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Ricadute: cosa sono e trattamenti

 

Come riconoscere una ricaduta

Solitamente si parla di ricaduta quando c’è la comparsa di nuovi sintomi o il peggioramento di sintomi già presenti per una durata di 24 ore, in assenza di febbre e infezioni e se è trascorso almeno un mese dal precedente attacco. Una ricaduta, detta anche “recidiva” o “riacutizzazione”, “attacco”, “episodio acuto” o “evento clinico”, “poussè”, può durare anche alcune settimane.

 

Solitamente vengono trattate con l’utilizzo di terapia a base di steroidi ad alte dosi (il cosiddetto bolo steroideo), somministrata per pochi giorni, per contrastare la durata e la gravità dell’attacco. Può succedere che le ricadute più leggere si risolvano anche senza trattamento farmacologico. Dopo la fase acuta, i sintomi possono regredire completamente senza lasciare strascichi; in altri casi, invece, il recupero non è completo e si può verificare un peggioramento di alcune condizioni.

 

Soprattutto nei primi tempi dopo la diagnosi, non è facile riconoscere una ricaduta: può succedere di confondere una ricaduta con alcuni malesseri passeggeri dovuti invece a condizioni esterne come caldo eccessivo, infezioni e febbri. Con il tempo comunque si impara a individuarne i segnali.

 

 

 

Gli episodi acuti sono un momento difficile nel percorso di chi affronta la SM: oltre all’impatto provocato dal manifestarsi di nuovi sintomi o il ripresentarsi di sintomi già sperimentati, le ricadute sono fonte di preoccupazione, stress, malessere soprattutto per la loro imprevedibilità.

 

Ad oggi infatti non sono ancora chiari i fattori che possono portare ad una riacutizzazione della malattia.

 

È comunque importante ricordare che la ricaduta non è un’emergenza medica né un pericolo per la vita e che si può imparare ad affrontarle oltre che gestirle.

 

Le terapie per le ricadute

Le terapie dell'attacco si usano in presenza di ricadute e si basano sull’uso dei farmaci steroidei (cortisonici), in particolare del metilprednisolone, sfruttandone l’effetto antinfiammatorio. Numerosi studi clinici hanno dimostrato che gli steroidi abbreviano la durata dell’attacco, riducendone anche la gravità, sebbene la risposta al cortisonico sia variabile da individuo ad individuo e da ricaduta a ricaduta.

 

Gli steroidi possono essere somministrati per via orale (compresse), o con iniezioni in muscolo o in vena, sotto forma di fleboclisi. Quest’ultima è la modalità di assunzione più frequentemente utilizzata (in genere 500 o 1.000 mg di metilprednisolone per 3-5 giorni). Talvolta, a questo trattamento in vena, segue un breve periodo di terapia steroidea per bocca. Gli steroidi utilizzati per tempi così brevi sono solitamente ben tollerati; gli effetti collaterali più frequenti sono ansia, insonnia e disturbi gastrici. Per controllare i disturbi gastrici è pratica comune associare alla terapia steroidea un farmaco gastroprotettore. La presenza di diabete, ipertensione o patologia ulcerosa può comportare particolari cautele nell’utilizzo di cortisone.
 

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Ultimo aggiornamento 10 gennaio 2024

 

Nella foto: un'immagine dal reportage Under Pressure - Linving with MS in Europe. © 2011, Carlos Spottorno