«Siamo pronti a iniziare lo studio NET-SM, "No evidence of disease activity after aHSCT in aggressive MS", finanziato da un progetto speciale FISM, per confrontare sicurezza ed efficacia del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (aHSCT) con quella dei farmaci ad alta efficacia, ossia le terapie anti-CD 20 (Ocrelizumab, Ofatumumab, Rituximab), Alemtuzumab e Natalizumab. Il primo paziente inserito nel trial ha già finito la procedura prevista presso il Centro SM dell’Ospedale San Martino di Genova, che è anche il Centro capofila di questo trial clinico», annuncia la Professoressa Matilde Inglese, responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell'IRCSS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, che spiega: «lo studio prevede la partecipazione di 90 persone con sclerosi multipla a ricadute e remissioni. Il reclutamento dei pazienti disponibili a partecipare sta per iniziare anche negli altri centri italiani che sono stati selezionati come partecipanti al trial».
I centri che hanno aderito
Al trial NET-MS partecipano l’IRCCS - San Martino – Genova (Prof.ssa M. Inglese), i Centri dell’AOU Careggi Neurologia 2 – Firenze (Prof.ssa Maria Pia Amato) e dell’AOU Careggi Neurologia 1 – Firenze (Prof. Luca Massacesi); il Centro Regionale SM (CRESM) AOU San Luigi Gonzaga - Orbassano TO (Dott.ssa. Alessia Di Sapio), l’IRCCS San Raffaele, Milano (Dott.ssa Lucia Moiola), il Centro SM dell’AUSL di Ravenna (Dott.ssa Maria Grazia Piscaglia), l’Ospedale Gemelli di Roma (Prof. Massimiliano Mirabella) e ARNAS Civico di Cristina Benfratelli di Palermo (Dr. Salvatore Cottone).
Quali persone con sclerosi multipla possono partecipare
Al trial possono partecipare le persone con sclerosi multipla a ricadute e remissioni, con età compresa tra i 18 e i 55 anni, che abbiano un livello di disabilità tra 2 e 6 sulla scala EDSS e che abbiano dovuto abbandonare un precedente trattamento con terapie di prima o di seconda linea. Sono invece escluse dalla sperimentazione le persone con sclerosi multipla primariamente o secondariamente progressiva o con gravi malattie sistemiche: «gli studi pubblicati su efficacia e sicurezza di questa proceduta – spiega la Professoressa Inglese – dimostrano che il trattamento è efficace soprattutto in persone con una storia relativamente breve di malattia, una forma molto aggressiva, con un’attività infiammatoria particolarmente intensa, che non risponde ai diversi trattamenti oggi disponibili e una disabilità non elevata. Le persone con disabilità avanzata, invece, secondo la letteratura disponibile sembra che non abbiano significativi miglioramenti da questo tipo di trattamento, che di fatto va a costituire un nuovo sistema immunitario ma non è una terapia rigenerativa e non permette di ricostruire assoni e neuroni degenerati. Inoltre, più l’età è avanzata e maggiori sono le comorbidità presenti, più aumenta anche il rischio di effetti collaterali importanti. Va sempre ricordato che, seppur ridotto, per questa procedura permane un rischio di mortalità peri-trapiantologica, che non va mai trascurato».
Come si svolgerà lo studio
Le persone con sclerosi multipla che aderiranno al trial, aggiunge Matilde Inglese, verranno «randomizzate, ossia suddivise in maniera casuale in due gruppi: il primo verrà sottoposto a trapianto e il secondo sarà indirizzato a una terapia ad alta efficacia, scelta tra quelle rispetto a cui la persona non sia già andata incontro a fallimento terapeutico. Per le persone di questo secondo gruppo assicuriamo, in ogni caso, una valutazione a sei mesi dall’inizio del trial e, nel caso si osservi un peggioramento significativo nonostante la terapia, avranno la possibilità di essere inserite, se lo vorranno, nel gruppo destinato al trapianto».
Un impegno di tre anni per la ricerca e di sette anni per continuare a seguire le persone
Le persone del trial verranno seguite per 3 anni e valutate periodicamente con risonanza magnetica ed esami clinici finalizzati a valutare la “non evidenza di attività di malattia”, ossia l’assenza o la presenza di nuove ricadute, lesioni attive e progressione della disabilità misurata sulla scala EDSS. Una volta conclusi i 3 anni di osservazione, le persone che avranno aderito, se lo vorranno, saranno seguite fino a 7 anni dall’inizio del trial sempre per valutare nel medio periodo l’eventuale comparsa di ricadute e nuove lesioni così come un eventuale peggioramento della disabilità.
Come si svolge il trapianto
«È importante ricordare - ricorda la professoressa Inglese - che il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche si svolge in tre fasi: dapprima le cellule staminali ematopoietiche vengono prelevate dal midollo osseo della stessa persona che sarà trapiantata e vengono conservate in un’apposita biobanca. In secondo luogo, la persona viene sottoposta a una polichemioterapia che, di fatto, azzera tutto il sistema immunitario, incluse le cellule autoreattive responsabili della malattia. Infine, le cellule staminali ematopoietiche prelevate in precedenza vengono trapiantate nella persona e, differenziandosi, vanno a ricostituire nel sangue un sistema immunitario nuovo».
Cosa sono le cellule staminali ematopoietiche
Le cellule staminali ematopoietiche vengono prodotte dal midollo osseo e successivamente si differenziano nelle cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). Generano anche il sistema immunitario. Per questo, il loro trapianto è considerato una possibile terapia per le malattie autoimmuni come la sclerosi multipla, dove il sistema immunitario ‘funziona a rovescio’, aggredendo lo stesso individuo cui appartiene.
Lo studio NET-MS nel panorama internazionale
Oltre allo studio multicentrico che FISM sta promuovendo in Italia, in questo momento sono in corso a livello internazionale altri tre trial clinici analoghi: il primo si chiama BEAT-MS e viene svolto in 19 Centri SM degli Stati Uniti; il secondo si chiama STAR-MS e vede coinvolti 13 Centri del Regno Unito; il terzo, RAM-MS, è in corso in Scandinavia. Lo studio italiano, pertanto, è importante, tanto per le persone quanto per i ricercatori italiani perché permetterà di confrontare i risultati con gli altri studi in corso e di arrivare, nel giro di qualche anno, a dare le risposte attese.
Back ground e razionale dello studio: perché il trapianto autologo serve, come è cominciato, dove si è arrivati
«Per fortuna – evidenzia la professoressa Inglese – oggi disponiamo di circa 20 terapie per modificare l’andamento della malattia. Ma ci sono ancora persone che vanno incontro a forme molto aggressive di sclerosi multipla, che le terapie attuali non riescono a controllare e che possono condurre rapidamente a una disabilità grave e gravissima. Per queste persone, che si stima rappresentino il 5-6% del totale della popolazione con sclerosi multipla, la ricerca ha individuato da tempo un’altra possibilità di trattamento: il trapianto di cellule staminali ematopoietiche dopo intensa immunosoppressione».
L’Italia ha maturato una competenza importante nell’applicare alla sclerosi multipla come ad altre malattie autoimmuni questo trattamento, nato in ambito ematologico negli anni ’50: il primo trapianto fu eseguito proprio a Genova nel 1996, con un protocollo simile a quello già approvato per le leucemie.
Analoga tradizione si è sviluppata anche negli Stati Uniti, nel nord Europa, nel Regno Unito.
Per citare un esempio di ciò che questo approccio ha ottenuto sinora, all'ultimo Congresso ECTRIMS , il professor Paolo Muraro ha presentato i dati del monitoraggio di 20 anni nel Regno Unito, relativi a 272 pazienti sottoposti a trapianto: l’83.5% a due anni dal trapianto e il 62% a 5 anni mantiene assenza di progressione della disabilità. Nel 25% si è verificato un miglioramento dei livelli di disabilità misurata con scala EDSS, che si mantiene nel 20% anche a 5 anni di distanza. Il 72% delle persone a due anni dal trattamento mantiene una complessiva assenza di attività della malattia (NEDA). La percentuale delle persone senza attività di malattia a cinque anni scende al 54% nelle persone con SM RR e appena sotto il 40% nelle persone con sclerosi multipla progressiva.
Nel 2022 il Professor Richard Burt di Chicago aveva un’analisi degli esiti del trapianto autologo di staminali ematopoietiche in 507 pazienti trattati nel Centro di Chicago tra il 2003 e il 2019: a 5 anni dal trapianto l’80% delle persone con sclerosi multipla recidivante-remittente (SM-RR) sottoposte a trapianto non ha avuto ricadute a 5 anni dal trattamento e il 95% non ha avuto progressione di malattia. Diversamente, il trapianto ha consentito di non avere peggioramenti della disabilità al 60% delle persone con forma progressiva .
Studi osservazionali e trial clinici precedenti
Quelli curati da Paolo Muraro e Richard Burt, come altri studi svolti nel mondo, sono studi osservazionali sui dati di monitoraggio conservati negli appositi Registri. «Con lo studio NET-MS – afferma Matilde Inglese – intendiamo ora dare a questo trattamento un giusto posizionamento e un giusto valore, affinché in futuro possa essere dispensato non più solamente come trattamento sperimentale ma come parte effettiva dell'armamentario delle terapie per la sclerosi multipla».
In questo percorso per valutare se, come e per chi il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche possa essere a tutti gli effetti una delle terapie ufficiali per trattare particolari forme di sclerosi multipla, già dieci anni fa, nel 2015, lo studio ASTIMS, curato dal Professor Gianlugi Mancardi, confrontò l’efficacia del trapianto in un gruppo di 11 persone con SM rispetto a un gruppo di confronto di 11 persone con SM trattate con Mitoxantrone, dimostrando che il trapianto riduceva del 79% le ricadute rispetto al gruppo trattato con Mitoxantone.
Era un piccolo studio nelle cui conclusioni gli autori evidenziavano la necessità di studi più ampi di confronto tra gli esiti del trapianto e quelli raggiungibili con le terapie più efficaci disponibili sul mercato.
Nel 2019 uno studio curato sempre dal Professor Bart , confrontò sicurezza ed efficacia del trapianto in 55 pazienti con SM-RR ed EDSS tra 2 e 6 trattati a confronto con 55 pazienti trattati con le altre terapie, evidenziando una significativa superiorità del trapianto nel ridurre le ricadute, l’attività di malattia e la progressione della disabilità rispetto alle terapie utilizzate nel gruppo di controllo: «tuttavia – ricorda la professoressa Inglese – la gran parte dei pazienti del gruppo di controllo seguivano terapie a bassa efficacia (interferone, glatiramer acetato) e solo pochi utilizzavano come terapia il Natalizumab».
Il futuro che vogliamo costruire insieme
È dunque venuto il momento, conclude Matilde Inglese, di effettuare studi clinici che confrontino sicurezza ed efficacia del trapianto con le terapie più efficaci ad oggi disponibili, per valutare se e per quali tipi di pazienti questo possa essere un trattamento utilizzabile a pieno titolo nell’armamentario terapeutico disponibile».