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19/09/2024

Paolo Muraro al Congresso ECTRIMS 2024: il trapianto di cellule staminali ematopoietiche può fare migliorare la disabilità acquisita

Presentati il 18 settembre al Congresso i dati di monitoraggio di 20 anni di trattamento con cellule staminali ematopoietiche nel Regno Unito. Lo stato dell’arte della ricerca in questo ambito.

 

Negli ultimi 20 anni 363 persone con sclerosi multipla sono stati trattate, nel Regno Unito, con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT) dopo intensa immunosoppressione. «Si tratta – ha spiegato oggi al Congresso ECTRIMS, durante la sessione scientifica su “HSCT, immune reconstitution therapies” il Professor Paolo Muraro, Imperial College, Londra – di persone che per il 60% avevano forme di sclerosi multipla a ricadute e remissioni e per il 40% avevano forme primariamente o secondariamente progressive di SM. Tutte sono state trattate perché stavano sviluppando forme molto aggressive di malattia e si erano dimostrate refrattarie, non rispondenti ai trattamenti con i farmaci modificanti l’andamento di malattia disponibili. Delle quasi 400 persone trattate abbiamo potuto analizzare e presentare tutti i dati necessari di monitoraggio (follow up) per un gruppo complessivo di 271 persone».
È sempre importante sapere come vanno le cose nella vita reale delle persone, se poi si guarda a un periodo così lungo l’osservazione è ancora più rilevante.

 

Attenzione alla sicurezza del trapianto
«Il primo dato, da considerare sempre, riguarda la sicurezza della procedura: purtroppo 4 persone, che avevano forme particolarmente avanzate e aggressive di malattia, sono venute a mancare. Questa procedura ha sempre un rischio di mortalità, che nel nostro caso si attesta attorno all’1,1%. È uno dei motivi per cui è necessario scegliere con la massima attenzione le persone da avviare al trattamento, sempre da svolgere in Centri specializzati all’interno di studi clinici guidati da protocolli rigorosi», afferma Muraro, che aggiunge: «nel tempo sono sicuramente migliorati sia i protocolli e le metodologie di trapianto, sia le cure supportive che accompagnano il trattamento».

 

Le buone notizie
Ci sono evidenze positive interessanti per la vita delle persone trattate e per gli stessi ricercatori.
1/ Una percentuale importante della popolazione trattata, l’83.5% a due anni dal trapianto e il 62% a 5 anni mantiene agli esami di controllo una reale assenza di progressione della sclerosi multipla rispetto a quanto succedeva prima dell’intervento.

 

 


2/ Il 72% delle persone a due anni dal trattamento mantiene una verificata assenza di attività della malattia (NEDA, Nessuna Evidenza di Attività di Malattia), rilevata agli esami clinici e strumentali, in particolare di risonanza magnetica. La percentuale delle persone senza attività di malattia scende al 48% a 5 anni dal trattamento.


3/ Dividendo il gruppo delle persone trattate tra quelle con forme a ricadute e remissioni e quelle con forme progressive si evidenzia un miglior esito del trapianto nelle persone con forme a ricadute e remissioni: «il dato “NEDA” (non evidenza di attività di malattia), infatti, a 5 anni dal trattamento si attesta attorno al 54% per le persone con forme a ricadute e remissioni e scende appena sotto il 40% per le persone con forme progressive», spiega ancora Muraro. 
Anche in una parte delle persone con forme progressive, comunque, questo approccio terapeutico dimostra una certa efficacia, a maggior ragione se si considera che viene proposto a persone con forme particolarmente aggressive di malattia.


4/ Il dato forse più importante di questo studio “in real life” (nella vita reale) riguarda il miglioramento del livello di disabilità in parte delle persone trattate. Come spiega lo stesso Muraro «da sempre le terapie mirano a evitare il peggioramento e a ‘fermare’ la malattia e soprattutto la disabilità al livello in cui si trova quando viene diagnosticata. Con il trapianto abbiamo osservato invece che è possibile avere anche un miglioramento: nel 25% dei 272 pazienti di cui abbiamo tutti i dati di monitoraggio si è verificato un miglioramento dei livelli di disabilità misurata con scala EDSS. Un miglioramento che, nel 20% sempre del totale, si mantiene anche a 5 anni di distanza». 

 

Non per tutti dunque, ma per una quota significativa delle persone con forme di SM aggressive e resistenti alle altre terapie, il trapianto restituisce una migliore autonomia motoria, che vuol dire maggiore dignità e nuove prospettive di vita oltre la sclerosi multipla: «questi dati – conclude Muraro – del nostro studio cosiddetto in “Real World” possono essere visto con ottimismo e speranza: confermano l'utilità del trapianto e un certo beneficio generato in un numero significativo di pazienti con forme molto aggressive di SM e resistenti alle terapie disponibili».

 

La ricerca continua
Una delle più grandi domande cui la ricerca mondiale sta cercando di dare risposta, ora, riguarda il confronto di sicurezza ed efficacia del trapianto di cellule staminali ematopoietiche dopo intensa immunosoppressione rispetto alle terapie ad alta efficacia che oggi sono disponibili, aumentate significativamente rispetto a 20 anni fa.
«Per questo – aggiunge Muraro – sono in corso 4 studi randomizzati in singolo cieco». 
Il paziente non è in cieco, evidentemente sa se ha ricevuto il trapianto o una terapia ad alta intensità tra quelle disponibili; invece il clinico che analizzerà i risultati dei due gruppi in studio non saprà come sono stati trattati i pazienti.
«Gli studi -  continua Paolo Muraro - intendono fare un confronto tra i risultati ottenuti tramite il trapianto e quelli ottenuti utilizzando le terapie ad alta efficacia, in particolare quelle con anticorpi monoclonali principalmente e in generale con farmaci immunosoppressori. 
Un primo studio è stato predisposto in ambito scandinavo: ha completato il reclutamento molto recentemente. Esiste poi un analogo studio negli USA, in cui è in corso il reclutamento dei pazienti per la ricerca. Un terzo studio, nel Regno Unito, osserverà pazienti inglesi e scozzesi: il reclutamento è in corso ed è quasi completato (aggiornamento: giusto completato!); Infine ci sarà uno studio italiano, promosso anche da FISM, impegnata da anni nel supporto a questo ambito di ricerca, che è in attesa di apertura».


Per avere i risultati servirà tempo: anche negli studi che hanno completato o stanno completando il reclutamento ci sarà bisogno di un follow up di almeno 2 o 3 anni dopo il trattamento. E chiaramente non tutti verranno trattati simultaneamente.
E quindi si dovrà attendere fino a quando tutti i pazienti inseriti avranno raggiunto i rispettivi “end point” (la fine dell’osservazione), per capire a che livello di efficacia si pone HSCT rispetto alle altre terapie.


«Da questi studi – conclude Muraro - arriveranno risposte solide per capire se questo possa essere un trattamento alternativo alle terapie classiche, se possa risultare anche più efficace e altrettanto sicuro delle altre terapie e per quali tipologie di pazienti in particolare».

 

Guarda lo Speciale ECTRIMS 2024

 

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