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Giurisprudenza del diritto al lavoro in ambito di SM e analisi CCNL in materia di SM, gravi patologie, disabilità

 

Inclusione e partecipazione

Trovare e mantenere il lavoro

Approfondimenti Barometro della sclerosi multipla e patologie correlate 2023

 

La sensibilizzazione sui temi dell’inclusione, dell’idoneità alla mansione, degli accomodamenti ragionevoli e, più in generale, degli istituti a tutela e sostegno del lavoratore con disabilità o del lavoratore familiare di persona con disabilità si traduce nel sempre maggiore numero di pronunce giudiziali aventi a oggetto proprio questi temi.

 

Il formarsi di giurisprudenza sul punto è quindi emblematico e significativo dell’evoluzione che si sta registrando anche nei tribunali italiani. Da un’iniziale sottovalutazione, per esempio, del tema degli accomodamenti ragionevoli, si sta ora registrando una sempre maggiore attenzione verso tale istituto, che viene sempre più “maneggiato” dagli addetti ai lavori come reale strumento di attuazione ed esercizio dei diritti delle persone con disabilità in ambito lavorativo.

 

È dunque da segnalare la recente sentenza n. 168 del 17 gennaio 2023 della Corte di Appello di Napoli, Sezione Lavoro, dinanzi alla quale la società datrice di lavoro aveva impugnato la sentenza del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda di licenziamento discriminatorio ex art. 1 del D. Lgs. n. 216/2003, ritenuto accertato nell’ambito di un licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato a una lavoratrice con sclerosi multipla sul presupposto che la società datrice di lavoro non avesse adottato i dovuti accorgimenti di cui al D. Lgs. n. 216/003.

 

In primo grado era stato ritenuto che applicare indistintamente la disciplina del licenziamento per superamento del periodo di comporto, sia nei confronti dei lavoratori affetti da patologie transitorie che di quelli divenuti, nel corso del rapporto di lavoro, disabili per malattia grave e irreversibile, rappresenti una forma di discriminazione indiretta (tra le altre cose, la società datrice di lavoro, affermava come il «datore di lavoro non poteva farsi carico sine die delle conseguenze delle malattie invalidanti»).

 

La Corte di Appello ha quindi affermato che le parti sociali che hanno stipulato il CCNL, nel non aver contemplato un regime differenziato del periodo di comporto per malattie connesse allo stato di handicap (eventualmente prevedendo per i disabili un periodo di comporto più lungo), hanno posto in essere una discriminazione indiretta, equiparando in modo non consentito lo stato di handicap (caratterizzato da una menomazione permanente non destinata alla guarigione ma, nella maggior parte dei casi, al peggioramento dei postumi) a una comune malattia (intesa come episodio di inabilità temporanea destinato alla guarigione).

 

La Corte di Appello di Napoli ne ha così concluso che una simile discriminazione indiretta è tale da provocare, come ritenuto peraltro dal primo giudice, la nullità del licenziamento disposto dalla società datrice di lavoro.

 

Ecco allora che torna ancora una volta in primo piano l’importanza della contrattazione collettiva quale concreta e spesso risolutiva forma di tutela. La contrattazione collettiva si è infatti evoluta nel tempo introducendo via via importanti differenziazioni per situazioni in cui il lavoratore venga colpito da gravi malattie spesso croniche e invalidanti che, pertanto, vengono assoggettate a una disciplina speciale, di maggior tutela rispetto alle altre malattie croniche che evolvono rapidamente in una completa guarigione.

 

Per taluni aspetti correlata alla sopra citata pronuncia, ma enucleativa di ulteriori importanti principi, è poi la sentenza n. 2305 del 31 maggio 2021 del Tribunale di Palermo, Sezione Lavoro, con la quale, dopo aver affermato, che in assenza di una clausola di contratto collettivo applicabile, per la nullità di quella che ometta la previsione di un trattamento differenziato per i disabili assunti come invalidi civili, deve essere applicato ai fini del calcolo del periodo di comporto il principio legislativo, ricavabile dall’art. 2 D. Lgs. n. 216/2003 secondo cui non possono essere computate nel periodo di comporto le assenze per malattia effettuate dal disabile assunto come invalido civile che dipendano da una delle patologie che ne hanno determinato l’invalidità, principio che risponde all’obbligo di non discriminazione e che certamente risponde a equità.

 

Nel caso in questione tanto più che risultava dimostrato che i suddetti giorni di malattia erano stati conseguenza della violazione da parte del datore di lavoro della normativa a tutela del lavoratore disabile e in generale dell’art. 2087.

 

Nella specie, quindi, il Tribunale ha dichiarato che dovessero essere detratti dalle assenze per malattia valutabili ai fini della maturazione del periodo di comporto tutte quelle effettuate dal lavoratore, perché tutte discendenti dalla patologia invalidante che lo affliggeva e tutte causate dalla condotta del datore di lavoro, che era perfettamente a conoscenza della disabilità del lavoratore e delle sue caratteristiche specifiche.

 

Così facendo ne era disceso che scomputando dal periodo di comporto le assenze predette, il lavoratore non aveva mai effettuato neppure un giorno di malattia valutabile ai fini del comporto. Il licenziamento era dunque stato dichiarato nullo.

 

Un’altra interessante pronuncia è l’ordinanza del Tribunale di Genova del 3 giugno 2021 con la quale è stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato a un lavoratore dichiarato parzialmente inidoneo alla mansione in quanto discriminatorio . Il Giudice di Prime cure ha affermato come «La società [….] si è limitata a raffrontare lo stato di idoneità parziale del lavoratore con l’organizzazione del lavoro vigente all’interno dell’azienda, senza compiere quell’attività ulteriore di accomodamento necessaria prima di procedere al licenziamento. La società […] ha assunto un comportamento passivo rispetto alla sopravvenuta inidoneità del lavoratore , mantenendo il dipendente in organico a far nulla per oltre due anni, nella speranza che le sue condizioni di salute migliorassero [...], senza attivarsi per l’individuazione di possibili misure di accomodamento che rendessero proficua l’occupazione del lavoratore. [….] La società ha licenziato il lavoratore esclusivamente in ragione delle sue limitazioni fisiche ovvero disabilità senza aver compiuto alcun tentativo di ragionevole accomodamento. Il recesso deve quindi considerarsi discriminatorio».

 

Ebbene, il Tribunale ha ricordato come sia compito e dovere del datore di lavoro, in attuazione degli obblighi di solidarietà ex art 2 Cost. e dei principi di correttezza e buona fede, verificare se era possibile all’interno dell’azienda una ricollocazione del lavoratore divenuto idoneo con limitazioni. Tale dovere implica un facere ovvero una valutazione della possibilità della riorganizzazione dell’attività aziendale, affinché il licenziamento resti l’ultima ratio. Ovviamente dalla parte tale sforzo ha limiti ben precisi che sono quelli della ragionevolezza e della non eccessiva gravosità. Il Giudice di primo grado ha invece ritenuto che nulla di tutto questo è avvenuto nel caso di specie, in cui la società datrice di lavoro non ha minimamente spiegato perché non potevano essere individuate residuali attività ascrivibili al lavoratore, anche a mezzo di una ridistribuzione di compiti o di una suddivisione delle varie fasi di lavorazione fra i vari addetti , trincerandosi dietro una generica impossibilità di ricollocare utilmente il lavoratore e non poter sostenere il costo di uno stipendio di un lavoratore non più abile al lavoro.

 

Questa pronuncia consente di comprendere quanto concreta, tangibile e calata nel reale contesto aziendale debba essere l’attuazione e realizzazione degli accomodamenti ragionevoli, non potendosi “nascondere” dietro una generica quanto labile affermazione dell’impossibilità di attuarli.

 

Giova poi segnalare la sentenza n. 50 del 7 marzo 2023 della Corte di Appello di Caltanissetta, che ha confermato la sentenza di primo grado (la n. 378/2022 pubblicata il 23 novembre 2022) con la quale era stata dichiarata la nullità del licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore assunto ai sensi della legge n. 68/1999 con sclerosi multipla in quanto sorretto da motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c.

 

In particolare il Tribunale aveva accertato l’insussistenza del fatto disciplinarmente contestato e aveva altresì evidenziato l’esistenza di ulteriori elementi idonei a comprovare unicamente e in maniera presuntiva l’intento illecito determinante posto alla base del licenziamento, ossia l’ingiustificabile disparità di trattamento rispetto ad altri colleghi e il fatto che il recesso datoriale fosse sopravvenuto a distanza di soli due mesi dalla scadenza del beneficio della fiscalizzazione del dipendente ai sensi dell’art. 13 della legge n. 68/99, goduto dalla società con l’assunzione del lavoratore.

 

Ne aveva così dedotto che l’unica giustificazione del licenziamento fosse quella di espellere un suo dipendente divenuto non più utile per le finanze aziendali e per di più, in precarie condizioni di salute, trattandosi di soggetto riconosciuto invalido con totale e permanente inabilità lavorativa al 100%, con la diagnosi, tra l’altro, di “sclerosi multipla”.

 

Lo scenario giurisprudenziale sopra riportato per sommi capi consente di trarre una considerazione che AISM ha reso già negli anni passati suo obiettivo primario: dare centralità e importanza all’esame della contrattazione collettiva e delle previsioni ivi contenute in materia di tutela della disabilità. A tal fine si rimanda alla nostra pubblicazione “Sclerosi Multipla, Gravi Patologie, Disabilità. Analisi della contrattazione collettiva nazionale" in corso di aggiornamento e revisione.

 

Rispetto alle scelte operate in occasione della prima pubblicazione del 2017, si è scelto di ridurre il numero complessivo dei contratti analizzati (62 contratti collettivi nazionali e 2 ipotesi di rinnovo, riguardanti 9 comparti specifici), scegliendo i CCNL più rappresentativi per numero di lavoratori cui si applica nonché quelli maggiormente segnalati da persone con sclerosi multipla al Numero Verde AISM, oltreché infine i contratti con elementi innovativi. Sono stati presi in considerazione solo contratti vigenti, che comprendessero sia il settore pubblico sia il settore privato, concentrando l’analisi sulla ricerca di norme di maggior favore accordate a determinate categorie di lavoratori e alla presenza esplicita di riferimenti a “Sclerosi Multipla” “gravi patologie” “disabilità” “handicap” “fragilità”. L’analisi in corso si sta concentrando inoltre sul recepimento di clausole “tipo” elaborate da AISM a fronte di un partecipato confronto con le parti sociali e ha già rilevato come, ad esempio, la “sclerosi multipla” sia esplicitamente citata in 11 contratti, mentre le gravi patologie – in cui però figurano anche patologie oncologiche e non solo SM e patologie correlate – che vengono prese in considerazione in 27 CCNL. Le parole “disabilità” e “handicap” invece figurano rispettivamente in 22 e 29 contratti, non sempre però con riferimento al lavoratore con disabilità, quanto più a permessi e assenze per cure di parenti/coniuge/figli con disabilità. e quindi indicando i numeri preliminari emergenti dall’ aggiornamento dell’analisi avviata con Prisma, che verranno completati in seguito.