Sul terzo numero della rivista un approfondimento sul ruolo delle persone con disabilità impegnate a cambiare le politiche, sociali e non , del proprio Paese. Il caso più noto - il Presidente statunitense Franklyn Delano Roosevelt - e le esperienze di alcuni politici italiani
Delle 35mila fotografie scattate nel corso della sua lunga carriera politica, soltanto in due compare la carrozzina. Lo chiamavano ‘lo splendido inganno di Franklin Delano Roosevelt’, talmente riuscito che mai nessuno strumentalizzò la sua invalidità, peraltro annientata dalla sua riconosciuta efficienza ed energia. Solo Benito Mussolini, venuto a conoscenza della richiesta del presidente americano di stipulare un patto di non aggressione per 31 nazioni, prima rise, poi bollò la malattia di Roosevelt come ‘raro esempio di paralisi progressiva’. Una scivolata, come tante, del dittatore italiano. Ma che non lasciò traccia sulla luminosa carriera politica del presidente americano.
Franklin Delano Roosevelt è forse il caso più noto di disabile che ha scelto di entrare in politica. Nel corso degli anni, sono state tante le persone con handicap che hanno seguito il suo esempio, con esiti talvolta incerti e con motivazioni anche molto differenti. C’è chi si è dedicato esclusivamente ai diritti dei disabili e chi, invece, ha preferito fare altro. Tutti, però, hanno contribuito a tratteggiare un pezzo delle politiche – non solo sociali – dei loro Paesi. La domanda che puntualmente ritorna di fronte al loro impegno all’interno dei più diversi schieramenti è sempre la stessa: qual è il valore del loro impegno? Si tratta di una scelta di sostanza o solo simbolica? In sintesi: sono candidati o testimonial?