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16/04/2012

Antonella Ferrari: «vivere, non sopravvivere, oltre la SM»

 

L'attrice è da più di dieci anni madrina e testimonial di AISM. Un legame lungo, intessuto di affetti e di scelte condivise. Esce la sua autobiografia «Più forte del destino», parte dei proventi saranno devoluti all’Associazione

 

Antonella FerrariCi sono vite in cui il destino o comunque una realtà non scelta, come una malattia, sembrano voler cancellare lustrini e paillettes. E ci sono persone che, tenaci, testarde, veramente normali nella voglia di essere se stesse e realizzare i propri obiettivi, riescono a essere più forti del destino. O, almeno, a lottare ogni giorno per riuscirci. Antonella Ferrari, da tempo madrina e testimonial di AISM, è una di queste persone. Per conoscerla più da vicino, per ritrovare la nostra stessa esperienza nella sua, possiamo leggere la sua autobiografia, Più forte del destino, uscita il 17 aprile 2012 per Mondadori. L'abbiamo intervista per l'occasione.

 

Quanto tempo ci hai messo a scrivere il libro, Antonella?
«Quattro mesi pieni per la scrittura vera e propria. Prima però c’è stato un grande lavoro sulla memoria: ho parlato a lungo con mia mamma e i miei fratelli, per recuperare quelle parti di storia che avevo volutamente rimosso, probabilmente perché erano e sono ancora troppo dolorose da guardare. È stato uno sforzo sovrumano, tornare a recuperare quello che volutamente avevo cancellato».

 

Ne è valsa la pena?
«Se il risultato è che si capisce, che il libro può arrivare ed è semplice come volevo, allora sono contenta. Contenta anche di avere condiviso con le persone tutto il mio dolore. Non credo, assolutamente, a chi si propone come invincibile, a chi dice che la malattia è un’opportunità. Non sono come chi afferma che, se potesse tornare indietro, vorrebbe essere così come è ora. Io se tornassi indietro vorrei essere la ballerina che ero, e avere le gambe più disponibili. Ciò non toglie che sono felice ugualmente, ho trovato una serenità abbastanza continua. Ma non posso dire di essere entusiasta di avere la sclerosi multipla: potessi, ne farei volentieri a meno».

 

Però hai scritto che “si può fare”, ossia che con la SM si può vivere dignitosamente. Come ci riesci?
«Il segreto è credere nei desideri e avere uno scopo. Sono i sogni a farti rialzare quando il dolore ti butta per terra. Credo che si debbano sempre avere anche piccoli sogni, piccole mete da raggiungere, ogni giorno. Qualcosa che ti faccia avere voglia di alzarti il mattino».

 

Ho trovato nel libro tre aggettivi con cui ti definisci: combattiva, ottimista, testarda. Ci sono anche tre verbi che ti fanno da guida?
«Lavorare, sognare. Condividere, con le persone che amo. Pregare, assolutamente. Credere in Dio e nelle persone, nei sentimenti. Amare, realmente e senza finzione. Più di tre, visto?»

 

Nel libro hai seminato un’ideale decalogo dei ‘diritti’ delle persone con sclerosi multipla …
«Sì me ne sono accorta. Affermo il diritto a citare in giudizio il medico incompetente che non ti ha curato bene e ci ha messo anni a scoprire cosa avevi. Il diritto alla dignità. Il diritto a vivere e non a sopravvivere. Il diritto a non essere solo disabile. E il diritto anche a essere stronzi, incavolarci e arrabbiarci, ad avere la luna storta, perché non è scritto da nessuna parte che disabile sia sinonimo di angelo. E abbiamo diritto a piacerci, anche da malati».

 

Perché dovremmo leggere il tuo libro? E cosa non dobbiamo cercare in questo libro?
«Credo che questo libro rappresenti una storia in cui si possono riconoscere moltissime persone, non solo chi ha la sclerosi multipla. È la vita di una persona che ha deciso di non mollare, di vivere e non di sopravvivere».

 

Giuseppe Gazzola