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08/04/2013

Qual è il futuro del welfare?

 

 

I tagli drastici alla spesa sociale hanno prodotto pochi benefici ed elevati costi sociali. Necessario definire la priorità d'intervento e organizzare i servizi della comunità. In questa intervista pubblicata su SM Italia 2/2013 ne parliamo con Cristiano Gori, esperto di politiche sociali

 

Non ci sono più soldi per il welfare. I dati parlano chiaro. Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS), ovvero «la fonte di finanziamento specifico degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, così come previsto dalla legge quadro di riforma del settore, la 328/2000 (vedi Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali)» è passato dagli oltre 923 milioni di euro del 2008 ai 42,9 del 2012. Nel 2013 avrà a disposizione 344,6 milioni di euro ma nel 2014 scenderà di nuovo a 40 milioni di euro. Ma c’è di più. Il Fondo per la Non Autosufficienza, volto allo sviluppo di una rete di servizi centrati sui bisogni delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie e finanziato con 400 milioni di euro nel 2009, è stato azzerato nel 2011 e 2012. Per quest’anno è stato ripristinato ma solo con 275 milioni di euro. E non c’è nessuna previsione per il 2014. Ancora, il Fondo per le Politiche della Famiglia è sceso dai 346,6 milioni di euro del 2008 ai 31,9 del 2012.

 

Da qualsiasi prospettiva si guardi, c’è una drastica riduzione degli strumenti pubblici per dare realtà ai diritti di tutti. Perché? E, soprattutto, che futuro possiamo attenderci? in questa intervista pubblicata su SM Italia 2/2013, ne abbiamo parlato con Cristiano Gori, Docente di Politiche Sociali dell’Università Cattolica di Milano, editorialista de ‘Il Sole 24 Ore’ e Direttore responsabile della rivista ‘Welfare oggi’.

 

Come definirebbe il welfare degli ultimi anni?
«Tagliato senza motivo. Le riduzioni di spesa sono state giustificate in nome di una supposta razionalità economica, ma hanno portato un beneficio molto piccolo al bilancio pubblico. Sono stati prodotti bassi risparmi con elevati costi sociali».

 

Quanto costa il welfare in Italia?
«Meno che in Europa: la spesa media italiana per disabilità e non autosufficienza, povertà, famiglie con figli è decisamente inferiore alla media europea. Inoltre, se la spesa pubblica in Italia rappresenta nel suo complesso il 50% del Prodotto Interno Lordo (PIL), la spesa per i servizi sociali comunali è lo 0,42% del PIL e solo un quinto è speso nei servizi per la disabilità».

 

La spesa sociale potrà aumentare in futuro?
«Assolutamente no. È vero che i servizi sociali non costano molto, ma è altrettanto evidente che d’ora in avanti ci saranno meno soldi per la spesa pubblica, e dunque anche per il sociale. Nel 1950 la spesa pubblica era il 20% del PIL, nel 2010 era arrivata al 50%. Ora è finito lo spazio per un’ulteriore crescita. Nel frattempo, sono aumentati i soggetti che hanno diritto a fruirne».

 

Come ci si regolerà, allora?
«Diventa molto più forte e potenzialmente conflittuale il tema politico della definizione delle priorità. Se il nuovo Governo mettesse in programma di incrementare la spesa pubblica di 10 miliardi di euro, comunque la somma delle esigenze di sociale, Università, scuola, sistema sanitario risulterebbe molto superiore a questa cifra. Bisognerà dunque scegliere bene a chi dare fondi e, insieme, a cosa si è disponibili a rinunciare per sostenere le necessità ritenute essenziali».

 

Può fare qualche esempio?
«Mettiamoci nei panni di un Ministro, assessore o dirigente di una ASL. Se toccasse a noi, preferiremmo spendere per aumentare i nidi ai bambini e le possibilità di lavoro per le madri o per dare contributi alla disabilità? Garantiremmo lo sportello unico di presa in carico per le persone con disabilità o le ore di assistenza domiciliare per gli anziani gravemente non autosufficienti?  Spenderemmo 100mila euro per una prestazione chirurgica che può allungare la vita di tre mesi a un malato terminale o per garantire per alcuni anni a tre persone con disabilità la frequenza di un Centro diurno?»

 

Come si può rendere equo il welfare di domani?
«Da una parte, sarà prioritaria la questione dei diritti. Oggi l’unico diritto garantito è quello ad alcune prestazioni monetarie come la pensione di invalidità civile, pur con parametri di accesso resi più restrittivi. Ma per servizi come i Centri per disabili non esiste alcun diritto minimo garantito. Per questo risulta più semplice chiuderli. A partire da un’attenta valutazione, si tratterà di trovare i soldi che permettano di garantire a ogni persona con fragilità i servizi e le prestazioni cui hanno diritto».

 

Quanto conta la comunità nell’affermazione dei diritti?
«È il secondo fondamento del welfare futuro: bisognerà organizzare i servizi nel territorio, vicino alle persone. Non diritti concessi dall’alto, ma affermati nella rete sociale e civile».

 

Giuseppe Gazzola

 

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