Agevolazioni nel lavoro
Congedo straordinario per cure
Congedo per gravi motivi famigliari
Introduzione
Nella normativa vigente sono previste importanti disposizioni a favore delle persone con handicap che lavorano e dei familiari che prestano loro assistenza. Dopo l’accertamento dell’handicap con connotazione di gravità (art. 3, comma 3, legge 104/92) da parte della Commissione Medica ASL integrata con un medico INPS, il lavoratore portatore di handicap grave, o la persona che gli presta assistenza, hanno diritto a richiedere i permessi retribuiti sul lavoro (di cui all’art. 33, legge 104/1992). In alcuni casi è possibile anche scegliere la sede più vicina alla propria residenza, ed è consentito rifiutare il trasferimento. Per conciliare i tempi di lavoro con quelli di cura possono rappresentare una soluzione utile le norme relative ai periodi di congedo dal lavoro e la facoltà di richiedere la trasformazione del rapporto in part-time. In base alla normativa in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (T.U. 81/2008), il datore di lavoro ha l'obbligo di affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro capacità e condizioni in rapporto al loro stato di salute, anche quando le modalità di lavoro sono indipendenti dalla localizzazione geografica dell’ufficio e dell’azienda e si impiegano avanzate tecnologie di informazione e di telecomunicazione (telelavoro).
Giudizio di idoneità
Il giudizio d’idoneità alla mansione previsto dall’art. 41 del T.U. in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, decreto legislativo n. 81/2008 può essere richiesto tanto dal datore di lavoro, quanto dal lavoratore.
Tale visita può avere esiti diversi e più precisamente, concludersi con un:
• giudizio di idoneità: il lavoratore può svolgere una specifica mansione, in uno specifico contesto lavorativo, senza rischi per la salute e per la sicurezza di sé e di terzi;
• giudizio di idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni: con riguardo all’idoneità con prescrizioni il lavoratore può svolgere una specifica attività di lavoro ma con l’adozione di particolari accorgimenti, con riguardo, invece, all’idoneità con limitazioni, al lavoratore sono precluse, perché pregiudizievoli per il suo stato di salute, singole e specifiche attività;
• giudizio di inidoneità temporanea: in questo caso devono essere indicati i limiti temporanei di validità di questa inidoneità;
•giudizio di inidoneità permanente, quando sussistono condizioni patologiche che pregiudicano per il lavoratore la possibilità di svolgere quella specifica mansione. Tale non-idoneità potrà avere carattere temporaneo o permanente.
Dell’esito del giudizio il medico competente deve dare notizia e informazione per iscritto sia al datore di lavoro sia al lavoratore. Il decreto non indica limiti temporali per l'invio di tale comunicazione, ma è evidente che essa debba avvenire in tempi rapidi onde non esporre ulteriormente il lavoratore a un rischio che, secondo le conclusioni del medico, ha già iniziato a determinare un danno alla salute. Avverso il giudizio del medico competente è ammesso ricorso entro trenta giorni dalla comunicazione, a opera sia del lavoratore sia del datore di lavoro, al Servizio di Prevenzione della Asl territorialmente competente.
È, in ogni caso, fondamentale che siano attuate tutte le misure di prevenzione e protezione (bonifica dell'ambiente di lavoro, uso dei dispositivi di protezione individuale, etc.,) volte a eliminare o quantomeno a ridurre i fattori di rischio. Nel caso di giudizio di inidoneità assoluta e permanente, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore solo quando abbia provato, e dimostrato, di non poter utilmente ricollocare il lavoratore all’interno dell’azienda, anche in mansioni inferiori.
Il contratto può essere rescisso anche nel caso di un’idoneità parziale del lavoratore, qualora il datore di lavoro dimostri di non potere ricollocare quel lavoratore all'interno dell'azienda in attività confacenti al proprio stato di salute, anche di livello inferiore. Ciò impone che il datore di lavoro, con l'ausilio del medico competente, operi attivamente per individuare all'interno dell'azienda un'adeguata collocazione del dipendente, in modo da non sottoporre il lavoratore stesso a rischi e danni per sé stesso e per terzi (colleghi ed estranei all’azienda).
In ogni caso è opportuno che venga contattato un avvocato specializzato in diritto del lavoro nonché, e soprattutto, un medico specializzato in medicina del lavoro, che possano consigliare e indirizzare al meglio anche in fase preventiva, prima di chiedere il giudizio di idoneità stesso e di informare del proprio stato di salute i soggetti competenti.
Ex Legge 104: familiari che assistono e permessi
L'articolo 33, comma 3°, della legge n. 104/1992 riconosce ai lavoratori con handicap grave il diritto a permessi retribuiti dal lavoro. Può farne uso direttamentela persona con handicap, oppure chi la assiste, se rientra in una di queste categorie:
• coniuge o la parte dell’unione civile;
• parente o affine entro il secondo grado;
• in casi particolari, anche parente o affine entro il terzo grado (qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti);
• per effetto di una pronuncia della Corte Costituzionale nel 2016, possono fruire dei permessi retribuiti dal lavoro anche i conviventi more uxorio delle persone portatrici di handicap grave.
Chi può fruire dei permessi? Chi sono i parenti? E gli affini? E come si stabilisce il grado di parentela o affinità? I parenti sono coloro che discendono dallo stesso stipite. Gli affini sono i parenti del coniuge. • Sono parenti di primo grado: genitori (anche adottivi o affidatari), figli. • Sono parenti di secondo grado: fratelli, nonni, nipoti (figli dei figli). • Sono parenti di terzo grado: bisnonni, pronipoti, nipoti (figli di fratelli o sorelle), zii (fratello o sorella del padre o della madre). • Sono affini di primo grado: generi, nuore, suoceri. • Sono affini di secondo gradi: cognati. • Sono affini di terzo grado: zii del coniuge. |
Ricovero e cause di esclusione
Per fruire dei permessi la persona portatrice di handicap grave non deve essere ricoverata a tempo pieno (si intende per ricovero a tempo pieno quello che si svolga nelle 24 ore) presso strutture ospedaliere o presso strutture pubbliche e private che assicurino assistenza sanitaria. Il diritto alla fruizione dei permessi non è escluso se si tratta di ricoveri in day hospital o in centri diurni con finalità assistenziali o riabilitative o occupazionali. Tale diritto non viene meno neppure nel caso di ricovero a tempo pieno di un disabile in coma vigile e/o in situazione terminale nonché in caso di ricovero a tempo pieno di un minore in situazione di handicap grave per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare. Inoltre, qualora il portatore di handicap grave debba interrompere il ricovero per la necessità di recarsi fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite o terapie, il familiare ha diritto a fruire dei permessi. Ovviamente queste situazioni particolari ed eccezionali dovranno risultare da idonea documentazione medica.
Modalità di fruizione
Se è il lavoratore portatore di handicap grave (art. 3, comma 3°) che ne fruisce per sé stesso può scegliere una delle seguenti modalità di fruizione dei permessi:
• due ore giornaliere (una sola ora se l’orario lavorativo giornaliero è inferiore alle 6 ore giornaliere);
• tre giorni al mese.
Se è il familiare che intende fruirne per prestare assistenza al portatore di handicap grave:
• tre giorni al mese. I tre giorni sono frazionabili a ore (per i dipendenti pubblici, se i CCNL stabiliscono la frazionabilità a ore, considerato che i tre giorni di permesso sono accordati direttamente dalla legge senza indicazione di un monte ore massimo fruibile, la limitazione a 18 ore contenuta nei CCNL vale solo nel caso di espressa menzione del suddetto monte ore).
I permessi non sono cumulabili. Se nel corso del mese il lavoratore non fruisce, per esempio, di tutte e tre le giornate di permesso, non potrà esigere di fruire dei permessi non utilizzati nel corso del mese successivo. Nel caso di genitori di minore portatore di handicap grave, i giorni di permesso possono essere usufruiti alternativamente tra di loro (ma pur sempre rispettando il numero massimo mensile di tre giorni).
Frazionamento dei permessi e modalità di calcolo
Per comprendere a quante ore di permesso il lavoratore abbia diritto nel caso voglia frazionare i tre giorni di permesso mensili in ore, è in primo luogo necessario distinguere tra orario di lavoro fissato su base settimanale e orario di lavoro fissato su base plurisettimanale. Nel caso di orario di lavoro fissato su base settimanale, la formula da utilizzare è la seguente: (orario normale di lavoro settimanale : numero dei giorni lavorativi settimanali) x 3 = ore mensili fruibili.
Esempio:
36 ore settimanali, 5 giorni lavorativi
7,2 x 3 = 21,6 ore di permesso mensile, oppure;
36 ore lavorate, 6 giorni settimanali
6 x 3= 18 ore di permesso mensile.
Nel caso l’orario di lavoro sia stabilito su base plurisettimanale, il calcolo va fatto considerando l’orario di lavoro fissato su base plurisettimanale (orario di lavoro medio settimanale o numero medio dei giorni lavorativi settimanali) x 3.
Permessi retribuiti e part-time
In caso del part-time orizzontale (che prevede lo etesso numero di giornate lavorative di un tempo pieno ma con un orario di lavoro ridotto, per esempio 4 ore di lavoro al giorno), il permesso mensile sarà sempre di tre giornate. In caso di part-time verticale (che prevede un numero ridotto di giornate di lavoro per settimana o per mese) il permesso mensile verrà ridotto proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate.
Se, per esempio, in un mese si lavora per 8 giorni su un totale di 26 giorni lavorativi teoricamente eseguibili, bisogna eseguire la seguente proporzione: x:8=3:26, dove X, ossia il numero dei giorni cui si ha diritto, sarà così calcolato = (3X8): 26, ossia 0,9 giorni di permesso, da arrotondare all’unità più vicina; in questo caso si avrà pertanto diritto a un giorno di permesso.
Casi particolari
Cumulo di permessi per più soggetti portatori di handicap grave.
È possibile che un solo lavoratore fruisca di permessi lavorativi per diversi familiari con handicap grave a condizione che il “secondo” familiare da assistere sia il coniuge o un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Non è ammessa la cumulabilità nel caso in cui anche il “secondo” familiare da assistere sia un parente o un affine di terzo grado, nemmeno nel caso in cui il coniuge o il genitore sia deceduti o mancanti o invalidi o ultra65enni.
Un soggetto che deve assistere un familiare che già fruisce dei permessi per sé stesso.
È possibile che il familiare del lavoratore portatore di handicap grave che già fruisca dei permessi per sé medesimo, possa fruire dei permessi retribuiti di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104/92, anche durante il periodo di svolgimento dell’attività lavorativa da parte della persona con disabilità.
Lavoratore disabile che deve assistere un familiare disabile.
La legge 104/1992, non preclude neppure la possibilità che un lavoratore in situazione di handicap grave possa assistere altro soggetto che si trovi nella stessa condizione.
Scelta della sede
I commi 5 e 6 dell'articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore con disabilità abbiano diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Questa disposizione, proprio a causa di quel "ove possibile", si configura come un interesse legittimo, non come un diritto soggettivo insindacabile. Di fatto, quindi, l'azienda può rifiutare, motivando la decisione con l’esigenza di soddisfare effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte. Le condizioni per accedere a questo beneficio sono comunque legate, per i familiari, all'assistenza continuativa ed esclusiva del congiunto con disabilità. Anche per questo beneficio, come per i permessi, non è richiesta la convivenza. Va precisato, inoltre, che l'interpretazione ormai prevalente e consolidata di questa agevolazione è che riguardi le persone con handicap con connotazione di gravità, beneficiarie di tutte le agevolazioni previste dall'articolo 33 della Legge 104/1992. Un'annotazione è necessaria poiché il comma 5 non indica esplicitamente la gravità dell'handicap.
Trasferimento di sede
I commi 5 e 6 dell'articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono chi porta un handocap grave, il suo genitore o il suo familiare, non possano essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede. Diversamente da quanto previsto per la scelta della sede, il rifiuto al trasferimento si configura come un vero e proprio diritto. Si tratta infatti di una disposizione che rafforza ed estende quanto già previsto dall'art. 2103 del Codice Civile che statuisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra "se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive". Ebbene il comma 5 dell'articolo 33 aggiunge a questa condizione anche il consenso da parte dell'interessato. Il trasferimento assunto in violazione della suddetta previsione normativa è impugnabile dinanzi all’autorità giudiziaria.
Part-time
In virtù della disposizione normativa contenuta nell’art. 8, comma 3 del d. lgs. n. 81/2015 - i lavoratori con sclerosi multipla, siano essi pubblici dipendenti siano essi dipendenti privati, potranno far fronte all’esigenza di conciliazione di tempi di cura/lavoro senza temere di dover precocemente abbandonare il posto di lavoro.
La legge sancisce che: «I lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche nonché da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, eventualmente anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. A richiesta del lavoratore il rapporto di lavoro a tempo parziale è trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno».
La persona con sclerosi multipla che intende chiedere la trasformazione del tempo di lavoro in part-time, deve presentare la richiesta al proprio datore di lavoro, allegandovi un’attestazione proveniente dalla ASL di competenza, che confermi la residua capacità lavorativa.
Chi è già in possesso del verbale di invalidità civile può allegarlo alla richiesta di trasformazione dell’orario di lavoro. Chi invece non ne è in possesso, in mancanza di indicazioni più specifiche da parte della normativa di riferimento, potrà allegare una certificazione del proprio medico specialista, che attesti la sussistenza di una grave patologia cronico degenerativa ingravescente. Dal punto di vista retributivo e previdenziale è un part time a tutti gli effetti e pertanto vige il principio di proporzionalità: retribuzione e contribuzione sono parametrati alle ore di lavoro effettivamente prestato.
Sempre in base al decreto legislativo n. 81/2015, si accorda priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale ai caregivers (coniuge, figli, genitori) di persone con gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti. Tale priorità è concessa anche al lavoratore o alla lavoratrice che assiste una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con connotazione di gravità (legge n. 104/1992) e che necessita di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.
Telelavoro
Il telelavoro può rappresentare un’opportunità per le persone con disabilità e per tutti coloro che incontrano maggiori difficoltà nell’inserimento lavorativo o nel mantenimento del proprio impiego, come le persone impegnate in attività di assistenza di familiari malati, i genitori con figli piccoli e coloro che vivono in zone lontane dai grandi centri urbani. L’accordo interconfederale del 09/06/2004 (firmato da CONFAPI, CGIL, CISL, UIL) lo definisce: “una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell'informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa”. Si tratta di una modalità di lavoro indipendente dalla localizzazione geografica dell’ufficio e dell’azienda la quale prevede l’impiego delle più avanzate tecnologie di informazione e di telecomunicazione. Il lavoratore si avvale, in altre parole, di una postazione di lavoro (composta da computer, telefono, modem) installata presso il suo domicilio o in un locale del quale abbia la disponibilità.
Le possibili applicazioni del lavoro a distanza, infatti, sono diverse:
• Telelavoro svolto a domicilio: consente una pluralità di forme diverse sia in merito alla forma contrattuale (possono essere lavoratori subordinati, lavoratori parasubordinati o lavoratori autonomi) sia alla modalità di collegamento con l’ufficio centrale (connessione in rete o meno). Varia anche la tipologia di lavoro richiesto (che può essere anche a elevato contenuto professionale) e l’entità della presenza a casa in quanto il lavoro a domicilio può alternarsi a periodi di presenza in sede per evitare il cd. isolamento sociale.
• Telelavoro mobile: svolto dal singolo senza una precisa collocazione in un locale - è una forma applicata maggiormente ad attività che richiedono la presenza presso i clienti e frequente mobilità e flessibilità di luoghi di lavoro, ad esempio per i rappresentanti e gli agenti di viaggio. Prevede l’utilizzo di un PC portatile.
• Telelavoro in uffici satellite: l’impresa colloca parte delle sue attività in una o più sedi decentrate, collegate tramite reti telematiche alla sede centrale. In tal modo vengono decentralizzate le funzioni amministrative, di vendita e di marketing.
• Telelavoro in centri decentrati (cd. telecottages): caratterizzati da sistemi tecnologici evoluti, che consentono un’elevata elaborazione di dati e la trasmissione in tempo reale.
Grazie all’impiego delle tecniche di telecomunicazione e all’informatica i telelavoratori possono svolgere attività contabile, commerciale, di ricerca, di trattamento e scambio di informazioni, attività di caricamento ed elaborazione dati, dattilografia di testi, elaborazione di programmi informatici.
Il telelavoro è una soluzione alternativa al lavoro classico, più flessibile ed efficace, considerata più rispondente alle esigenze dell’azienda e del dipendente. Fra gli aspetti più positivi vengono indicati la maggiore autonomia e responsabilità, la maggiore soddisfazione personale, la possibilità di lavoro senza vincoli di orario, l’aumento della qualità di vita in termini di miglioramento della vita familiare e aumento del tempo libero, il risparmio sui tempi e sui costi di trasporto. Di contro i telelavoratori rischiano: minore visibilità e carriera, isolamento, riduzione della vita relazionale esterna, minore guida e aiuto nel lavoro.
Per gli imprenditori che adottano il telelavoro viene indicato il vantaggio della maggiore efficienza e motivazione dei dipendenti ma, soprattutto, la possibilità di attuare un decentramento delle attività che consente di esser più vicini al cliente e l’opportunità di risparmiare sulle spese generali per l’ufficio e sulle spese di trasporto. Fra gli aspetti, per loro negativi, la difficoltà nella gestione dei lavoratori distanti e la riorganizzazione dei processi aziendali. Secondo i dati dell’eWork2000 – Status Report on News Ways to work in the Information Society, in Europa ci sono 9 milioni di persone di telelavoratori.
Smart working
Evoluzione del telelavoro è lo smart working, o lavoro agile, disciplinato ora dal d. lgs. n. 81/2017 inteso come prestazione di lavoro subordinato che prevede lo svolgimento di parte dell'attività lavorativa al di fuori dei locali aziendali attraverso il supporto di strumenti telematici.
La differenza tra telelavoro e lavoro agile è che il primo presuppone che l’attività lavorativa sia svolta regolarmente fuori dai locali dell’azienda mentre il secondo può prevedere un’alternanza. Il lavoro agile ha quale obiettivo incrementare la produttività aziendale, favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e facilitare una maggiore sostenibilità ambientale. La prestazione dell'attività lavorativa in "lavoro agile" non incide sull'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, sulla connotazione giuridica del rapporto subordinato e non comporta nessuna modifica della sede di lavoro né ha alcun effetto sull'inquadramento, sul livello retributivo e sulle possibilità di crescita professionale, ai sensi del presente CCNL.
Il dipendente in regime di "lavoro agile" conserva integralmente i diritti sindacali esistenti e potrà partecipare all'attività sindacale.
Anch’esso presuppone un accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente per disciplinare la nuova tipologia di lavoro.
L’accordo dovrà definire:
• le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro;
• gli strumenti tecnologici utilizzati dal lavoratore;
• i tempi di riposo;
• l’esercizio del potere di controllo del datore, nei limiti della disciplina dei controlli a distanza;
• le condotte legate al lavoro esterno all’ufficio che danno luogo a sanzioni disciplinari.
Per quanto riguarda i diritti del dipendente, restano validi tutti i diritti “tradizionali” come la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
La legge sullo Smart Working, inoltre, prevede che lo stipendio del dipendente che lavora all’esterno dell’ufficio non possa essere inferiore a quello dei dipendenti che svolgono la stessa mansione all’interno dell’azienda.
Congedi
Nel nostro ordinamento sono molteplici le previsioni volte a garantire forme di sostegno in presenza di particolari situazioni meritevoli di tutela. Il lavoratore con un’invalidità civile superiore al 50% può, per esempio, in presenza di determinati presupposti, fruire del congedo per cure per invalidi. Il familiare che presta assistenza a un soggetto portatore di handicap grave (ora, per effetto della legge n. 76/2016 anche la parte dell’unione civile), invece, può avere diritto al congedo straordinario di due anni, ovvero, a prescindere dalla disabilità, al congedo breve. Nel caso di cura del proprio figlio si ha diritto ai congedi parentali. Esiste poi il congedo per gravi motivi familiari, congedo biennale, non retribuito, che può essere accordato dal datore di lavoro, in presenza di gravi e documentati motivi familiari.
Congedo per cure per invalidi
Per coloro che sono stati riconosciuti invalidi civili in misura superiore al 50% è prevista la possibilità di chiedere il congedo per cure.
Tale congedo:
• non può superare i 30 giorni annuali, anche non continuativi;
• le cure devono essere collegate all'infermità invalidante ed effettuate per effettive esigenze terapeutiche e riabilitative;
• è necessario allegare alla richieste di congedo da inoltrare al proprio datore di lavoro, la richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente a una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all'infermità invalidante riconosciuta;
• tale periodo non rientra nel comporto per malattia (individuato dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro).
Per poter chiedere questo tipo di congedo occorre:
1) richiedere a un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica un certificato medico che attesti la necessità delle cure e/o terapie in relazione all’infermità invalidante riconosciuta;
2) presentare al datore di lavoro una domanda accompagnata dalla richiesta/relazione del medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura/ terapia (anche di tipo riabilitativo) in relazione all'infermità invalidante riconosciuta.
Sarà utile allegare alla suddetta richiesta fotocopia dell’invalidità civile (essendo questo il presupposto per poter beneficiare del suddetto congedo per cure), nella versione con gli 'OMISSIS'.
Congedo straordinario di due anni
È prevista l'opportunità di fruire di un congedo di due anni, retribuito, per i lavoratori che assistono una persona con disabilità grave, familiari di soggetti portatori di handicap in situazione di gravità.
La legge prevede i seguenti aventi diritto, in ordine di priorità:
1) il coniuge convivente o, per effetto della legge n. 76/2016, la parte dell’unione civile convivente;
2) il padre o la madre, nell’ipotesi di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte dell’unione civile;
3) uno dei figli conviventi, nell’ipotesi di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte dell’unione civile convivente o di entrambi i genitori;
4) uno dei fratelli o sorelle conviventi, nell’ipotesi di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente o della parte dell’unione civile convivente o di entrambi i genitori o dei figli conviventi;
5) un “parente o affine entro il terzo grado convivente” della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente”, “entrambi i genitori”, i “figli conviventi” e i “fratelli o sorelle conviventi” siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.
Dal momento che l’art. 78 del codice civile non è stato espressamente richiamato dalla legge n. 76/2016, si fa presente che tra un parte dell’unione civile e i parenti dell’altra non si costituisce un rapporto di affinità. Pertanto, a differenza di quanto avviene per i coniugi, la parte di un unione civile può usufruire del congedo straordinario ex art. 42, comma 5, D. Lgs.151/2001 solo nel caso in cui presti assistenza all’altra parte dell’unione e non nel caso in cui l’assistenza sia rivolta a un parente dell’unito, non essendo riconoscibile, in questo caso, rapporto di affinità.
Il periodo di congedo non può superare la durata complessiva di due anni e può essere fruito in modo continuativo o frazionato. È accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa: il congedo non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.
Affinché non vengano computati nel periodo di congedo straordinario i giorni festivi, i sabati e le domeniche, è necessaria l'effettiva ripresa del lavoro, requisito non rinvenibile nel caso di domanda di fruizione del congedo in parola dal lunedì al venerdì (settimana corta) senza ripresa del lavoro il lunedì della settimana successiva a quella di fruizione del congedo, e neppure nella fruizione di ferie tra una frazione di congedo e l'altra (così Circolare INPS del 15 marzo 2001, n. 64).
Se il dipendente, a seguito di un periodo di congedo parentale, gode immediatamente dopo di giornate di malattia o ferie e poi riprende l’attività di lavoro, i giorni festivi ed i sabati (qualora si effettui la settimana corta) che cadono tra il congedo parentale e le ferie o la malattia non debbono essere computate in conto congedo parentale.
Si precisa che, secondo quanto da ultimo affermato dall’INPDAP con la circolare 22 del 28 dicembre 2011, il congedo può essere richiesto anche nel caso in cui l’assistenza sia rivolta a un familiare disabile che svolga, nel periodo di godimento del congedo, attività lavorativa.
Per quanto riguarda l'assistenza allo stesso figlio con handicap, il diritto al congedo è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Negli stessi giorni, tuttavia, l'altro genitore non può fruire dei (tre) giorni di permesso (Legge 104) né del congedo parentale frazionato 33 (tre anni fino al compimento dell’ottavo anno di età).
L’INPS con la circolare n. 138 del 10 luglio 2001 ha introdotto alcune particolarità rispetto alle indicazioni della norma istitutiva, prevendo la possibilità di fruire dei permessi del congedo, anche nel caso in cui uno dei genitori non abbia diritto ai permessi (per esempio, perché non lavora) con la differenza che:
• nel caso di figlio maggiorenne convivente con il genitore richiedente la concessione del congedo è possibile anche se l'altro genitore non lavora e anche se sono presenti in famiglia altri soggetti non lavoratori in grado di prestare assistenza al disabile;
• nel caso, invece, di figlio maggiorenne non convivente con il richiedente, è necessario che sia garantita la continuità e l'esclusività dell'assistenza. Quindi, se nel nucleo familiare del portatore di handicap, sono presenti altri soggetti (compreso l'altro genitore), non lavoratori, in grado di prestare assistenza, il congedo retribuito non può essere concesso.
L'INPDAP, poi, con la circolare del 10 gennaio 2002, n. 2 fornisce la propria interpretazione affermando come il periodo di congedo non possa essere fruito contemporaneamente da entrambi i genitori. Se il figlio è minorenne è possibile fruire del beneficio anche se l'altro genitore non lavora. Se il figlio è maggiorenne, non è necessariamente richiesta la convivenza ma, in tal caso, occorre che l'assistenza sia prestata in via continuativa ed esclusiva dal richiedente (madre o padre che sia). Nell'ipotesi che l'altro genitore non lavori e vi sia convivenza con il figlio maggiorenne portatore di handicap, è necessario dimostrare l'impossibilità, da parte del genitore che non lavora, di prestare assistenza.
Congedo breve
Il decreto ministeriale n. 278/2000 prevede per le lavoratrici e i lavoratori, dipendenti di datore di lavoro pubblico e privato, il diritto a tre giorni complessivi di permesso retribuito per anno, in caso di morte o di grave infermità, debitamente documentata:
• del coniuge, anche separato legalmente;
• di un parente entro il secondo grado (nonno e nipote, fratelli e sorelle) anche non convivente;
• di un soggetto che faccia parte della famiglia anagrafica.
Per fruire il lavoratore deve comunicare il motivo e i giorni in cui intende utilizzarlo. C’è l’obbligo per l’azienda di consentirne l’utilizzo entro 7 giorni dalla morte o dall'accertamento della grave infermità o «dalla necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi terapeutici».
Nei tre giorni di permesso non sono conteggiati quelli festivi e quelli non lavorativi. In alternativa, se sussiste una grave infermità degli stessi soggetti di cui sopra, il datore di lavoro e il lavoratore possono concordare congiuntamente modalità diverse di lavoro in alternativa ai tre giorni di permesso. Nell'accordo, che deve essere stipulato in forma scritta, devono essere indicate le modalità dell'orario concordato, proposto dal lavoratore, per un totale complessivo pari ai tre giorni.
Nell'accordo verranno anche indicati i criteri delle eventuali verifiche periodiche sulla persistenza dello stato di gravità della patologia. La periodicità della verifica dovrà essere indicata nell'accordo stesso.
La verifica in questione sarà effettuata mediante la presentazione, da parte del lavoratore al datore di lavoro, della documentazione rilasciata dal medico specialista del SSN o con esso convenzionato o dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta o dalla struttura sanitaria in caso di ricovero o intervento chirurgico. Il nuovo orario concordato deve avere inizio entro sette giorni da quando viene accertata la patologia o la necessità di intervento terapeutico. I tre giorni di congedo breve possono essere cumulabili con quelli previsti dall’art. 33 della legge 104/92. Per poterne beneficiare il lavoratore deve presentare la certificazione del medico specialistico del SSN o con esso convenzionato o del medico generico o del pediatra di libera scelta e, in caso di ricovero, della struttura sanitaria.
Congedi parentali
Per congedo parentale si intende la possibilità - da parte di entrambi i genitori - di astenersi dal lavoro, entro i primi 12 anni di vita del bambino. Il quadro legislativo di riferimento attuale è il D.lgs. n. 151/2001 (art. 32 e ss.).
I genitori hanno un periodo di dieci mesi che possono suddividersi sulla base dei seguenti limiti:
• la madre può usufruire al massimo di 6 mesi di congedo parentale, che decorre dal termine del periodo di congedo per maternità (i 5 mesi che un tempo era denominati “astensione obbligatoria dal lavoro”); il padre ha diritto a un periodo massimo di 6 mesi a decorrere dalla nascita del figlio” (innalzabile a 7 mesi, qualora eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi e, conseguentemente, quello complessivo della coppia passa da dieci a undici mesi);
• qualora uno dei due genitori utilizzi il periodo massimo di sei mesi a sua disposizione, il restante periodo di quattro mesi può essere utilizzato esclusivamente dall’altro genitore;
• nel caso in cui vi sia un solo genitore, egli ha diritto all’intero periodo di dieci mesi. INPS (messaggio n° 22912 del 20 settembre 2007) ritiene che valga la situazione di “genitore solo” anche quando uno dei coniugi è - anche solo temporaneamente – affetto da un’infermità tale da non essere in condizione di occuparsi del figlio. La condizione di infermità deve risultare da certificato medico emesso da struttura pubblica, nonché essere oggetto di valutazione da parte del Centro medico legale della sede INPS.
Al genitore è riconosciuta un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi di congedo, purché tale periodo sia fruito durante i primi sei anni di vita del bambino. Per i periodi di congedo parentale ulteriori, è dovuta, fino all'ottavo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria. Il reddito è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo.
È fondamentale verificare se il proprio contratto collettivo preveda (ulteriori) disposizioni di miglior favore.
Il genitore può considerarsi “solo” ai fini dell’agevolazione in oggetto nelle seguenti situazioni:
• decesso dell’altro genitore;
• abbandono del figlio da parte dell’altro genitore;
• affidamento in via esclusiva ad uno solo dei genitori;
• non riconoscimento del figlio da parte di un genitore.
Prolungamento del congedo nel caso di figlio riconosciuto portatore di handicap in situazione di gravità (ex art.3, co. 3, legge 104/1992).
Per ogni minore con handicap in situazione di gravità la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei 10 mesi del congedo parentale ordinario, non superiore a 3 anni, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore. Tale periodo di prolungamento è coperto da contribuzione figurativa utile ai fini dell'anzianità di servizio, oltre all’indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione.
In alternativa al prolungamento del congedo possono essere fruiti i riposi giornalieri, pari a due ore di permesso giornaliero retribuito (è necessario che non vi sia ricovero a tempo pieno in istituto specializzato o in altro centro). In caso di prestazione di lavoro inferiore alle sei ore giornaliere può essere concessa una sola ora di permesso.
Di norma i permessi di due ore, previsti per i minori di tre anni con handicap grave, e i permessi orari per "allattamento", non sono compatibili se riferiti al medesimo bambino: tuttavia il Messaggio INPS 9 maggio 2007, n. 11784, ammette la cumulabilità dei due benefici in capo al medesimo bambino, in relazione alla speciale gravità dell'handicap e l'effettiva necessità di cure che non possano essere garantite durante le sole ore di allattamento previste per la generalità dei neonati. Anche in questo caso la necessità di assistenza è valutata dal dirigente responsabile del Centro medico legale della Sede INPS.
Dopo i tre anni. Dopo il compimento del terzo anno di vita del figlio con handicap grave, la madre (o, in alternativa, il padre) ha diritto non più alle due ore di permesso, ma ai tre giorni di permesso mensile, che possono essere fruiti in via continuativa ma devono essere utilizzati nel corso del mese di pertinenza. La concessione dei permessi spetta solo nel caso in cui il disabile non sia ricoverato a tempo pieno. Non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio. I giorni di permesso posso essere utilizzati da un genitore anche quando l’altro genitore fruisce dell’astensione facoltativa o del congedo per malattia del figlio. La circolare INPS 211/1996 prevede il cumulo dei benefici se nel nucleo familiare ci sono soggetti disabili di età superiore ai tre anni. Questo purché non vi siano altre persone disponibili a prestare assistenza, oppure nel caso in cui il lavoratore non sia in grado – per la natura dell’handicap – di assistere i minori disabili in soli tre giorni. La concessione dei permessi ovviamente non spetta nel caso in cui il disabile sia ricoverato a tempo pieno.
Congedo per gravi motivi familiari
II congedo di due anni per gravi motivi familiari può essere utilizzato, dai lavoratori pubblici o privati, quando sussistono gravi e documentati motivi familiari. Può essere utilizzato, per un periodo frazionato o continuativo, fino a due anni nell'intera vita lavorativa della persona. Al termine ci ciascun rapporto di lavoro il datore deve rilasciare l'attestazione del periodo di congedo fruito.
I lavoratori dipendenti pubblici e privati possono chiedere un periodo di congedo per gravi motivi sia personali che familiari relativamente:
1) ai componenti della famiglia anagrafica; per famiglia anagrafica si intende «un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozioni, tutela, oppure legate da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune»;
2) ai familiari anche non conviventi per i quali, ai sensi dell'articolo 433 del c.c., si ha l'obbligo di prestare alimenti (coniuge; figli legittimi, naturali o adottivi e, in loro mancanza, i discendenti prossimi, anche naturali; genitori naturali e adottivi e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; generi e nuore; suoceri; fratelli);
3) ai parenti e affini entro il terzo grado portatori di handicap anche non conviventi. Quindi, nel caso in cui l'assistenza debba essere temporalmente più lunga delle due ore giornaliere o dei tre giorni al mese, possibilità che abbiamo precedentemente esaminato, ci si può avvalere di questo tipo di congedo, per i giorni «in più» che servono.
Per patologie si intende:
• patologie acute e croniche che comportano la perdita permanente o temporanea dell'autonomia funzionale, comprese le affezioni croniche di natura congenita, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivante da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche;
• patologie acute e croniche che richiedono assistenza continuativa e frequenti monitoraggi periodici ematochimici e strumentali;
• patologie acute e croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario;
• patologie dell'infanzia e dell'età evolutiva per la cui terapia e riabilitazione necessita il coinvolgimento dei genitori.
II periodo di congedo non è retribuito, non è coperto da contribuzione e non è computato nell'anzianità di servizio né a fini previdenziali. Il lavoratore ha la possibilità di riscattarlo o di effettuare il versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria. Un’eventuale licenziamento motivato dalla domanda o dalla fruizione del congedo è nullo. Occorrerà, pertanto, rivolgersi tempestivamente ad un avvocato per impugnare lo stesso.
Ultimo aggiornamento gennaio 2018