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02/11/2020

I neuro filamenti nel sangue: cosa sono e come indicano la progressione della sclerosi multipla

 

Cosa sono i neurofilamenti? Perché rappresentano una novità importante nella ricerca scientifica sulla sclerosi multipla e in particolare per la forma progressiva? Quali sono i punti di forza delle conoscenze attuali e quali le criticità su cui occorre ancora lavorare per un loro pieno utilizzo nel monitoraggio della neuro-degenerazione e nella ricerca di nuovi trattamenti per la SM progressiva?

 

Ne abbiamo parlato con il dottor Roberto Furlan ((Vicedirettore INSPE-IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano- Presidente AINI, Associazione Italiana Neuro Immunologia), unico italiano ad avere partecipato ai lavori del panel di esperti dell'International Progressive MS Alliance che, di recente, ha pubblicato le prime raccomandazioni per l'uso della catena leggera dei neurofilamenti sierici come “biomarcatore”, ossia come segnale indicatore della sclerosi multipla progressiva (SM).

 

Partiamo dall’abc: ci spiega con un’immagine cosa sono i “neuro filamenti”?
«Sono proteine strutturali, che si assemblano per creare una sorta di robustissima impalcatura per le cellule. Possiamo immaginare che formino quella specie di ‘gabbia’ in ‘tondino d’acciaio’ che si trova all’interno del cemento armato: danno robustezza alla struttura della cellula nervosa mantenendo nello stesso tempo elasticità. Possono avere lunghezze diverse ed essere a catena leggera (Nf-L), media (Nf-M) o pesante (pNf-H), consentendo di creare strutture tridimensionali che tengono in forma la parte cellulare, che invece è molle».

 

Perché sono così importanti per il buon funzionamento del sistema nervoso? Possiamo fare un esempio?
«Per fare un esempio, nel nostro midollo spinale esiste un motoneurone che, diciamo, proietta all’esterno un proprio “assone” con cui comanda una fibra del muscolo estensore lungo dell'alluce: è un singolo assone, con un diametro invisibile a occhio nudo, che deve percorrere più di un metro per arrivare all’alluce; una struttura molto lunga e molto sottile che non può spezzarsi, altrimenti il movimento dell’alluce verrebbe inibito. La maggior parte dei neuro filamenti si trova negli assoni del sistema nervoso, altri sono presenti nelle spine dendritiche, nei bottoni sinaptici. Sono presenti solo nei neuroni, e non nelle altre cellule: sono elementi citoscheletrici specifici delle cellule neuronali».

 

Per quale motivo la presenza dei neuro filamenti nel sangue avrebbe a che fare con la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative?
«Quando un neurone viene danneggiato o distrutto, come accade in corso di sclerosi multipla, si verifica di conseguenza una liberazione di questa ‘struttura interna’ dei neuro filamenti: una parte viene eliminata dai “fagociti”, le nostre cellule “spazzine”, ma una parte di questi neuro filamenti liberati raggiunge i nostri fluidi biologici, il sangue in particolare. E allora misurare il livello di presenza dei neuro filamenti nei nostri fluidi biologici è un’opportunità importante per misurare il livello del danno che c’è nei neuroni: se in alto crolla una casa vicino a un fiume, a valle osserveremo detriti e mattoni portati dalla corrente».

 

A cosa serve vedere i detriti del sistema nervoso? Cosa possiamo fare dopo averli osservati, dato che la casa sarebbe comunque già crollata?
«Oggi abbiamo un’opportunità straordinaria. Se arriviamo a essere in grado di misurare, senza margine di errore, la quantità di neuro filamenti che troviamo nel sangue e riusciamo a comprendere, sempre senza margine di errore, quanto la quantità di neuro filamenti da noi osservata nel sangue sia proporzionale al danno neuronale interno, allora avremo qualcosa che non abbiamo mai avuto sinora: un vero e proprio “termometro” che misuri e dica in un dato momento quanto la persona sta ‘neuro-degenerando’. Questo fenomeno oggi osservabile ha un grande potenziale terapeutico: uno dei grandi limiti nell’individuare terapie efficaci per combattere la neuro degenerazione, nella SM ma anche in tutte le malattie neurodegenerative, sta nella mancanza di strumenti pratici, economici, rapidi, maneggevoli, universalmente disponibili e certi per misurare la neuro degenerazione in tempo reale e l’eventuale riduzione del danno portata dal farmaco. Non sarebbe difficile misurare, anche in tempi brevi, se un certo farmaco provoca, già nei primi mesi, una riduzione del livello di neuro filamenti nel sangue di una persona».

 

Perché li si è scoperti solo oggi come possibile termometro della neuro degenerazione?
«In realtà erano già stati descritti da parecchi anni come marcatore di degenerazione neuronale misurabile nel liquido cefalorachidiano (liquor): solo che il prelievo del liquor è invasivo, fastidioso e non può essere eseguito come esame di routine. Negli ultimi anni, invece, sono state messe a punto metodiche e tecniche ad alta sensibilità che consentono di misurare con un ottimo livello di accuratezza anche la presenza di livelli molto ridotti di neuro filamenti nel sangue».

 

 

Perché non lo si fa ancora, dunque ? Quali sono i punti di criticità nell’uso clinico della misurazione dei livelli di neuro filamenti?
«I neuro filamenti non sono specifici del solo sistema nervoso centrale, ma vengono anche dal sistema nervoso periferico. Nelle forme progressive di sclerosi multipla, in generale la persona non è più giovanissima e anzi ha un’età già avanzata, così come accade per la malattia di Alzheimer e il morbo Parkinson. A quell’età la comorbidità periferica è straordinariamente frequente: una persona anziana può avere per esempio il diabete o qualche altra patologia che determina il rilascio di neuro filamenti dal sistema nervoso periferico. Dunque, per utilizzare i neuro filamenti come marcatore attendibile di degenerazione del sistema nervoso centrale dobbiamo imparare a ripulire il dato riscontrabile da ogni minimo fattore confondente. E non è semplice, anche se abbiamo tecniche davvero avanzate di reperimento del dato biologico».

 

Ci sono livelli di riferimento, definiti su soggetti sani, per capire la situazione di ciascuno?
«In parte sì. Sono in corso studi di normativa per sapere qual è il livello di riferimento per le singole categorie di età. Al momento il più grande sistema normativo esistente si basa su diecimila donatori sani».

 

Concentrandoci sulla SM, quali sono i miglioramenti di conoscenza su cui la ricerca per i neuro filamenti è impegnata?
«Nel caso della SM la ricerca deve migliorare nella capacità di comprendere che la partita della fase secondariamente progressiva è molto diversa rispetto a quella che si gioca quando un giovane ha un attacco acuto. Durante l’attacco acuto i livelli di neurofilamenti diventano 4 o 5 volte quelli riscontrabili pochi giorni prima della ricaduta. Invece il fenomeno della degenerazione è un fenomeno subdolo: la grande differenza che si vede nel sangue, il delta che si ha rispetto ai valori di riferimento è molto più basso. Anche il riscontro di un eventuale miglioramento dovuto a un farmaco si gioca dunque su variazioni minimali, che dobbiamo imparare a intercettare e leggere. Anche per questo, dopo le prime Linee Guida di riferimento prodotte dal team di esperti della Progressive MS Alliance, è in corso un analogo lavoro di esperti di ECTRIMS/ACTRIMS per definire i criteri di utilizzo dei neuro filamenti come marcatori biologici per tutte le forme di SM».

 

Ci sono altri punti di miglioramento nella conoscenza e nel possibile utilizzo dei neuro filamenti come marcatori di progressione nella SM?
«La ricerca sta lavorando sulla base di considerazioni fisiologiche che hanno a che vedere con la cinetica dei neuro filamenti: per la loro composizione e funzione biologica, sono fatti per durare a lungo; anche quando fuoriescono dai neuroni: bisogna dunque definire con cura quanto tempo i neurofilamenti ci impiegano a scendere di livello, dopo l’eventuale intervento terapeutico, per non rischiare di “bruciare” senza reale fondamento scientifico possibili molecole efficaci contro la neuro degenerazione».

 

A parte i neuro filamenti, esistono oggi altri ‘marcatori biologici’ facilmente individuabili nel sangue che siano in grado di indicare un processo neurodegenerativo?

«Sì, direi proprio di sì. In una recente ricerca, in fase di pubblicazione, condotta dal nostro gruppo del San Raffaele insieme a un gruppo di rianimatori dell’Istituto Mario Negri e del Policlinico di Milano, abbiamo misurato non solo i livelli di neuro filamenti, ma anche altri marcatori, ossia GFAP, UCHL-1 e fosfo-tau (Ptau), che sono sia di origine astrocitaria che neuronale. Nella ricerca citata è risultato che un certo farmaco non produceva effetti di riduzione dei livelli di neuro filamenti nelle 96 ore successive all’intervento, mentre si vedevano effetti sugli altri marcatori utilizzati. L’utilizzo di altri biomarcatori può complicare la lettura della situazione ma può anche contribuire a una sempre più corretta comprensione del processo neurodegenerativo. E sono sicuro che presto i livelli dei neuro filamenti entreranno nel set di indicatori clinici che ogni neurologo vorrà controllare in fase di diagnosi e monitorare nelle visite successive, per comprendere l’andamento di malattia e l’efficacia delle terapie utilizzate».

 

Cosa è la International Progressive MS Alliance

La International Progressive MS Alliance ha messo insieme le menti più brillanti della comunità internazionale coinvolta nella SM in uno sforzo senza precedenti – organizzazioni, ricercatori, operatori, aziende, industria farmaceutica, trusts e fondazioni, donatori e persone con SM – per ottenere al più presto risposte concrete per le persone con SM progressiva. AISM con la sua Fondazione alla guida di questa alleanza insieme alle principali associazioni SM del mondo.