Che tipo di cittadino e di società costruisce il servizio civile volontario?
«Quando le organizzazioni fanno bene il loro mestiere, il servizio civile organizza una comunità con persone che hanno imparato a fare cose concrete. In secondo luogo, un buon servizio civile ha contribuito a fare capire a quelle persone che sanno fare bene quelle cose concrete che il mondo non finisce in quello che fanno, ma che c'è anche il mondo dell'impegno nella propria comunità. Terzo passo: è inutile che tu sappia fare bene cose concrete, e che tu sia un bravo cittadino nella tua comunità se poi non alzi la testa e non vedi quello che ti gira intorno. Secondo me il servizio civile serve per queste tre scoperte. E sono grandi, scoperte, per tutti».
Giuseppe Gazzola