Nella foto: Massimo Filippi, Direttore dell’Unità Operativa di Neurologia e del Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale San Raffaele di Milano
Da soli si fa più in fretta, ma insieme si arriva più lontano. Lo sanno bene le persone con sclerosi multipla e AISM. Sempre di più questa è la scelta vincente anche nel mondo della ricerca, come conferma il professor Massimo Filippi, Direttore dell’Unità Operativa di Neurologia e del Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale San Raffaele di Milano e responsabile del progetto INNI, Italian Network of Neuro Imaging, di cui ha parlato al Congresso FISM 2019, durante la Giornata Mondiale della Sclerosi Multipla: «INNI, il progetto finanziato da AISM e la sua Fondazione FISM e partito nel 2014, risponde a un bisogno fondamentale e ancora privo di risposta nel mondo della sclerosi multipla: avere un ampio database di immagini di risonanza magnetica su un grande numero di pazienti distribuiti sui vari fenotipi di malattia e seguiti per molti anni. Tanti ne hanno parlato, molti stanno cercando di arrivarci anche a livello europeo, ma al momento INNI è l’unico ampio database esistente di dati di risonanza ‘ con certificato di qualità’, diciamo».
Questo percorso dà sostanza non solo a un bisogno scientifico privo di risposta, ma anche a una visione strategica della ricerca, degli orizzonti e delle mete deve raggiungere: «Avere gli strumenti per condurre ricerche più robuste dal punto di vista della dimensione numerica e delle caratteristiche dei pazienti inseriti - afferma ancora Filippi - significa non solo mettersi nelle condizioni migliori per comprendere una malattia complessa come la SM, ma anche rispondere concretamente alla strategia complessiva dell’Agenda della ricerca della SM. Se spendiamo, anche tanto, ma insieme, questo risulta più sostenibile dello spendere magari poco ma ognuno per conto proprio. Il lavorare insieme, con qualità condivisa, risponde nel modo migliore a logiche di efficienza e di efficacia della ricerca. E ottiene anche un più rapido impatto a favore delle persone con SM».
Possiamo dare alcuni numeri sui dati effettivamente contenuti e spiegarne le principali caratteristiche?
«La grande innovazione di INNI, quella che fa la differenza, sta nel fatto che nella banca dati informatizzata sono presenti non i referti di risonanza magnetica ma le immagini di risonanza magnetica dei pazienti, che possono essere utilizzate in svariati tipi di analisi. Per la precisione, a oggi, nella nostra ‘repository’ sono presenti 3.400 esami eseguiti per tutte le forme di SM; il 66% sono donne, il 34% sono uomini, con durata media di malattia di 12.9 anni e EDSS medio di 3.0. I soggetti con forme progressive di malattia inclusi sono 311. Il follow up più lungo tra i pazienti inclusi ha una durata di 11 anni. La maggior parte dei soggetti ha, al momento attuale, un follow-up di 2 anni. INNI raccoglie immagini di risonanza magnetica tradizionale e immagini ottenute con tecniche avanzate (diffusione, risonanza magnetica funzionale, ecc.) nonché dati clinici e neuropsicologici le funzioni cognitive».
Qual è il cuore di INNI?
«Capire su grandi numeri di persone quali sono i meccanismi attraverso cui si instaura un danno neurologico irreversibile, che poi si può tradurre in un deficit locomotorio, in un deficit cognitivo, nella fatica, nei vari problemi che accusano le persone con SM. Quando capiremo quali sono i meccanismi e i passaggi che portano da un cervello normale a un cervello con patologia SM, potremo finalmente identificare la terapia risolutiva che vada a bloccare la strada che porta dall’uno all’altro. E certamente grazie a INNI potremo realizzare studi che consentano di trovare la chiave per arrivare a una vera medicina personalizzata».
Da INNI sono già nate pubblicazioni o progetti di ricerca?
«Nel 2017 abbiamo pubblicato su Neurological Sciences la presentazione del progetto stesso[1]. Oggi i quattro Centri promotori stanno effettuando quattro diversi percorsi di ricerca sui dati disponibili. Al San Raffaele di Milano stiamo realizzando un progetto di valutazione dell’atrofia su un ampio campione di pazienti di tutti i fenotipi con un follow up variabile da due a 10 anni. Il Centro di Siena, diretto dal Professor De Stefano, sta lavorando sulla tecnica di ottimizzazione dei sistemi di misurazione dell’atrofia. A Roma, il gruppo della professoressa Pantano sta valutando gli aspetti di riorganizzazione corticale con risonanza magnetica funzionale. Infine il Centro di Napoli, diretto dal professor Tedeschi, andrà a studiare con i dati di INNI due sottotipi di malattia, quella ad altissimo carico lesionale e quella a bassissimo carico lesionale per vedere se questi due gruppi di pazienti sono caratterizzati da aspetti differenti che possano rendere conto della differente entità del danno cerebrale».
AISM finanzia INNI e anche il Progetto del Registro Italiano di Sclerosi Multipla, certamente per supportare l’evoluzione della ricerca ma anche per avere dati aggregati e consistenti che possano supportare le scelte dei decisori politici in tema di politiche socio- sanitarie. Se è vero che l’unione fa la forza, è previsto che i dati di INNI e quelli del Registro si integrino?
«Certamente. Nel nostro database sono presenti, in modo totalmente anonimizzato, anche i dati clinici delle persone di cui abbiamo le immagini di risonanza magnetica. Su specifica richiesta di FISM, gli informatici che hanno progettato il database di INNI l’hanno costruito in modo che fosse compatibile con la banca dati del Registro Italiano di SM. Contiamo dunque che un giorno i due database si possano effettivamente intersecare anche per gli scopi di supporto alle richieste che un’associazione come AISM intende avanzare in termini di politiche socio-sanitarie».
Dal suo osservatorio, professor Filippi, quali saranno le nuove frontiere che la ricerca centrata sulla risonanza magnetica andrà a varcare nel prossimo futuro?
«La prima frontiera riguarda l’uso sempre più efficace della risonanza magnetica per la diagnosi differenziale rispetto ad altre patologie che mimano la SM. Invece, l’altra frontiera riguarda il monitoraggio dell’evoluzione della malattia. Lo sviluppo futuro vedrà la risonanza magnetica documentare come il danno corticale nelle fasi iniziali sia un predittore efficace di come la malattia evolverà a distanza di 15-20 anni. Inoltre la risonanza magnetica funzionale evidenzierà sempre meglio come il danno dei tessuti cerebrali e midollari interagisca con le capacità riparative e riorganizzative delle singole persone colpite. Infine, contiamo che venga dato valore allo studio del midollo spinale. È la sede del sistema nervoso centrale dove corrono tutte le vie locomotorie e non è stato ancora stato studiato in maniera seria, sistematica e significativa, almeno in riferimento alle forme secondariamente progressive che hanno come danno clinico principale proprio la compromissione del cammino. Oggi abbiamo le competenze e le tecniche che ci consentono di avanzare in questo campo».
[1] Filippi M, Tedeschi G, Pantano P, De Stefano N, Zaratin P, Rocca MA; INNI Network.The Italian Neuroimaging Network Initiative (INNI): enabling the use of advanced MRI techniques in patients with MS. Neurol Sci. 2017 Jun;38(6):1029-1038.