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24/03/2009

Un nuovo farmaco contro la SM? Sul naltrexone servono più studi

Può essere efficace l’uso del naltrexone a basso dosaggio come terapia della sclerosi multipla? Agli interrogativi dell’ambiente scientifico internazionale ha iniziato a dare una risposta nel 2008 la dottoressa Maira Gironi, giovane ricercatrice milanese, che ha coordinato uno studio pilota sul farmaco finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Multiple Sclerosis (2008; 14: 1076-1083). Il lavoro, svolto sotto la supervisione scientifica del professor Giancarlo Comi e del dottor Gianvito Martino e a cui ha dato un contributo fondamentale nell’analisi e rielaborazione dei dati il dottor Filippo Martinelli, dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, è il primo studio sull’uso del naltrexone a basso dosaggio su persone con SM condotto allo scopo di documentare in maniera inequivocabile la sicurezza ed efficacia del farmaco. Finora, infatti, i numerosi studi clinici e preclinici miravano a verificare e documentare l’efficacia e la sicurezza del farmaco nel trattamento delle tossicodipendenze, visto che il naltrexone era conosciuto solo per il suo impiego – con un dosaggio di 50 mg al giorno – sulle persone che fanno abuso di sostanze stupefacenti e di alcool. Il lavoro della dottoressa Gironi e del dottor Martinelli Boneschi prende come presupposto le scoperte di precedenti studi americani e inglesi, i quali avevano evidenziato che, prescritto a un basso dosaggio (4 mg), il farmaco non agirebbe più da antagonista ma da agonista, stimolando un aumentato rilascio degli oppiacei endogeni come le endorfine (molecole che svolgono un’importante azione immunomodulante a livello umorale e cellulare, agendo anche a livello dei linfociti T). La dottoressa Gironi svolge attualmente attività clinica e di ricerca presso l’Istituto Scientifico San Raffaele e la Fondazione Don Gnocchi di Milano, ha partecipato e pubblicato numerosi lavori scientifici sulla SM, trattando sia argomenti prevalentemente clinici sia ricerca di base. Il dottor Filippo Martinelli Boneschi, ha esercitato attività di ricerca all’estero e in Italia, dove attualmente ricopre il ruolo di «clinical scientist » all’Istituto di Neurologia Sperimentale dell’Istituto Scientifico San Raffaele, e vanta numerose partecipazioni a congressi, corsi di aggiornamento e stesura di lavori che vanno dalla genetica alla epidemiologia della SM. Con entrambi abbiamo approfondito le conoscenze sullo studio per sapere di più sulle eventuali potenzialità del naltrexone nel trattamento della SM.

Quali centri e quante persone hanno partecipato al vostro studio?
«Si tratta di uno studio di fase II, multicentrico, realizzato grazie al finanziamento della FISM, ed è stato condotto su 40 persone con sclerosi multipla primariamente progressiva (SMPP) in quattro centri del Nord Italia (Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, Fondazione Don Gnocchi di Milano, Ospedale Antero Micone di Genova ed Centro Studi SM – Azienda Ospedaliera di Gallarate, Varese). Per sei mesi le persone partecipanti allo studio hanno assunto il naltrexone al dosaggio iniziale di 2 mg. per le prime due settimane, e successivamente di 4 mg al giorno».

Quali erano gli obiettivi?
«L’obiettivo primario di questo studio pilota era verificare se l’uso del naltrexone a basso dosaggio fosse sicuro e ben tollerato dalle persone con sclerosi multipla. Un secondo obiettivo era invece quello di verificare se il farmaco portasse benefici su alcuni sintomi tipici della malattia, tra cui spasticità, dolore, stanchezza e depressione, valutati con scale specifiche. Ultimo scopo, ma non di minore importanza, era verificare l’azione del naltrexone sul sistema degli oppioidi endogeni, tramite periodici dosaggi di sangue di beta endorfine (BE)».

Quali sono i benefici mostrati dal farmaco?
«Lo studio ci ha fornito elementi interessanti: dopo sei mesi dall’assunzione del farmaco, infatti, si è potuta notare una riduzione della spasticità muscolare ed un parziale beneficio in un sottogruppo di pazienti anche sul livello di fatica secondario ad SM. Dai periodici prelievi del sangue, inoltre, è emerso che il meccanismo di azione del naltrexone sarebbe proprio dovuto all’aumento delle beta endorfine. Considerando quindi l’attività immunomodulante delle BE, è ragionevole supporre che questa terapia possa essere sperimentata anche in altre forme di sclerosi multipla».

Quali sono stati gli effetti collaterali che si sono manifestati con maggiore frequenza?
«Per verificare gli eventuali effetti collaterali, durante lo studio i partecipanti sono stati sottoposti a periodiche visite cliniche ed ematochimiche. Fra gli effetti riportati più frequentemente si sono annoverati sonnolenza, diminuzione dei globuli bianchi, aumento transitorio degli enzimi epatici ed infezioni delle vie urinarie: non tali, comunque, da interferire con lo svolgimento delle attività quotidiane. Per quanto riguarda
invece l’andamento dello studio, delle 40 persone coinvolte solo cinque lo hanno interrotto precocemente, a causa di diversi motivi: a) violazione del protocollo, poiché la persona in questione aveva assunto farmaci contenenti sostanze oppiacee durante lo studio, b) enuresi notturna (perdita involontaria delle urine di notte), c) iperbilirubinemia senza alterazione degli enzimi epaticirasso all’, d) insufficienza renale in paziente portatore di rene policistico, e) marcato peggioramento della sintomatologia neurologica (diminuzione di forza agli arti di sinistra)».

Alla luce dei risultati ottenuti, il vostro gruppo proseguirà gli studi con naltrexone?
«I risultati sono stati positivi, quindi ci suggeriscono che vale la pena andare oltre l’attuale studio pilota e dare una definitiva spiegazione biologica ai meccanismi di azione del naltrexone. È fondamentale studiare il farmaco dal punto di vista clinico con uno studio su un numero ampio di pazienti ed in doppio cieco per distinguere l’effetto reale dall’effetto placebo. In altre parole, i dati emersi da questa sperimentazione indicano che il naltrexone a basso dosaggio è relativamente sicuro e ben tollerato dalle persone con sclerosi multipla primariamente progressiva (SMPP) e che esiste la necessità di ulteriori approfondimenti allo scopo di valutare le reali potenzialità di questo trattamento».