«All’ECTRIMS, il più importante convegno sulla sclerosi multipla a livello mondiale, presentiamo un poster con i risultati di un lavoro che dimostra come nelle persone con sclerosi multipla in terapia con ocrelizumab (Ocrevus) la risposta immunitaria T cellulare è del tutto paragonabile, sia come frequenza che come dimensione, a quella delle persone senza sclerosi multipla che hanno contratto il SARS-COV-2: una percentuale che va dall’85 al 90% di entrambi i gruppi da noi studiati sviluppa una solida e perdurante risposta T cellulare al virus».
Il Prof. Roberto Furlan dell'IRCCS Ospedale San Raffaele, nonché Presidente dell'Associazione Italiana di Neuroimmunologia, riassume così i risultati di uno studio condotto in Italia dall’alleanza che unisce AISM con la sua Fondazione, Gruppo di Studio Sclerosi Multipla della Società Italiana di Neurologia, Registro Italiano Sclerosi Multipla e Associazione Italiana di Neuroimmunologia. Dell'Alleanza Covid-19 e SM abbiamo parlato qui.
«In questo lavoro abbiamo studiato quel piccolo gruppo di persone con sclerosi multipla che hanno contratto l’infezione di SARS-COV-2 mentre erano in trattamento con Ocrevus, a confronto con un campione di persone senza sclerosi multipla che hanno contratto lo stesso virus. Alla costituzione del campione hanno contribuito in particolare modo i Centri SM di Milano, Brescia, Verona e Genova».
Il punto di partenza, i risultati e i messaggi
«In tempi così difficili, la domanda che richiede una risposta scientifica è quanto rischiano le persone con SM in trattamento con i diversi farmaci di contrarre l’infezione da SARS-COV-2 e, in prospettiva, se la vaccinazione anti- Covid è efficace per queste stesse persone. Nel nostro lavoro, abbiamo studiato con due diverse metodiche – spiega ora Furlan – i campioni di sangue di 32 persone con SM in trattamento con Ocrevus che hanno contratto l’infezione. E li abbiamo confrontati con i campioni di un gruppo di controllo formato da persone senza sclerosi multipla che hanno a loro volta contratto Covid-19. La prima metodica evidenzia come l’85% delle persone con sclerosi multipla sviluppa una risposta immunitaria di tipo T cellulare. La stessa percentuale si riscontra nei donatori senza sclerosi multipla. Vuol dire che questo trattamento, assunto per controllare l’andamento della sclerosi multipla, non crea differenze nella risposta immunitaria al SARS- CoV-2 rispetto a chi non ha la sclerosi multipla e non segue alcun trattamento terapeutico».
Il secondo riscontro, altrettanto importante, riguarda la durata della risposta immunitaria che, spiega Furlan «è ancora presente un anno dopo l’infezione: vuol dire che la memoria immunitaria che si genera è persistente».
Lo studio ha poi raccolto una terza evidenza: «con la seconda metodica di analisi dei campioni biologici – aggiunge Furlan - abbiamo trovato la presenza di cellule T memoria staminali, sempre a un anno di distanza dalla data dell’infezione da SARS-CoV-2: vuol dire che la memoria anti-Covid-19 potrà continuare a esistere anche in futuro. Insomma, dalla ricerca che presentiamo arriva un messaggio rassicurante per le persone con sclerosi multipla e anche per i loro curanti. Un messaggio che proietta pensieri positivi anche rispetto all’efficacia della vaccinazione: sulla base di questi risultati è ipotizzabile che questo particolare sottogruppo di persone con sclerosi multipla monterà una risposta T cellulare adeguata e duratura al vaccino, che li proteggerà dall’infezione».
Anticorpi e cellule
Noi sentiamo sempre parlare di “risposta tramite anticorpi”, cosa vuol dire che c’è anche una “risposta immunitaria T cellulare”? A cosa serve l’una e a cosa l’altra?
«Il sistema immunitario ha modi differenti per aggredire un virus. Il primo viene messo in atto da una sottopopolazione di globuli bianchi, i linfociti B, che producono specifici anticorpi, immaginabili come proiettili indirizzati a colpire selettivamente il virus quando si trova nei fluidi biologici al di fuori nelle cellule, ossia nel muco respiratorio piuttosto che nel sangue. La risposta T cellulare, invece, è determinata da un’altra sottopopolazione di globuli bianchi, i linfociti T. Questi sono in grado di scovare le cellule infettate dal virus e di eliminarle. In un’infezione come quella da SARS-CoV-2 in gran parte confinata alle mucose respiratorie, all’epitelio polmonare, abbiamo bisogno di una risposta che sia in grado di individuare le cellule infette e di ucciderle. Non solo: la risposta T cellulare, rispetto a quella dei linfociti B, ha un identikit preciso ma più ampio del “nemico” da colpire e questo significa che è in grado di colpire anche le varianti del virus. Insomma, la risposta T ci protegge dalle varianti, per questo ora è persino più importante della risposta anticorpale».
Questi risultati si collocano nel quadro di una ricerca nazionale e internazionale sempre più significativa: che quadro globale possiamo tracciare dei risultati che stanno emergendo?
«Dalla tarda primavera di quest’anno hanno incominciato ad arrivare i primi dati preliminari sulla reazione immunitaria delle persone con sclerosi multipla all’infezione e ai vaccini. Nell’ultimo mese stanno emergendo studi con casistiche molto ampie che vengono dagli USA, Europa e anche dall’Italia. E possiamo dire, senza entrare nei dettagli, che sono dati rassicuranti: sostanzialmente si vede che nessuno dei trattamenti usati per la sclerosi multipla inibisce in maniera decisiva la risposta immunitaria nelle persone con sclerosi multipla all’infezione da SARS-CoV-2 e alla vaccinazione anti-Covid. Ci sono chiaramente differenze tra i diversi trattamenti: alcuni influiscono poco o nulla sulla risposta immunitaria; altri producono un’ottima “risposta T” ma inibiscono la “risposta B”, proprio perché i linfociti B sono il bersaglio della loro azione per controllare la sclerosi multipla. Però nessun trattamento per la cura della sclerosi multipla abolisce la risposta immunitaria. Le persone con SM, a prescindere dal trattamento che usano, trovano giovamento e protezione dalla vaccinazione».