La Federazione Italiana Superamento Handicap (FISH), di cui AISM fa parte, in audizione alla Commissione Finanze della Camera lo scorso 18 ottobre 2011 ha detto no al disegno di legge delega per la riforma fiscale e socio-assistenziale previsto dalle ultime finanziarie. Non si può tagliare ancora sulla carne viva delle persone con disabilità. Agostino d’Ercole, Presidente Nazionale AISM, era presente all’audizione in qualità di Vice Presidente Nazionale della FISH. In questa intervista ci spiega come è andata.
Dopo il presidente della Corte dei Conti, il 18 ottobre è toccato a FISH e FAND andare in audizione alla Camera sulla riforma fiscale e assistenziale.
«Sì, nel mare di notizie disastrose che ci inondano in questi periodi, queste sono due buone notizie».
Perché?
«Partiamo dalla Corte dei Conti: il Presidente Luigi Giampaolino, nel corso della sua audizione, ha stroncato la riforma fiscale e assistenziale prevista per delega al Governo dalle finanziarie estive. Quella riforma, per intenderci, che dovrebbe recuperare 20 miliardi l’anno. Giampaolino ha messo davanti ai parlamentari la cruda realtà: non sono possibili altri tagli in questo ambito. «In molti casi – ha detto - si è in presenza di erogazioni monetarie che fanno parte di una politica nascosta di contrasto alla povertà e non appare irragionevole aspettarsi che i risparmi di un riordino possano risultare in larga parte controbilanciati dalle risorse che sarà necessario mettere in campo per assicurare servizi adeguati a una prevedibile impennata del fenomeno della non autosufficienza».
Su questo siamo d’accordo
«Certo. Al cento per cento. Dirò di più: se la Costituzione resta vera, se rimangono in vigore gli articoli 2,3 e 38, allora noi del mondo della disabilità siamo abbondantemente creditori nei confronti dello Stato. Non solo non è possibile che ci diano di meno, ma dovrebbero darci di più. Se lo Stato deve recuperare questi benedetti venti miliardi, li deve andare a cercare altrove. Non tagliando sulla carne viva di tante persone che già vivono al limite della povertà».
Parlava di una seconda buona notizia: quale?
«Alla nostra audizione erano presenti insieme la Commissione Finanza e la Commissione Affari Sociali. Significa che gli stessi parlamentari hanno ben presente che tagliare la spesa sociale non potrà mai essere una mera questione di soldi, ma toccherà in modo drammatico la vita di tante persone».
Cosa siamo andati a dire a questi parlamentari?
«Come FISH abbiamo portato alle Commissioni congiunte un corposo dossier di trenta pagine per sostenere la nostra tesi: l’articolo 10 del disegno di legge C 4566, quello che delega il Governo a effettuare una riforma fiscale e assistenziale se non riuscisse – come è probabile – a recuperare in altri modi 20 miliardi, è del tutto inaccettabile. E non c’è nemmeno una soluzione di riserva: non si deve fare e basta. Quello che si può e si deve fare è una seria riforma, che però sia di competenza del Parlamento e non parta da questa pistola dei venti miliardi puntata alla tempia. È mai possibile che i diritti civili e sociali siano compressi dai vincoli di bilancio? Se mancano i soldi finisce anche la dignità delle persone? Piuttosto, se si lavora seriamente sulla spesa sociale, a partire da una definizione dei Livelli Essenziali Assistenza Sociale – i famosi LIVEAS, la cui definizione è attesa dal 2000, magari si arriva a capire che si deve spendere meglio e di più per le persone con disabilità».
Diceva che la situazione delle persone con disabilità sarà già drammatica anche senza il taglio di venti miliardi. Perché?
«La spesa sociale in Italia è del 50% in meno rispetto alla media europea, siamo sui livelli della Bulgaria e spendiamo meno della Polonia. E, in questo quadro già deficitario, il Governo ha deciso tagli agli Enti locali, cioè ai servizi, pari a 6 miliardi nel 2012, più altri 6,4 nel 2013 e altrettanti nel 2014. Il Fondo per la non autosufficienza nel 2010 era di 400 milioni; nel 2011 è stato azzerato e anche per il 2012 avrà zero fondi. Il fondo per le politiche sociali era di 929 milioni nel 2008, scende a 274 milioni nel 2011 e arriverà ad avere 69 milioni nel 2012 e 44 milioni nel 2013. Già così, dunque, solo con i tagli a questi fondi, sta per scomparire più di un miliardo: che vuol dire meno servizi, meno diritti reali. E tutto questo su chi ricade? Sulle famiglie che hanno in carico una persona con disabilità. Come se non bastasse, la crisi sta aumentando il tasso di disoccupazione delle famiglie italiane. Il tasso di non occupazione tra le persone con disabilità è dell’80%. E se il reddito medio calcolato delle famiglie italiane è di 34.000 euro l’anno, quello delle famiglie con una persona disabile è in media di 30.000 euro. O ancora, se la media delle famiglie in difficoltà è del 33%, quella delle famiglie con una persona disabile in seria difficoltà sale al 49%. Sono cifre spaventose, se pensiamo a quello che significano nella vita di tutti i giorni».
Eppure da queste stesse famiglie dovrebbero uscire altri 20 miliardi l’anno. Come? E con che pericoli?
«Il decreto che delega al Governo la riforma fiscale prevede che, nel caso non venga approvata la delega alla riforma fiscale e assistenziale, si avrà nel 2012 e nel 2013 un taglio (5 e 20%) di tutte le agevolazioni fiscali ora previste. Nel caso delle persone con disabilità queste sono le detrazioni per le spese sanitarie, l’acquisto di ausili e veicoli attrezzati, gli oneri per le badanti, le detrazioni per figlio con handicap e per l’assistenza medica. Attualmente gli assegni di cura, le pensioni di invalidità civile, i contributi regionali per la vita indipendente e qualsiasi provvidenza di tipo assistenziale non sono imponibili ai fini IRPEF e non entrano nel calcolo del’ISEE. Il disegno di legge prevede l’eliminazione, totale o parziale, anche di questa agevolazione: pensioni, invalidità, assegni e tutte le provvidenze sociali verrebbero considerate reddito (da capire se parzialmente o integralmente). L’effetto sarebbe anche un aumento dell’ISEE e una riduzione della possibilità di accedere gratuitamente ai servizi sociali. Insomma: bisognerebbe pagare di più per partecipare alla spesa dei servizi cui si accede».
Un quadro drammatico. Come lo si contrasta?
«Manteniamo uno stato di mobilitazione costante. La bocciatura della Corte dei Conti, le pressioni delle Associazioni compatte e dell’intero mondo delle persone con disabilità possono e devono creare le condizioni perché il risanamento dei conti pubblici prenda vie differenti. Anche se non è semplice».
Ma questa politica le sembra avere le possibilità e le capacità di pensare al bene dei più deboli e mettere mano a una riforma complessa come quella socio-assistenziale?
«La situazione è fosca, inutile negarlo. Tra l’altro una seria riforma socio-assistenziale dovrebbe partire dall’aver chiaro quante sono le persone con disabilità, a partire dalle più gravi, in Italia. Ma non c’è neppure questa certezza sui numeri che stanno alla base di ogni decisione politica. Noi possiamo solo vigilare, continuamente. Se e quando il Governo entrerà nel merito di tagli e riforme punitive saremo pronti a mobilitarci. Passeremo dalla fase delle audizioni a quella delle azioni, delle controproposte. Non possiamo permettere che da politiche sociali centrate sui diritti inalienabili di ogni persona si torni a politiche ‘risarcitorie’ che si limitano a fare un po’ di beneficenza a chi ne ha bisogno, scordandosi i diritti fondamentali e lasciando il carico della disabilità sulle spalle delle famiglie e del volontariato. Alle Commissioni della Camera lo abbiamo detto chiaro: noi non ci stiamo. Non possiamo starci: ne va della vita di troppe persone fragili».