Terapia immunomodulante e immunosoppressiva
I farmaci in grado di incidere sui meccanismi alla base della malattia, e quindi di modificarne il decorso, sono distinti in:
- Immunomodulanti, impiegati allo scopo di modificare con crescente precisione i delicati equilibri del sistema immunitario
- Immunosoppressori, in grado di ridurre globalmente l’azione del sistema immunitario.
I farmaci immunomodulanti attualmente approvati per la terapia del decorso della SM sono:
- Interferone beta 1a
- Interferone beta 1b
- Glatiramer acetato
- Natalizumab
Tra i farmaci immunosoppressori solo il mitoxantrone ha l’approvazione ufficiale per l’uso nella SM ma molti altri vengono usati nella pratica clinica come per esempio l'azatioprina e la ciclofosfamide.
Formulazioni e dosaggi
Esistono differenti formulazioni di interferone beta : IFN beta 1a, (somministrabili per via sottocutanea con frequenza trisettimanale o per via intramuscolare in monosomministrazione settimanale) ed IFN beta 1b (somministrabile per via sottocutanea a giorni alterni).
Il glatiramer acetato deve essere somministrato giornalmente per via sottocutanea.
Il natalizumab richiede una somministrazione per fleboclisi endovenosa con frequenza mensile, mentre il mitoxantrone via somministrato con frequenza mensile o trimestrale sino al raggiungimento di una dose totale massima che non può essere superata.
PROVE DI EFFICACIA
> Interferone beta
Gli studi di efficacia eseguiti negli anni ’90 e considerati di classe scientifica I (cioè tale da non richiedere ulteriori conferme) hanno dimostrato che la terapia con IFN beta 1a o IFN beta 1b sono in grado di ridurre il numero di ricadute di malattia del 30 % (ossia un terzo circa) agendo anche sul numero di nuove lesioni dimostrate con la risonanza magnetica.
Meno certa è l’efficacia di questi farmaci nel ridurre l’accumulo di disabilità nei pazienti, anche se probabilmente anche su questo parametro i farmaci hanno un effetto.
Nei soggetti con SM secondariamente progressiva le prove di efficacia della terapia con interferone sono assai meno forti: solo l’IFN beta 1b, e non in tutti gli studi eseguiti, sembra avere una certa azione protettiva nei pazienti in fase progressiva, peraltro correlata con la presenza residua di attività di malattia dimostrata alla risonanza.
Anche i pazienti che hanno presentato un singolo episodio clinico traggono beneficio dalla terapia con interferone: si osserva un significativo ritardo del secondo episodio clinico nei soggetti trattati.
In virtù di questi risultati la terapia con IFN è oggi consigliata ed approvata anche per i pazienti che hanno avuto un singolo episodio e a rischio pertanto di sviluppare SM definita.
Tutti questi risultati indicano che la terapia immunomodulante con interferone beta è tanto più efficace quanto prima viene intrapresa.
> Glatiramer acetato
Studi di efficacia eseguiti negli anni novanta hanno dimostrato una riduzione delle ricadute analoga a quella riscontrata con la terapia a base di interferone ebta (circa 30%) anche se gli effetti sui parametri di RM sembrano meno brillanti e l’efficacia di questa terapia richiede un tempo leggermente superiore.
Studi di sicurezza durati molti anni hanno confermato il buon profilo di tollerabilità del farmaco e la sua durevole azione positiva sul numero di ricadute.
Recentemente si sono conclusi studi sui pazienti in fase molto precoce di malattia (un singolo episodio clinico) ed è stata dimostrata anche per il glatiramer acetato un’azione ritardante sul verificarsi del secondo episodio clinico.
Mancano dati a supporto dell’efficacia del farmaco sui pazienti con forme secondariamente progressive.
> Mitoxantrone
Si tratta di un farmaco immunosoppressore usato da molti anni nella terapia di malattie autoimmune e, a dosi maggiori, nel trattamento di alcuni tumori.
Viene somministrato solitamente con dosi mensili o trimestrali, sino al raggiungimento di una dose totale che non può essere superata per non incorrere nel rischio di complicanze cardiache.
E’ indicato per pazienti con forme aggressive con frequenti ricadute e forme progressive con ricadute durante la progressione sulla base di studi clinici controllati che hanno dimostrato la sua efficacia nel ridurre la formazione di nuove lesioni in RM e l’incidenza di ricadute.
> Natalizumab
E’ farmaco di più recente approvazione, in grado di ridurre le ricadute del 60% circa rispetto alla terapia con placebo, dunque più efficace degli altri farmaci immunomodulanti.
Durante gli studi clinici che hanno portato alla sua approvazione si sono osservati alcuni casi di leucoencefalite multifocale progressiva, una grave infezione del sistema nervoso centrale, e successivamente altri casi si sono verificati dopo l’approvazione.
Il rischio di questo evento avverso sembra essere inferiore ad uno su mille dopo 18 mesi di terapia.
In ragione di questi eventi è indicato solo per pazienti con un'elevata attività della malattia nonostante la terapia con interferone-beta oppure pazienti con sclerosi multipla recidivante remittente grave ad evoluzione rapida. Viene somministrato per via endovenosa con frequenza mensile. Non è indicato per pazienti con forme progressive, mancando dati su questo tipo di pazienti.
ALTRE TERAPIE NON UFFICIALMENTE APPROVATE
> Ciclofosfamide. Potente immunosoppressore somministrato per via endovenosa con frequenza mensile, del quale è stata dimostrata una modesta efficacia in pazienti giovani con forme aggressive anche a decorso secondariamente progressivo con evidenza di attività di malattia.
> Azatioprina. Immunosoppressore utilizzato da alcuni decenni nella terapia della SM, somministrato per via orale. Gli studi clinici hanno dimostrato una discreta capacità nel prevenire le ricadute ma non è mai stata dimostrata una azione sulla disabilità a lungo termine. E’ in corso uno studio di confronto tra questo farmaco e gli interferoni.
> Metotrexato. Uno studio su pazienti con forme SP di malattia ha dimostrato una modesta azione ma mancano dati conclusivi. Viene solitamente somministrato per via orale alla dose di 7,5 mg alla settimana. Intensa immunosoppressione seguita da trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche Numerosi piccoli studi hanno dimostrato che questo approccio molto aggressivo è efficace nel rallentare significativamente la progressione della disabilità in pazienti con forme rapidamente evolutive in cui non sono state efficaci le terapie immunomodulanti ed immunosoppressive. La gravità potenziale degli effetti collaterali di questa terapia la limita però a pazienti giovani, con forme molto aggressive di malattia.