Massimiliano Verga è docente di sociologia, ha tre figli, di cui uno con una disabilità grave. Ha raccontato questa sua complicata esperienza famigliare nel libro "Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile". L'intervista su SM Italia
«Se Moreno potesse leggere il libro che ho scritto avrebbe diritto a incazzarsi. Ma non legge, perché è cieco. E non può capire, perché al posto del cervello ha una Zigulì … Incarna l’idea del figlio che nessuno vorrebbe avere». Non servono commenti. Massimiliano Verga, 42 anni, insegnante universitario di sociologia del Diritto, ha tre figli. Uno Moreno, ha otto anni e una disabilità grave. E Verga, a un certo punto, ha deciso di scrivere un diario di questa sua vita insieme a Massimiliano, dal titolo Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile (Mondadori). Senza ricami e abbellimenti. Ha solo raccontato, con pudore ma senza veli incantatori, quello che succede nella vita di un genitore e di un figlio come sono lui e Moreno. Un racconto da bere. Prima tutto d’un fiato, senza remore. Poi, ancora, centellinando ogni frase, ogni emozione, ogni pensiero.
Parte di questa intervista è stata pubblicata su SM Italia 5/2012, bimestrale d'informazione dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla, a breve disponibile anche per il download.
Come ti è venuta questa immagine della Zigulì? Puoi entrare nel cervello di Moreno?
«Scruto quello che la realtà mi mostra ogni minuto che passo con lui. E quello che vedo, ahimè, racconta la sua grande difficoltà legata ai danni che ha avuto. Allora un giorno l’ho chiamato Zigulì. Come gli avessi detto: «Sei proprio una testa di c…aramella». È un nome che descrive con affetto non solo lui ma quello che siamo insieme. Non credo che abbia colto il senso delle mie parole, ma mi piace pensare che abbia capito che è un modo di giocare con lui, di sorridere del nostro rapporto, di prenderci in giro così come siamo».
Hai scritto che “il vantaggio di avere un figlio handicappato è che puoi permetterti di essere un idiota e di trattarlo anche male”. Come si può parlare così di sé e del proprio figlio?
«Il nostro rapporto è fatto anche di tremende incazzature, di enormi difficoltà, di tutto quello che ho raccontato. Perché noi siamo così. Moreno è un bambino che anche oggi, ma soprattutto fino a un anno fa, creava enormi problemi ogni attimo. La gestione della vita quotidiana è effettivamente complicata, e c’è sempre la sorpresa che neppure ti aspettavi. E non credo di fargli un torto, di mancargli di rispetto, di disprezzare lui o la disabilità. Tutto questo è lontanissimo dal mio pianeta. Ma non c’è motivo di nascondere gli aspetti anche peggiori che sono parte della nostra vita insieme».
A proposito, cambiarlo e lavarlo sono operazioni che ti toccano spesso
«Sì, ne farei volentieri a meno, soprattutto alle 6 del mattino quando tutto si trasforma in un delirio. Ma è anche un momento di grande complicità, l’occasione di un rapporto molto intimo. È quasi un tentativo di dialogo. Uno dei pochi momenti cui riesco a rapportarmi con lui».
Consiglieresti come filosofia di vita questa sorprendente ritualità quotidiana?
«Moreno ora ha otto anni, sta crescendo, qualche consapevolezza in più di quello che c’è nel pannolino ce l’ha. E forse da parte sua inizio a cogliere la richiesta di essere cambiato. È una delle pochissime volte in cui riesco a dare una risposta a una sua domanda. Primordiale. Intrisa di odori poco piacevoli. Ma, quando un genitore ha difficoltà a trovare qualsiasi risposta per il proprio figlio, è consapevole che anche questo è uno strumento per iniziare a trovarle, quelle risposte».
Parlando con Moreno, hai rivalutato una frase squalificante che Berlusconi aveva rivolto a Rosi Bindi: «la tua intelligenza è inversamente proporzionale alla tua bellezza». Perché?
«Perché Moreno è oggettivamente bello. Bellissimo. Figo, di una bellezza che ti incanta. Il suo cervello è danneggiato, la sua intelligenza pesantemente compromessa, ma la sua bellezza colpisce immediatamente chiunque lo incontri. Non è il padre innamorato che parla. È scientifico quello che dico: possiamo fare mille esperimenti su questo, e avremo sempre lo stesso risultato».
Moreno ha occhi meravigliosi ma inerti, dai quali nulla esce e in cui nulla entra. Come è il mondo secondo Moreno?
«Mi piacerebbe tanto saperlo. In casa ora riesce a muoversi senza farsi del male. Ma non capisco se si sia fatto una sorta di mappa in testa o se vada a caso. La mia perplessità, che genera un’infinita tenerezza, sta nella domanda su quanto possa mantenere nella percezione che ha avuto il giorno prima. Sembra che ogni volta si trovi a ricominciare tutto da capo. E vuol dire che deve ogni giorno compiere una fatica immensa».
Quando incontri uno che vi fissa troppo, a bruciapelo gli dici: ‘è peggio di quello che sembra’. Perché? Come è il mondo visto da te, Massimiliano Verga?
«Quando uno sguardo si posa a lungo su Moreno o su noi due io posso sempre rispondere con una battuta che spiazza il guardone irrispettoso. Ma Moreno non si può difendere, non ha strumenti per rispondere a quegli sguardi, per dire cosa pensano loro nel momento in cui vengono guardati così. Intorno al mondo delle persone con disabilità vedo spesso un mondo che è morboso e cerca il gossip, oppure se ne frega e si culla nell’indifferenza. E questo mi fa tremendamente incazzare. Faccio fatica, perché io posso difendere me stesso. Ma Moreno e tanti come lui non sono in grado di farlo».
Hai detto a tuo figlio: «Sei come un rubinetto che perde: funzioni male e dai fastidio. Ma io non sono un idraulico. Posso soltanto passare lo straccio quando il bagno si allaga». Come riesci a trovare un senso in questa resistenza quotidiana?
«È l’ultimo brano che ho scritto, appena prima di portare il manoscritto all’editore. Ed è quello che più mi rappresenta. L’unica risposta con cui mi spiego la mia vita è che sono innamorato di Moreno. Quando sei innamorato ti fai tante domande, ma non c’è una spiegazione. Sei innamorato perché è lei, o perché è lui. Mi rendo conto che sono uno che passa lo straccio e non ripara nulla. E pur incazzandomi sempre sono certo che continuerò a passarlo perché c’è questa emozione talmente forte che mi lega a lui che è sopra a tutto».
Ai tuoi figli senza disabilità non chiedi di aiutare Moreno, ma di aiutare te. Perché non hai le soluzioni pronte su tutto, perché sei piccolo davanti a tutti loro. Un buon genitore è quello che scopre di essere piccolo?
«Non esistono ricette per essere buoni genitori. Possiamo avere il coraggio di riconoscere che spesso sbagliamo, che non sappiamo come comportarci. Magari non abbiamo neanche voglia di comportarci come dovremmo. L’importante è, ogni tanto, domandarsi se quello che facciamo sia la cosa giusta per noi e per loro. Siamo fatti anche per sbagliare, meglio riconoscerlo presto. Riconoscere un errore, anche davanti a un bimbo piccolo, non fa diminuire l’autorità del genitore ma crea uguaglianza di dignità. Dà a tuo figlio, che abbia o no una disabilità, la percezione di valere esattamente come te proprio perché si percepisce visto e trattato come persona».
Giuseppe Gazzola