Nella foto: Matilde Inglese, Professore Associato di Neurologia, Radiologia e Neuroscienze presso la Mount Sinai School of Medicine, NY
Parte oggi per La Gardenia dell'AISM una serie di interviste a ricercatrici che lavorano sulla SM. Il punto di vista femminile sulla ricerca inizia da Matilde Inglese, esperta di risonanza magnetica, Professore Asosciato di Neurologia, Radiologia e Neuroscienza a New York
Quest'anno in occasione de La Gardenia dell’AISM, per le tante donne che ogni giorno lottano e vivono fino in fondo la propria vita oltre la SM, a fianco della sensibilizzazione per sostenere la ricerca sulla SM, abbiamo cercato alcune delle ricercatrici che collaborano con AISM per farci raccontare con semplicità quanto è importante la ricerca nel loro essere persone e donne. E per capire come e quanto la ricerca delle donne ricercatrici dell’AISM possa cambiare la vita di tante altre persone, donne e uomini, senza distinzioni. Perché se la ricerca è donna, allora è generosa con tutti, aperta a generare vita nuova senza distinzioni né confini di genere, età o nazione.
Apriamo la serie di interviste con Matilde Inglese: laureata in Medicina con specializzazione in Neurologia all’Università di Genova, dopo aver effettuato il post-dottorato in neuro-imaging presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, è andata a fare ricerca a New York, dove oggi è Professore Associato di Neurologia, Radiologia e Neuroscienze presso la Mount Sinai School of Medicine. È membro della American Academy of Neurology e della Società Internazionale di Risonanza Magnetica in Medicina. È autore e co-autore di diversi contributi in ambito neurologico e radiologico pubblicati in letteratura scientifica. Ha redatto anche molti capitoli di libri scientifici sugli aspetti di ricerca clinica e di base della sclerosi multipla.
Professoressa Inglese, ci descrive brevemente l’ambito di ricerca di cui si occupa?
«La ricerca di cui mi occupo si basa sull’uso della risonanza magnetica (RM) ad alto campo come strumento per monitorare i processi patologici che caratterizzano le persone con SM e per capire i meccanismi che determinano la progressione della malattia. Grazie alla sua natura non-invasiva la RM permette di aprire, idealmente, una finestra sul cervello e osservare e misurare l’impatto clinico di processi degenerativi e riparativi che sarebbero altrimenti inaccessibili».
Ci può parlare di uno studio in particolare, tra quelli che ha recentemente realizzato?
«Uno degli studi in corso nel nostro laboratorio al Mount Sinai, in collaborazione con il centro SM diretto dal professore Lublin, punta a identificare marcatori di progressione in persone con malattia primariamente progressiva (PP) usando nuove tecniche di RM. Questa forma di SM è meno frequente di quella a ricadute e remissioni (RR), ma ha una prognosi più severa e, a differenza della forma RR, nessuna delle terapie disponibili è efficace. Gli studi per nuove terapie per le forme progressive di SM incontrano ancora oggi una seria difficoltà, anche perché i marcatori di RM che si sono dimostrati utili a monitorare la risposta terapeutica in persone con SM-RR – come per esempio il numero di lesioni cerebrali nuove - non funzionano in persone con SM-PP perché questi pazienti sviluppano meno lesioni cerebrali».
Quale dunque l’importanza innovativa e utilità delle vostre ricerche per le persone con SM?
«Noi speriamo che la nostra ricerca condurrà all’identificazione di nuovi marcatori di RM indipendenti dal numero di lesioni, più sensibili nel mostrare adeguatamente i processi patologici tipici della malattia nella forma PP, facilitando cosi la sperimentazione e selezione di nuove ed efficaci terapie».
Esiste un filo rosso ‘al femminile’ che l’ha portata a scegliere di dedicarsi alla ricerca sulla sclerosi multipla?
«Sono cresciuta professionalmente nell’ambiente dell’Università di Genova e poi dell’ospedale San Raffaele di Milano, dove la ricerca sulla SM è sempre stata condotta ad alti livelli. Questo ambiente privilegiato è stato sicuramente uno stimolo fondamentale per la mia scelta di dedicarmi alla ricerca, ma credo che l’elemento determinante sia stato l’incontro con le persone colpite dalla malattia. Molte di loro sono giovani donne poste a confronto con una malattia che ha un forte impatto sulla vita, da diversi punti di vista. Mi ha sempre colpito, sia pure nella diversità delle storie, lo straordinario coraggio che accumuna le donne nell’affrontare la malattia. Questo coraggio è una forte motivazione a cercare le risposte che ancora mancano».
Come le sembra che il suo impegno nella ricerca costruisca qualità di vita per lei e per le donne con sclerosi multipla?
«Non potrei immaginare una vita senza ricerca. Fare ricerca è per me irrinunciabile e conferisce sicuramente qualità alla mia vita, indipendentemente dal fatto di essere donna. Sono convinta che il significato del fare ricerca sia completamente libero da criteri di genere, età, provenienza geografica. Penso, tuttavia, che le donne contribuiscano con una prospettiva speciale e complementare a quella degli uomini in diversi ambiti della ricerca biomedica e in particolare in malattie che, come la SM, colpiscono soprattutto le donne. Credo profondamente nel significato della partecipazione delle donne nelle attività di ricerca e mi auguro che un numero sempre maggiore possa trovare ispirazione e realizzazione nella ricerca sulla SM, così come è successo a me».
Giuseppe Gazzola
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