Uno studio dell'Università di Verona è tra i 22 scelti dalla Progressive MS Alliance per trovare nuove soluzioni e trattamenti a questa forma di SM. L'intervista al coordinatore Massimo Calabrese dell'Università di Verona
12/10/2015 Dopo aver vinto il primo bando della Progressive MS Alliance nel 2014, le ricerche del dottor Calabrese illustrate più sotto sono proseguite. Uno degli studi prodotti da questo finanziamento è stato presentato all'ECTRIMS 2015, vincendo il Premio come miglior poster. Increased production of pro-inflammatory cytokines and chemokines in the cerebral leptomeninges of MS cases with more severe cortical pathology. C. Cruciani, R. Magliozzi R. James, E. Browne, R. Schalks, L. Fuentes, A. Bradley, O. Howell, M. Calabrese and R. Reynolds. |
C’è un pezzo di Italia tra i 22 progetti selezionati dal primo bando internazionale da 1 milione e 125 mila euro indetto nel 2013 dalla Progressive MS Alliance, in cui AISM è in prima fila. È lo studio proposto dal dottor Massimiliano Calabrese (Policlinico GB Rossi – Verona) intitolato: Can the degree of meningeal inflammation and cortical pathology be used to stratify early progressive MS patients?
In occasione del Congresso ECTRIMS, a Boston dal 10 al 13 settembre 2014, sono stati presentati i vincitori del Bando, tra cui il Dr. Calabrese, ed è stato prolungato l’impegno nella ricerca di una soluzione per le forme progressive di SM con l’annuncio di un secondo bando. Abbiamo intervistato il dottor Calabrese per capire i dettagli del progetto.
In cosa consiste la ricerca che verrà finanziata dalla Progressive MS Alliance?
«È abbastanza semplice: cerchiamo di individuare precocemente quali sono i pazienti che entreranno rapidamente nella fase progressiva della malattia. L’entrata nella fase progressiva è un momento davvero critico per il paziente, determina la perdita di efficacia delle terapie attualmente disponibili e un accumulo di disabilità che difficilmente si riesce a controllare. Per questo è determinante riuscire a comprendere in anticipo quali sono i pazienti che hanno una maggiore probabilità di evolvere velocemente verso la fase progressiva, così da poterli indirizzare sin dall’inizio alle terapie più potenti ed efficaci tra quelle disponibili».
Qual è, a suo avviso, l’impulso innovativo che ha permesso a questo progetto di essere selezionato?
«L’innovatività di questo studio è in due aspetti cruciali: anzitutto cerchiamo di studiare i pazienti prestissimo, quando per la prima volta si propongono a un Centro SM. Inoltre per la prima volta, almeno per quel che riguarda noi, integriamo nello stesso gruppo di ricerca le tre grandi expertise che oggi stanno lavorando sulla SM, e cioè l’immunologo/neuropatologo che si occupa dell’analisi liquor cerebro-spinale; l’esperto di neuro-immagini che si occupa di eseguire un’avanzatissima risonanza magnetica, e il clinico che si occupa direttamente della cura dei pazienti e ne valuta l’accumulo di disabilità. In particolare in questo progetto avro’ due collaboratori d’eccezione: l’immunologa di riferimento del progetto è una giovane ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità, Roberta Magliozzi, mentre come neuropatologo avrò la fortuna di collaborare con il Prof. Richard Reynolds, dell’Imperial College di Londra che metterà a nostra disposizione la sua banca dati neuropatologica, tra le piu’ grandi del mondo».
Cosa si fa, praticamente?
«Anzitutto effettuiamo una risonanza magnetica ad alta innovazione tecnologica. Un’équipe di ingegneri, del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Padova, mi ha aiutato a mettere a punto una serie di innovative sequenze di risonanza magnetica volte allo studio non solo della sostanza bianca ma anche della sostanza grigia ed in grado di evidenziare non solo i danni strutturali ma anche quelli funzionali, studiando quindi anche i meccanismi di compenso del nostro cervello e, che oggi si sanno essere molto importanti già nelle prime fasi della malattia. Cerchiamo così di identificare per mezzo della risonanza magnetica i pazienti che già all’inizio denotano quei segni di danno a carico della sostanza grigia, per esempio a livello corticale o spinale, che possono fare pensare a un’evoluzione peggiore della malattia. A questi dati radiologici ed a quelli clinici si unirà un’accurata analisi delle molecole infiammatorie presenti nel liquor cerebro-spinale ricavato al momento della puntura lombare, anche in questo caso usando una tecnologia innovativa che i Colleghi dell’Istituto Superiore di Sanità hanno messo a punto. Lo scopo finale sarà quello di creare per ogni paziente un preciso profilo di rischio già al momento della prima visita».
Per dare un’idea della potenza statistica, che potrebbe poi permettere di mettere a punto un target di riferimento anche per il resto del mondo, quante persone verranno da voi studiate?
«Prevediamo di inserire almeno 80 pazienti con SM e un gruppo di pazienti con altre patologie che entrano in diagnosi differenziale con la SM. Avremo quindi alla fine 3 gruppi di pazienti: quelli con elevato carico corticale e quindi a maggiori rischio di entrare nella fase progressiva, quelli a basso rischio e quelli che non sono affetti da SM».
A quale ipotesi lavorate?
«Miriamo a identificare il gruppo di pazienti a maggiore rischio di evolvere rapidamente in forma progressiva, per i quali poi si potranno mettere a punto studi successivi volti alla personalizzazione della terapia sulla base della nostra stratificazione del rischio. Contiamo per esempio di poter identificare quel gruppo di pazienti che presentano caratteristiche prognostiche migliori, su cui quindi si potrebbero disegnare trials clinici che utilizzano farmaci piu’ leggeri e con minori effetti collaterali. Se si riuscisse a identificare anche solo un 5% di pazienti con caratteristiche di benignità fin dall’inizio, ed a limitare quindi in maniera significativa l’uso di terapie aggressive, questo si tradurrebbe in un indubbio vantaggio clinico per il paziente e la sua qualità di vita ed economico per il SSN».
Quanto tempo ci vuole, nel vostro progetto, per arrivare a identificare i diversi gruppi?
«Il progetto prevede che basti un anno per avere un’idea di quali siano i marcatori biologici, radiologici e clinici da prendere in considerazione. Ovviamente i pazienti andranno seguiti per un periodo maggiore per confermare i risultati ottenuti. Tuttavia già alla fine del primo anno potremo verificare se l’andamento clinico fino a quel momento risulta congruente con la nostra analisi del rischio. Questo già sarebbe un gran risultato, dalle incredibili implicazioni cliniche e farmaco-economiche».
Da dove nasce e dove pensa che arriverà questo percorso?
«Un altro dei punti di forza di questo progetto è costituito dai dati preliminari che abbiamo raccolto nell’ultimo anno e mezzo e che confermano la fattibilità del progetto. Tante volte si provano cose che non hanno futuro. Quando invece inizi ad acquisire dati preliminari convincenti, allora in quel caso sei anche più interessato a dare di più nel tuo ricercare, perché sai di essere sulla strada giusta. I dati preliminari di cui disponiamo già indicano che è realmente possibile ottenere classi di pazienti differenziate già al termine del primo anno. Ora è il momento di dare sostanza a questi inizi promettenti».
Chi ci guadagnerà di più e cosa, se lo studio avrà successo?
«Il paziente è il centro di questo progetto e, se avremo esito positivo, guadagnerà la possibilità di ricevere un trattamento davvero personalizzato in grado di limitare sin dall’inizio il rischio che la sua SM a ricadute e remissioni evolva nella forma progressiva. Infine, pensando anche in termini economici, potremmo anche fare risparmiare risorse alle casse della sanità pubblica, evitando al massimo il rischio di pagare farmaci piu’ aggressivi per le persone sbagliate».
Volendo riassumere il cuore del vostro progetto, potremmo parlare di interdisciplinarità e di personalizzazione, ossia della capacità di consigliare a ogni paziente il trattamento giusto al momento giusto?
«Certamente si, ma aggiungerei una terza considerazione: abbiamo costituito un pool di giovani ricercatori, tutti sotto i 40 di età (con l’eccezione del Prof Reynolds che ci fa un po’ da mentore). Al di là delle belle parole che si sentono spesso, oggi si fa sempre piu’ fatica a trovare chi dia realmente spazio e fiducia ai giovani ricercatori italiani. Per questo volevo ringraziare, l’International MS Alliance e la FISM, uno dei principali promotori di questa iniziativa, per aver creduto in un gruppo di giovani. Questo è un grande incoraggiamento oltreché un investimento sul futuro della ricerca in Italia e delle persone con SM progressiva».
Giuseppe Gazzola