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09/06/2020

Lo smartworking per le persone con disabilità: storia, opportunità e rischi

 

Venerdì 5 maggio è andato in diretta un proficuo dialogo tra AISM, rappresentanti delle istituzioni e altri stakeholder di riferimento per garantire un futuro lavorativo a tutte le persone con SM, patologie croniche e disabilità.  Dopo l'articolo pubblicato ieri  ecco ora come rappresentanti delle istituzioni, del sindacato, dei manager pubblici e privati hanno ricostruito il contesto in cui va collocato lo smarworkng , in particolare per le persone con disabilità, le opportunità da valorizzare, i rischi da evitare.

 

Silvia Stefanovichj, responsabile delle politiche per la disabilità del sindacato CISL, ha aperto la prospettiva in cui inquadrare lo smartworking evidenziando come «in Italia abbiamo già da prima di questa emergenza una normativa importante che introduce l’obbligo per i datori di lavoro di adottare quelli che si chiamano “accomodamenti ragionevoli”, che servono per facilitare la relazione tra la persona, con le proprie capacità e menomazioni, e il suo ambiente lavorativo, evitando così l’instaurarsi di una condizione di disabilità».

 

Il rimando è alla Legge 9 agosto 2013, n. 99 di conversione del decreto legge 28 giugno 2013, n. 76: recependo quanto indicato dall’Europa, prevede che «i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori», purché l’introduzione di questi accomodamenti non comporti oneri sproporzionati.

 

 

Senza dimenticare la storia, dunque, ma anzi valorizzando quanto già conquistato in termini di diritti, secondo Silvia Stefanovichj, «sarà importante che la norma sul diritto allo smartworking focalizzi questo strumento, per la persona con disabilità, come un vero e proprio strumento di accomodamento ragionevole. Dobbiamo evitare il rischio che la tutela e la sorveglianza sanitaria eccezionale cui sono sottoposti i lavoratori si traduca per le persone più fragili in un rischio di estromissione dal lavoro. Dobbiamo per questo lavorare su forme di sostegno nella contrattazione collettiva, miscelando diverse misure e istituti che nell’insieme possono essere vari accomodamenti ragionevoli per le persone con disabilità. Certo, le persone che non potranno tornare a lavorare nemmeno con gli opportuni accomodamenti ragionevoli dovranno avere il diritto e la possibilità di “stare fuori” dall’ambiente di lavoro per il tempo del contagio senza perdere il proprio posto. Ugualmente è necessario che le persone cui venga eventualmente riconosciuta una inidoneità parziale alla mansione, dovuta non a proprie difficoltà ma all’emergenza COVID-19, abbiano comunque garantita per legge una remunerazione».

 

Il senatore Tommaso Nannicini, della Commissione Lavoro Senato e professore di economia politica all’università Bocconi, ha ricostruito per lo smartworking un quadro di riferimento che, imparando dall’emergenza, disegni un futuro di diritti reali per tutti: «La fatica del cambiamento non ha risposte facili – ha ricordato - Per questo il confronto del mondo della politica con realtà come AISM è prezioso. In questo periodo di pandemia abbiamo scoperto uno smartworking all’amatriciana, diciamo, senza approfondire esattamente cosa sia e come debba effettivamente funzionare. Il lavoro agile, prima di tutto, è uno strumento per aumentare l’autonomia della persona, per garantirle maggiore flessibilità operativa. Ma è anche uno strumento che aumenta la produttività e porta a ripensare i processi produttivi. Non dovremo permettere che sia uno strumento che si limiti a scaricare i costi aziendali e nemmeno i pesi della conciliazione tra vita e lavoro soprattutto sulle donne e sui caregiver. E per le persone con disabilità e malattie croniche dovremo definire strumenti normativi che rendano lo smartworking un diritto esigibile, da vivere come momento di inclusione e sostegno alla carriera, ma non come una prigione dorata in cui venire confinati e neppure come un alibi per dimenticarsi a livello legislativo delle politiche di accessibilità nei luoghi di lavoro o nella mobilità».

 

Per dare allo smartworking un futuro basato su una solida visione d’insieme è stato prezioso il contributo di Mario Mantovani, Presidente Nazionale di CIDA, il network che associa 10 Federazioni e associa circa 140 mila dirigenti, manager e alte professionalità pubbliche e private. Mantovani ha posto l’accento sui processi, sugli aspetti organizzativi e sulla qualità del lavoro come strada maestra per il futuro che dobbiamo iniziare a costruire. «In alcuni momenti si deve ragionare sull’immediato ma anche su un futuro più a lungo termine: è quello che ora dobbiamo fare – ha affermato -. In questa emergenza ci siamo accorti di quanto sia centrale l’aspetto organizzativo per garantire la salute e il lavoro di tutti in modo capillare. Colpisce anche per questo il dato secondo cui solo 1 persona con SM su 3 di quelle che lo volevano sia riuscita ad accedere al lavoro agile: è il segnale serio di un modello che non decolla ancora. Ora: cosa deve essere lo smartworking vero e compiuto? Primo: bisogna lavorare per obiettivi e non per ore “di timbratura”. Questo consente di fare accedere al lavoro anche chi deve dedicare tempo alle cure. Secondo: non si deve mai dimenticare l’appartenenza del lavoratore a una comunità. E dunque bisogna garantire  il diritto di frequentare i colleghi e i responsabili aziendali in spazi accessibili, programmando tempi e spazi di socialità inclusiva. Inoltre dovremo fare un grande lavoro sugli spazi, non solo riducendo gli spazi fisici negli uffici ma anche investendo sugli spazi domestici, che in sé non sono pensati come luoghi per il lavoro agile. Infine dovranno essere garantiti adeguati strumenti di connessione, dalla linea internet ai computer per lavorare a distanza. Le persone con disabilità chiedono: “fateci lavorare, va bene tutto, purché si possa lavorare”. Questo è giusto, ma dobbiamo investire come Paese sulla qualità del lavoro, creare un lavoro di qualità, interessante, che generi reddito dignitoso, garantendo a tutti il diritto all’istruzione e allo sviluppo delle competenze. Inoltre un elemento di successo sarà la capacità di fare leva su organizzazioni, come AISM e anche come noi di CIDA, che hanno capacità di forte radicamento territoriale, in modo che le innovazioni arrivino realmente a tutte le persone ovunque vivano».

 

Insomma, di strada da fare ce n’è. E allora, come ha ricordato il Presidente Nazionale AISM, Francesco Vacca «noi persone con sclerosi multipla ci siamo, vogliamo essere parte attiva in questo percorso». Dello stesso tono la conclusione di Paolo Bandiera, Direttore Relazioni Istituzionali e Advocacy di AISM: «come Associazione siamo e saremo sempre pronti a un confronto preciso e ampio come quello di oggi. Con uno spirito reale di dialogo con tutti gli stakeholder, con la capacità di rimboccarci le maniche, lavorare insieme, produrre dati di realtà da cui partire, monitorare quello che stiamo realizzando. Con la voglia e l’orgoglio di esserci e fare insieme la differenza per affrontare la fatica del cambiamento».