Vitamina D e sclerosi multipla
Diversi studi scientifici hanno analizzato il rapporto tra Vitamina D e sclerosi multipla. Ad oggi tuttavia la relazione fra concentrazione nel sangue di vitamina D e probabilità di sviluppo della malattia, la sua associazione con l’andamento della patologia, così come l’eventuale efficacia della somministrazione di vitamina D ad alte dosi nel migliorare il decorso della sclerosi multipla rimangono ancora da chiarire.
Numerosi studi osservazionali condotti sia nei bambini che negli adulti (2-3) hanno documentato un'associazione inversa tra valori di vitamina D e rischio di sclerosi multipla. Dalle evidenze scientifiche è infatti emerso che le popolazioni situate più lontano dall'equatore e che, quindi, ricevono una minore esposizione alle radiazioni dei raggi solari UVB, presentano più frequentemente carenza di vitamina D e allo stesso tempo un rischio più elevato di sviluppare malattie autoimmuni come la sclerosi multipla (4-5).
Parallelamente, è stato riportato un rischio quasi doppio di sviluppare la sclerosi multipla nella prole di madri con basse concentrazioni di vitamina D all'inizio della gravidanza (6). Nonostante questi studi supportino la tesi che l’esposizione a specifici fattori ambientali nell’infanzia e nell’adolescenza possa avere un ruolo nella patogenesi della malattia, rimane da chiarire se ci possa essere un rapporto causale tra la carenza di vitamina D e lo sviluppo della sclerosi multipla.
Un lavoro pubblicato nel febbraio 2021 da un gruppo di ricercatori italiani dell’Università di Palermo (7) suggerisce che la relazione fra i livelli di questa vitamina e il rischio di sviluppare la sclerosi multipla passi attraverso alcune varianti di geni coinvolti nel metabolismo della vitamina D; in particolare, gli esperti spiegano che – anche se la sclerosi multipla non è una malattia genetica (ossia determinata da un singolo gene che viene trasmesso dai genitori ai figli) – ci sono alcune varianti di geni associate a fattori ambientali che concorrono a predisporre le persone a sviluppare la sclerosi multipla.
Tra le varianti di geni che ricoprono tale ruolo ce ne sono alcuni che servono a produrre molecole coinvolte nel metabolismo della vitamina D. È quindi possibile che soggetti con carenza di vitamina D abbiano anche maggiori probabilità di avere la sclerosi multipla, ma non è detto che sia la carenza di vitamina D a causare la sclerosi multipla (quanto piuttosto una predisposizione genetica ad entrambe le condizioni). Nel lavoro gli autori svolgono un’analisi critica relativa alle evidenze scientifiche che supportano il ruolo della vitamina D nello sviluppo della sclerosi multipla e viene sottolineato come queste evidenze siano spesso contraddittorie tra di loro e come le attuali conoscenze non permettano pertanto di giungere a conclusioni definitive sul risvolto pratico.
Controversa anche la possibilità che i livelli di vitamina D possano influenzare l’attività clinica e radiologica di malattia (8-9-10). Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi per indagare i possibili benefici effetti della supplementazione di vitamina D nelle persone con sclerosi multipla (11). I risultati sono stati contraddittori: alcuni studi hanno confermato una riduzione dell'attività e della gravità della malattia, mentre altri non hanno riportato risultati favorevoli risultati. I risultati di tre studi randomizzati controllati, pubblicati nel 2019 e 2020, sono tuttavia divergenti e al momento non si possono trarre conclusioni definitive sul fatto che sia corretto consigliare l'assunzione regolare di vitamina D, salvo in casi in cui sia stata identificata una carenza, che va corretta. Va peraltro segnalato che vi sono prove crescenti di complicazioni potenzialmente pericolose causate da un'assunzione regolare di dosi elevate di vitamina D (che potrebbe anche esacerbare i processi autoimmuni).
Una meta-analisi condotta da Michael Allan - direttore del programma di Evidence Based Medicine presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Alberta, in Canada - pubblicata su Journal of General Internal Medicine nel luglio 2016, ha analizzato numerosi studi condotti a partire dal 2014 sull’ipotesi che l’assunzione di Vitamina D possa prevenire un certo numero di patologie, tra cui cancro, depressione e sclerosi multipla. Dalla valutazione dei lavori è emersa una qualche prova scientifica dell’utilità della vitamina D nel diminuire il numero di fratture, ma le conclusioni generali smorzano tuttavia le aspettative: “l’entusiasmo riguardo la vitamina D come panacea dovrebbe essere attenuato” dicono i ricercatori.
Cosa è
La vitamina D è una vitamina liposolubile principalmente coinvolta nel metabolismo del calcio nell’omeostasi del calcio. Deriva in parte dell’assunzione mediante la dieta, ma soprattutto dall’esposizione al sole della cute, a livello della quale le radiazioni UVB convertono il 7-deidrocolesterolo in colecalciferolo. Tale sostanza subisce, successivamente ulteriori trasformazioni chimiche a livello epatico e a livello renale, per essere trasformata nel metabolita biologicamente attivo 1,25-diidrossivitamina D. Oltre ai ben noti effetti della vitamina D come la sua capacità di aumentare l’assorbimento del calcio, indispensabile per l’integrità ossea, essa appare in grado di influenzare la maturazione e l’attività di alcune cellule del sistema immunitario. In particolare, appare in grado di indurre una riduzione della produzione di citochine proiinfiammatorie e della differenziazione delle cellule T verso un sottotipo TH1 e TH17; anche le cellule B sarebbero influenzate con una conseguente riduzione della produzione anticorpale e maturazione plasmacellulare(1). Tali effetti immunologici della vitamina D hanno pertanto suggerito un suo possibile coinvolgimento nella patogenesi delle malattie autoimmuni quali la sclerosi multipla.
È utile assumere Vitamina D come terapia per la sclerosi multipla?
«Se al momento è giustificato raccomandare l’assunzione di vitamina D alle persone con sclerosi multipla come prevenzione dell’osteoporosi ed in coloro che presentano un vero e proprio deficit di vitamina, (evidenziato tramite analisi del sangue), non è invece raccomandata l’assunzione, specialmente ad alto dosaggio, come trattamento della sclerosi multipla. In generale l’assunzione di vitamina D è ben tollerata, ma ad alti dosaggi può causare fatica, nausea, vomito, crampi addominali, aumento della pressione arteriosa, problemi di funzionalità renale», dice Gianluigi Mancardi, Presidente della SIN (Società Italiana di Neurologia) e del Comitato Scientifico AISM.
Quando è utile eseguire il dosaggio della vitamina D?
Il dosaggio della vitamina D dovrebbe essere eseguito solo in presenza di specifiche condizioni di rischio, su indicazione del medico. Il dosaggio della vitamina D [dosaggio della 25(OH)D] sierica rappresenta il metodo più accurato per stimare lo stato di riserva di vitamina D nell'organismo.
Quali sono le principali fonti naturali di vitamina D?
L’efficace esposizione alla luce solare e l’alimentazione rappresentano i principali fattori che determinano i livelli sierici di 25(OH)D:
1. esposizione solare rappresenta il meccanismo principale di produzione di vitamina D nell’essere umano. Un’esposizione solare regolare rappresenta il modo più naturale ed efficace per un’adeguata produzione endogena di vitamina D.
2. La maggior parte degli alimenti contiene scarse quantità di vitamina D, pertanto la sola dieta non può esserne considerata una fonte adeguata. La vitamina D è relativamente stabile e viene alterata poco da conservazione e cottura. Nella tabella è riportata una lista di alimenti con corrispondente contenuto di vitamina D espresso o in UI/100 g o in UI/L.
Latte vaccino: 5-40 UI/L
Yogurt: 2,4 UI/100 g
Formaggi: 12-40/100 g
Dentice, merluzzo, orata, palombo, sogliola, trota, salmone, aringhe: 300-1500/100 g
Tuorlo d’uovo: 20 UI/100 g
Olio di fegato di merluzzo: 400 UI/5ml (1 cucchiaino da the)
In quali casi è previsto l’utilizzo di vitamina D per prevenirne o trattarne la carenza?
L’utilizzo di vitamina D, indipendentemente dalla misurazione della 25(OH)D, è previsto nei seguenti casi:
• negli anziani ospiti delle residenze sanitario-assistenziali
• nelle donne in gravidanza o in allattamento
• nelle persone affette da osteoporosi da qualsiasi causa o osteopatie accertate per cui non è indicata una terapia remineralizzante
Mentre l’utilizzo previa misurazione della 25(OH)D è previsto:
•nelle persone con livelli sierici di 25(OH)D < 20 ng/mL e sintomi attribuibili a ipovitaminosi (astenia, mialgie, dolori diffusi o localizzati, frequenti cadute immotivate)
•nelle persone con diagnosi di iperparatiroidismo secondario a ipovitaminosi D
•nelle persone affette da osteoporosi di qualsiasi causa o osteopatie accertate per le quali la correzione dell’ipovitaminosi dovrebbe essere propedeutica all’inizio della terapia remineralizzante.
•in caso di una terapia di lunga durata con farmaci interferenti col metabolismo della vitamina D (antiepilettici, glucocorticoidi, antiretrovirali, antimicotici, ecc.).
•in caso di malattie che possono causare malassorbimento nell’adulto (fibrosi cistica, celiachia, morbo di Crohn, chirurgia bariatrica ecc.).
In quali casi è prevista la prescrizione a carico del Sistema Sanitario Nazionale della vitamina D?
La prescrizione a carico del SSN dei farmaci colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio, segue le indicazioni contenute nella nota AIFA 96, in qualità di “prevenzione e trattamento della carenza di vitamina D” nell’adulto (≥18 anni) ed è limitata ai seguenti casi clinici:
A. Indipendentemente dalla determinazione della 25(OH)D
- persone istituzionalizzate
- persone con gravi deficit motori o allettate che vivono al proprio domicilio
- donne in gravidanza o in allattamento
- persone affette da osteoporosi da qualsiasi causa non candidate a terapia remineralizzante
B. Previa determinazione della 25(OH)D
- persone con livelli sierici di 25(OH)D <12 ng/mL (o <30 nmol/L) e sintomi attribuibili a ipovitaminosi (astenia intensa, mialgie, dolori diffusi o localizzati, frequenti cadute immotivate)
- persone asintomatiche con rilievo occasionale di 25(OH)D <12 ng/mL (o <30 nmol/L) persone con 25(OH)D <20 ng/mL (o <50 nmol/L) in terapia di lunga durata con farmaci interferenti col metabolismo della vitamina D
- persone con 25(OH)D <20 ng/mL (o <50 nmol/L) affette da malattie che possono causare malassorbimento nell’adulto
- persone con 25(OH)D <30 ng/mL (o 75 nmol/L) con diagnosi di iperparatiroidismo (primario o secondario)
- persone con 25(OH)D <30 ng/mL (o 75 nmol/L) affette da osteoporosi di qualsiasi causa o osteopatie accertate candidate a terapia remineralizzante per le quali la correzione dell’ipovitaminosi dovrebbe essere propedeutica all’inizio della terapia. Le terapie remineralizzanti dovrebbero essere iniziate dopo la correzione della ipovitaminosi D.
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Ultimo aggiornamento 22 marzo 2023