Un allenamento per il cervello, dinamico, che avviene soprattutto durante l'età giovanile, nell'infanzia e nell'adolescenza. E che è un indicatore importante del futuro inserimento socio-lavorativo. Ma anche del funzionamento cognitivo. I ricercatori la chiamano riserva cognitiva e rappresenta una sorta di cuscinetto contro i danni e i problemi legati ad alcune malattie neurologiche. Così tanto, racconta la professoressa Maria Pia Amato, del Dipartimento di Neuroscienze, Area del Farmaco e Salute del Bambino (NEUROFARBA) dell'Università di Firenze, che sarebbe importante allestire degli interventi ad hoc focalizzati proprio sull'arricchimento intellettivo, specialmente nei bambini e negli adolescenti che sperimentano esordio pediatrico della sclerosi multipla.
È questa una delle letture più importanti dei dati preliminari presentati al Congresso scientifico annuale FISM dalla Amato, che da tempo si occupa del tema. In passato, infatti, la ricercatrice aveva osservato che la riserva cognitiva può essere un fattore preventivo e in grado di compensare, in parte, danni associati a malattia, ma solo in una ristretta finestra temporale, e per danni neurologici contenuti. Ma non solo: Amato ha già osservato come una scarsa riserva cognitiva predicesse un più elevato rischio di disoccupazione.
Al Congresso FISM sono arrivati i nuovi dati relativi a questo aspetto, emersi dall'analisi dei traguardi socio-professionali di persone con sclerosi multipa a esordio pediatrico e quelli in età adulta, paragonati con le misure di riserva cognitiva. Sei i centri italiani che hanno partecipato allo studio, con un totale di oltre duecento pazienti. «Quello che abbiamo osservato è che la frequenza di problematiche cognitive non era significativamente diversa nei due gruppi - racconta Amato - anche la riserva cognitiva, che abbiamo estrapolato dal quoziente intellettivo stimato pre-morboso dal livello di educazione, scolarità ed stato socio-economico dei genitori non era significativamente diversa, anche se c'era una tendenza nei pazienti con esordio in età pediatrica ad avere un QI più basso, comunque non significativa». Allo stesso modo, continua Amato, nessuna differenza è stata osservata tra i due gruppi riguardo i risultati ottenuti in ambito socio-lavorativo. La presenza di un potenziale maggiore di compensazione nei casi di malattia ad esordio precoce potrebbe essere uno dei meccanismi in grado di spiegare l'assenza di differenze osservate.
Quello che però è degno di nota, come emerge da queste analisi preliminari, è che un terzo delle persone in entrambi i gruppi non era occupato, mentre circa il 60% era occupato in attività classificate, secondo l'Istat, a bassa complessità. «È chiaro che l'inserimento socio-professionale, almeno in questo campione, che riflette la popolazione italiana, non è pienamente soddisfacente», commenta Amato. Tra i fattori correlati con migliori risultati dal punto di vista socio-lavorativo figurano la giovane età, bassi livelli di disabilità e alti livelli di istruzione.
La riserva cognitiva, continua la ricercatrice, è tra i fattori che più pesano nell'inserimento sociale e professionale. Ecco perché potenziarla, soprattutto nei casi di esordio in età pediatrica, con interventi mirati è fondamentale: «Gli esordi giovanili di malattia avvengono in una fase critica per la formazione di questa riserva cognitiva e di crescita del stesso sistema nervoso – commenta Amato – focalizzarsi su interventi precoci di arricchimento intellettivo è molto importante, anche per contrastare il rischio di isolamento sociale e riduzione delle attività svolte, legate proprio alla malattia”. I prossimi passi, conclude la ricercatrice, riguarderanno lo studio di una sotto-popolazione che ha riserva cognitiva particolarmente bassa e quali sono le eventuali problematiche correlate, insieme alla valutazione dell'impatto di depressione e fatica.