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27/11/2013

Solidarietà in tempo di crisi

SM Italia 6/2013

In tempi duri si è più solidali? i dati di lungo periodo dicono di sì, ma a breve termine si registrano flessioni, soprattutto nelle donazioni

 

La crisi e l’alto tasso di disoccupazione stanno facendo lievitare il numero dei poveri nel nostro Paese. Secondo il dossier di Coldiretti ‘Le nuove povertà del Belpaese. Gli italiani che aiutano’, nel 2013 in Italia più di 4 milioni di persone sono state costrette a chiedere aiuto per beni e servizi materiali di prima necessità, con un aumento del 47% rispetto al 2010. Contestualmente,sempre citando una stima di Coldiretti, nello stesso periodo quasi il 15% delle famiglie ha offerto aiuti alimentari ai più bisognosi. Il rapporto suggerisce che, all’aumento della povertà,aumenta anche la solidarietà.


Secondo il nono censimento dell’industria, dei servizi e delle istituzioni non profit, nel 2011 in Italia si contavano quasi 4,5 milioni di imprese, più di 12 mila istituzioni pubbliche e 301.191 istituzioni non profit. Per valutare il peso di questi dati, basta confrontarli con le rilevazioni del 2001. In dieci anni le istituzioni non profit sono aumentate del 28% (le istituzioni pubbliche hanno segnato unacontrazione del 21,8%) e occupano quasi 5 milioni di volontari (+43,5% sul 2001), 681 mila dipendenti (+39,4%) e 271 mila lavoratori esterni (+169,4%).

 

Nel periodo intercensuario il settore non profit si dimostra il più dinamico di tutto il sistema produttivo italiano. Le imprese, al contrario, registrano l’incremento decennale più basso mai rilevato nella storia dei censimenti degli ultimi 40anni: fino al 2008 in crescita costante, dal 2009 sono cominciate le variazioni negative. Osservando meglio le più di 300 mila onlus, vediamo che nel 65% dei casi si tratta di associazioni di area culturale, sportiva e ricreativa,che includono, per esempio, attività ludiche per disabili, laboratori artistici, di movimento, teatrali a loro dedicati, servizi per il loro reinserimento nel mondo del lavoro; strutture per l’integrazione di bambini autistici o con sindrome di Down.

 

Seguono: assistenza sociale, relazioni sindacali e rappresentanza di interessi,istruzione e ricerca, sanità. C’è chi interpreta questa proliferazione di attività non profit proprio come il segno che in tempi duri si è più solidali.

 

Ne è convinto Stefano Zamagni, economista docente all’Università di Bologna e vice direttore della John Hopkins University, tra i maggiori esperti italiani dell’economia legata al mondo del non profit.«L’italiano medio è un soggetto generoso, portatore di una matrice culturale unica che gli consente di dare il meglio di sé nelle fasi di crisi. Una persona egoista lo rimane anche davanti a tragedie e profonde situazioni di bisogno. L’atteggiamentopro sociale, molto presente tra gli italiani, si manifesta invece con ancora maggiore intensità in condizioni critiche. Basti vedere la catena umana dei lampedusani, impegnati nel soccorso dei migranti naufragati».

 

Chi, per Zamagni, dovrebbe votarsi a valori come quello della solidarietà e della reciprocità è l’economia di mercato. Partendo da un presupposto: è sempre più necessaria la collaborazione dei soggetti del Terzo Settore, perché gli enti pubblici non possono più garantire un’assistenza universalistica e di qualità. Ben venga, allora, il proliferare di istituzioni non profit: «Ora,però, è il momento di navigare verso un’economia civile di mercato.

 

La situazione attuale ha fatto sì che negli ultimi 30 anni la disuguaglianza sia cresciuta sensibilmente: serve che gli enti sociali intervengano nel momento di redistribuzione della ricchezza». Perché i soggetti radicati nel tessuto sociale sanno come muoversi esono più sensibili alle esigenze delle frange deboli.

 

L’apertura a forme di economia alternative renderà pluralistico il mercato, popolandolo di soggetti che non siano solo quelli di tipo capitalistico che operano con la logica del profitto, ma anche di cooperative eimprese sociali: «Perché le aziende del Terzo Settore producono ricchezza». Per fare un esempio, si calcola che nella sola Provincia di Bologna le circa 600 associazioni non profit in un anno producono un volume economico pari a poco più di 528 milioni di euro, e il valore è sottostimato.


A questo punto, secondo Zamagni, ci saremmo arrivati anche senza crisi, perché i primi passi verso un’economia civile sono stati mossi poco più di vent’anni fa: la legge sul volontariato e quella sulla cooperazione sociale sono del 1991, la legge sulle onlus del 97, la legge 155, quella sull’impresa sociale, è del 2006. «Quello che è vero è che questa crisi ha fatto da detonatore e da amplificatore».Tutto ciò rientra nel campo delle esperienze generative: un nuovo approccio alla società porterebbe con sé diversi vantaggi. Genererebbe valore sociale, culturale, partecipazione civica, ambientale,di rafforzamento istituzionale e, come abbiamo appena visto, anche economico: il tutto inserito in un contesto specifico.

 

Paolo Giganti, responsabile della raccolta fondi AISM, introduce un' aspetto problematico: ragionando sul medio-lungo periodo – per esempio i dieci anni considerati da ISTAT – sicuramente c’è stata una vera e propria esplosione del non profit ma, sul breve – gli ultimi anni– si registrano crescenti difficoltà legate alla situazione economica che, anche nel caso di AISM, si concretizzano come una maggiore difficoltà di raccolta nei principali ambiti di raccolta fondi: donatori abituali, aziende e fondazioni, enti pubblici.

 

Dal report del Ministero delle Finanze sulle denunce dei redditi, nel 2011 le erogazioni a onlus(detraibili al 19%) dei contribuenti italiani sono calate del 7% rispetto all’anno precedente, «forse il frutto di scelte delle famiglie legate al persistere della crisi economica», spiega il documento.«Ogni anno IPR Marketing chiede a un campione di italiani se per le festività del Natale abbia fatto una o più donazione a onlus. Le risposte positive sono passate dal 49% del 2010 al 38% del 2011,per diminuire sino al 35% del 2012: poco più di una su tre», spiega Giganti.

 

Per quanto riguarda gli altri ambiti di raccolta fondi, il discorso non cambia: «Le aziende si sono rese conto della gravità del momento anche prima dei cittadini e hanno subito cominciato a tagliare anche le voci di bilancio legate alla responsabilità sociale. Per non parlare della spending review statale e della penalizzazionesul 5 per mille che da sola è costata al mondo del non profit ben 172 milioni in due anni. Nei bilanci dell’ultimo anno delle principali organizzazioni non profit, compresa l’AISM, si trova la conferma di questa nuova difficoltà di raccolta. Importanti organizzazioni hanno infatti visto un calo nella raccolta fondi, segno tangibile della crisi finanziaria che ha colpito il nostro Paese.

 

Dallo studio ‘L’andamento delle raccolte fondi: bilanci 2012 e proiezioni 2013’ a cura di IID (Istituto Italiano della Donazione), il 34%delle organizzazioni non profit interpellate ha diminuito la propria raccolta fondi rispetto al 2011, il 27% l’ha aumentata. L’indagine ha visto coinvolte circa 200 organizzazioni e in certa misura dà conto del clima in cui opera oggi il non profit. «Senza una forte raccolta fondi, anche il volontariato ne risente. Partono meno progetti,si rinviano nuove iniziative. E non aiutiamo i giovani in attesa dioccupazione».Per moltissime associazioni, per esempio, i ragazzi del Servizio Civile Nazionale sono una grande risorsa, ma stanno diminuendo: il finanziamento pubblico si sta prosciugando.

 

Secondo i dati pubblicati dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, tra 2001 e 2011 sono stati finanziati25.839 progetti, a partire dai 29 del 2001. L’esplosione arriva nel 2006: 4.100 progetti. Poi, un lento calo. Nei dieci anni presi in considerazionesono stati messi a bando 319.340 posti di volontariatoe 277.820 giovani sono stati avviati al servizio: nel 2011, 15.524 inItalia, 415 all’estero.

 

Tra i progetti promossi, l’accompagnamento dei grandi invalidi e dei ciechi civili; il supporto a immigrati, profughi,giovani; il tutoraggio scolastico e l’animazione sul territorio; l’integrazione sociale, la formazione, l’inserimento lavorativo perdisabili fisici e psichici, tossicodipendenti e minori svantaggiati:assistenza diurna per sostenere il ruolo delle famiglie, domiciliare per la cura della persona e dell’abitazione, sostegno per un’autonomia dei disabili nella quotidianità. «A noi non resta che prendere atto della progressiva riduzione del fondo nazionale per il SCN– spiega Andrea Marisaldi del Servizio programmazione e sviluppo del sistema dei servizi sociali, promozione sociale, terzo settore eservizio civile dell’Emilia-Romagna – Di conseguenza, calano i progetti e il numero dei volontari impiegati».

 

Per un ricorso, le partenze del 2011 sono state scaglionate tra ottobre 2012 e ottobre 2013:questo ha fatto sì chenel 2012 non fosse istituito nessun bando:«Tra i ritardi dovuti al ricorso e il fatto che il fondo disponibile non permettesse un avvio ordinario dei progetti, l’anno scorso è stato di stallo. Le risorse non spese sono state impiegate quest’annoper il pagamento dei volontari che hanno lavorato tra 2012 e2013».


Oggi la situazione sembra essere lievemente migliorata: i ragazzi in servizio sono 15.466, di cui 502 impegnati all’estero.«La riflessione va fatta anche a livello qualitativo»: è questa la proposta di don Virginio Colmegna, fondatore e Presidente della Fondazione Casa della Carità di Milano. Nel 2012 ha ospitato nelle sue strutture 337 persone tra famiglie senza casa, migranti, mamme con bambini e persone con problemi di salute mentale. «Oggi la solidarietà è quasi esclusivamente riparatoria, mancano i progettia lungo termine. Soprattutto, manca un controllo sulle iniziative inessere. Chi garantisce che tutte le strutture attive siano effettivamente utili? Chi si assicura che gli investimenti anche statali siano validi? Chi valuta le eccellenze?».

 

Don Virginio, che dal 1993 al 2004 ha diretto la Caritas Ambrosiana, porta come esempio i programmi dedicati ai minori: «A 18 anni rischiano di essere messi in strada: è possibile? Manca completamente una riflessione continuativa stabile». La Casa della Carità nel 2011 ha visto aumentare rispetto all’anno precedente il totale delle donazioni private (il numero dei donatori è raddoppiato), ma ha registrato un calo nei fondi raccolti attraverso il 5 per mille. Secondo don Virginio la colpa èanche di un’evidente crisi culturale: «Se mi occupo di Rom, rischio di essere trascurato ed evitato perché fanno paura». Per questo chiede allo Stato una riflessione sulla sussidiarietà, perché sia coordinatada una dimensione pubblica: «Servono verifiche, è necessario rimettere in gioco cultura e nuovi investimenti: basta con le deleghe e la deresponsabilizzazione: ognuno faccia la propria parte per uscire da questa impasse».

 

Ambra notari e Mauro Sarti


Questa inchiesta è stata pubblicata sull'ultimo numero del 2013 di SM Italia, bimestrale d'informazione dell'AISM, disponibile in versione completa pdf su questo sito. 

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