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18/05/2015

SM Italia 2/2015. Il condominio collaborativo

Andrea ha 46 anni, la SM dal 1993. Sogna un luogo in cui abitare in assoluta autonomia, insieme ad altre persone nella sua condizione. Un'anteprima dell'intervista su SM Italia 2/2015

Coabitare - SM Italia 2/2015

 

Ha 46 anni e la sclerosi multipla dal 1993, vive a Torino e fino a quando la malattia glielo ha permesso ha lavorato come geometra. Poi, quando un anno e mezzo fa a causa della progressione della malattia ha dovuto smettere, Andrea Galliana si è chiesto: «E adesso che futuro mi aspetta? Di cosa ho bisogno per vivere degnamente la mia vita senza gravare su nessuno?». La risposta è il condominio collaborativo. Che cos’è ce lo ha spiegato lui stesso: «Ho pensato che sarebbe bello vivere in modo autonomo, in una casa a mia misura, dentro un condominio dinamico, dove abitano altre persone nella mia condizione, con cui condividere scopi, attività e spazi – dice – Insieme ad alcuni amici architetti, abbiamo concepito questo condominio collaborativo: ora la mia ragione di vita è riuscire a realizzarlo».

 

Andrea, in cosa consiste il condominio collaborativo?
«È un condominio dove una persona con disabilità può vivere in casa sua in perfetta autonomia, ma, condividendo con gli altri spazi comuni quali ad esempio una palestra per la riabilitazione, una sala medica e un open space per il telelavoro. Nel progetto è prevista anche la casa per un custode, presente 24 ore su 24. E ci sarà una stanza con bagno a disposizione di chi professionalmente si occupa di noi. C’è poi una cucina, un terrazzo, un orto comune accessibile e un giardino per tutti, dove invitare amici e parenti per qualche festa».

 

Da dove ti è venuta l’ispirazione?
«Principalmente da esigenze personali, sapendo che sono le stesse di tantissime altre persone. Poi a Torino ho incontrato CoAbitare e Casematte, due associazioni culturali che promuovono l’abitare collaborativo e il ‘cohousing’, cioè un modo di vivere il condominio che permette di riscoprire la socialità e la cooperazione tra vicini di casa, coniugando ambienti privati e spazi comuni. Si è diffuso a partire dagli anni ‘70 nel Nord Europa e negli Stati Uniti, mentre in Italia è ancora poco presente. La vera novità è stata quella di plasmare tale tipologia di abitazione ad una patologia clinica. In futuro la cosa potrebbe riguardare altre patologie».

 

L'intervista completa è pubblicata su SM Italia 2/2015, disponibile a breve online