Salta al contenuto principale

25/06/2012

Blangiardo: «ripartiamo dalle famiglie»

 

La versione completa di questa intervista è disponibile sulla rivista SM Italia 3/2012, a breve disponibile in download anche su questo sito

 

Come è cambiato negli ultimi anni il mondo in cui viviamo? È vero che il nostro è uno dei Paesi con più anziani e meno giovani? Quali prospettive per il futuro? Abbiamo posto queste ed altre domande ad uno dei massimi esperti di demografia in Italia

 

Gian Carlo Blangiardo

Come è cambiato negli ultimi anni il mondo in cui viviamo? È vero che l’Italia è uno dei Paesi con più anziani e meno giovani? E le famiglie, perché hanno la sensazione perenne di vivere in una società ‘poco familiare’, più attenta ai bisogni individuali immediati che al bene comune duraturo? Come si esce dall’inverno per tornare insieme a generare futuro? Questo grumo di domande, pensandoci bene, tocca da vicino anche il ‘mondo libero dalla sclerosi multipla’
in cui contiamo di vivere presto. Per capirne di più, ne abbiamo parlato con Gian Carlo Blangiardo, professore ordinario di Demografia alla Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Milano Bicocca, dove è anche direttore del Dipartimento di Statistica. Blangiardo è stato tra i principali curatori de «Il cambiamento demografico» (Laterza, 2011), lucido rapporto-proposta del Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, che fa da trama all’intervista.

 


Diciamolo con i numeri: perché l’Italia di oggi è un altro mondo rispetto a 40 anni fa?
«I dati significativi non sono tanto legati alla variazione numerica complessiva della popolazione che vive in Italia, quanto alle modalità con cui la variazione si è realizzata e ai fenomeni che l’hanno determinata. Oggi siamo circa 60 milioni, negli anni ’70 eravamo 4 o 5 milioni in meno. Non un grande mutamento in termini assoluti».

 

Qual è dunque la vera variazione demografica italiana?
«Molto è cambiato rispetto alla qualità della popolazione, agli aspetti strutturali. La popolazione anziana, e addirittura la popolazione molto anziana, è aumentata radicalmente di numero. Gli ultra 65enni erano 6 milioni e sono diventati 12. I giovani si sono molto ridimensionati: erano quasi 18 milioni, sono scesi a 12. Il sorpasso dei nonni sui nipoti si è già realizzato. In prospettiva si vede all’orizzonte il sorpasso dei bisnonni sui nipoti».

 

E la popolazione adulta?
«In questo caso è cambiata la sua composizione: negli anni ’70 gli stranieri residenti erano circa 150 mila. Oggi sono alcuni milioni. Molti vengono dall’Europa dell’est, molti dal nord Africa. È tutto un altro mondo. Perché siamo una nazione che invecchia? Negli anni ’70 avevamo un saldo naturale positivo, dato dal totale di nati meno morti, di 400-500 mila unità. Il saldo migratorio era invece leggermente negativo. Oggi abbiamo un saldo migratorio positivo di circa 450 mila unità, e un saldo naturale annuo che si attesta circa a meno 20 mila persone».

 

Che cambiamenti si riscontrano nell’ambito delle famiglie?
«Le famiglie erano 16 milioni e sono diventate oggi 23,4. Se continua l’attuale tendenza, nel 2030 saranno 25,6 milioni. Siccome la popolazione diminuisce, è chiaro che le famiglie sono di dimensioni molto più ridotte. Questo chiaramente indebolisce le strutture famigliari e le reti di welfare familiare. I pochi soggetti che ora compongono il nucleo familiare si trovano nella necessità di caricarsi sulle spalle di tutto e di più. La famiglia è molto più fragile rispetto al passato. Ha dovuto imparare ad arrangiarsi e a difendersi rispetto ai numerosi problemi che la situazione del nostro tempo la costringe ad affrontare».

 

Come se ne esce?
«Se la diagnosi porta a evidenziare una famiglia italiana ristretta e più sola, invecchiata e più fragile, la terapia sarebbe quella di rinforzare le famiglie in quella che è la loro funzione fondamentale di produzione e di formazione del capitale umano, per un futuro che trovi nuovo slancio».

 

Giuseppe Gazzola