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27/05/2014

La riabilitazione è una terapia. Ma non tutte le persone con SM la ricevono

 

La neuroriabilitazione è molto più di un trattamento palliativo dei sintomi della SM: alcuni studi mostrano infatti come sia in grado di modificare il percorso stesso della malattia, alla stregua di una vera e propria terapia farmacologica, riducendo l'infiammazione che causa i danni neurologici e proteggendo le sinapsi, cioè le connessioni tra i neuroni. “Abbiamo osservato che un ambiente arricchito di stimoli sensoriali e motori attiva sia le neurotrofine[1] sia il sistema degli endocannabinoidi, molecole che svolgono un ruolo di protezione nei confronti dei neuroni e delle sinapsi. Inoltre, l'esercizio fisico riduce molti fattori infiammatori, come le citochine: un'altra via attraverso cui la riabilitazione potrebbe influenzare l'evoluzione della SM. Tutto questo si traduce in un recupero più efficiente del danno, in un effetto trofico positivo sulle sostanze bianca e grigia del cervello e in una maggiore conservazione della connettività”, spiega Diego Centonze della Fondazione Santa Lucia IRCCS e dell'Università di Tor Vergata, Clinica Neurologica, Dipartimento di Neuroscienze di Roma, che in questo campo sta conducendo un Progetto Speciale finanziato da FISM con  più di 400mila euro.

 

Gli studi per ora si riferiscono ai modelli animali, ma per capire in che modo la riabilitazione può modificare il corso della malattia anche nell’essere umano il gruppo di ricerca di Centonze ha mimato l'effetto dell'esercizio fisico attraverso la neurostimolazione, sia transcranica (cioè centrale) sia dei nervi periferici [2]. “I neuroni degenerati non possono essere recuperati; accade però che altri neuroni raddoppino la loro forza sinaptica mettendo in atto un importante meccanismo di compenso. È grazie a questa capacità di rimodellamento, detta neuroplasticità, se nelle persone con SM remissiva-remittente assistiamo a un recupero spontaneo di funzioni temporaneamente perse durante le ricadute. Nei nostri studi abbiamo dimostrato che il rimaneggiamento sinaptico può essere indotto e potenziato con la neurostimolazione e che questo porta a una riduzione della spasticità. Che è ancora maggiore quando si combinano stimolazione e riabilitazione”. Il trattamento riabilitativo attivo dell’arto superiore, per esempio, ha un impatto sull’attività della malattia e provoca un cambiamento a livello del sistema nervoso centrale, come ha dimostrato uno studio, nato dalla collaborazione tra l’Università di Genova e la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, pubblicato su Neuroimage a gennaio 2014.

 

Vista l’importanza di queste evidenze, nell’ambito dell’iniziativa della Progressive MS Alliance, di cui AISM è uno dei fondatori e maggiori sostenitori, è stato creato un gruppo di studio dedicato allo sviluppo di studi clinici internazionali che si propongono proprio di validare l’impatto terapeutico dei trattamenti riabilitativi motori e cognitivi su un numero ampio di persone con diverse forme di sclerosi multipla.

 

Riuscire a dimostrare che la riabilitazione ha un effetto che si può definire terapeutico, in quanto migliora funzionamento e struttura del cervello, farà compiere un salto di livello anche nell’affermazione dei diritti. In questo modo, infatti, le persone con SM potranno chiedere con forza alle istituzioni italiane ed europee il diritto alla riabilitazione così come presente nelle linee guida europee, ossia una riabilitazione multidisciplinare, sistematica e personalizzata, eseguita da personale altamente qualificato. Un vero salto di qualità nel percorso terapeutico considerando che a oggi, anche prendendo in considerazione la sola fisioterapia classica, il 44% delle persone con SM non si avvale di questo servizio, e di questi circa il 10% sa che ne avrebbe bisogno ma non è riuscito ad averla. Del 56% che la pratica, poi, il 15% lo fa in una struttura privata, perché spesso il servizio pubblico non è in grado di soddisfare la domanda. I dati sono quelli della fotografia scattata dall’indagine Censis condotta per conto di AISM. Ma sono soprattutto le altre forme di riabilitazione (motoria, cognitiva, sfinterica, logopedica) a essere erogate in quantità molto inferiori alla domanda espressa, e con ogni probabilità anche al bisogno reale. Una problematica molto sentita dalle persone con SM: per il 38,4% i servizi di riabilitazione sono in cima alla lista dei servizi che più necessitano di essere migliorati e potenziati. Una necessità che cresce al peggiorare della malattia: il 54,5% delle persone con SM con grave grado di disabilità vorrebbe un potenziamento di questi servizi.

 

Per facilitare l’accesso all’intervento terapeutico riabilitativo in maniera sempre più mirata, la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) è impegnata in prima persona nella creazione di un database composto da dati clinici, misure strumentali e questionari autosomministrati in modo prospettico. Lo scopo finale dello studio è lo sviluppo di algoritmi in grado di predire l’andamento della malattia e fornire indicatori che possano rendere sempre più personalizzati, e quindi più accessibili, i trattamenti terapeutici riabilitativi. Inoltre, i dati raccolti serviranno per valutare quanto possa incidere una corretta riabilitazione sul costo sociale della malattia. Il progetto si inserisce all’interno di iniziative internazionali, quali il consorzio “MSOAC” (Multiple Sclerosis Outcome Assessments Consortium), che prevedono la raccolta della stessa tipologia di dati in diversi paesi europei e negli Stati Uniti.

 

 

[1] In particolare, il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF) e il fattore neurotrofico cerebrale (BDNF), che risultano aumentati sia nel sangue periferico sia nel cervello. Il compito delle neurotrofine è di regolare la differenziazione, la sopravvivenza e la plasticità dei neuroni.

[2] La prima avviene con tecniche di stimolazione magnetica ripetitiva o di stimolazione transcranica a corrente diretta; la seconda tramite TENS (stimolazione nervosa elettrica transcutanea).