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15/10/2020

«L’inclusione nell’aiuto umanitario è un diritto umano delle persone con disabilità. Ma bisogna lavorarci»

 

Dottor Griffo, il riferimento di ogni discorso sul soccorso inclusivo è l’articolo 11 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Lei è stato membro della delegazione italiana che lavorò alla definizione della Convenzione: ci racconta cosa prevede quell’articolo e come è nato?
«Fu proprio la delegazione italiana, grazie a una persona che allora lavorava al Ministero degli Esteri, a sollevare la questione. L’articolo è esplicitamente dedicato alle “situazioni di rischio ed emergenze umanitarie” e prevede che gli Stati debbano prendere, «in accordo con i loro obblighi derivanti dal diritto internazionale, tutte le misure necessarie per assicurare la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, compresi i conflitti armati, le crisi umanitarie e le catastrofi naturali». La questione era esplosa durante la guerra del Kosovo e poi in occasione dello tsunami che distrusse le coste dell'Indonesia. Prima di allora – e in tanti casi ancora oggi – la persona con disabilità non era presa in considerazione quando si facevano piani per la gestione di queste emergenze».

 

Visto che parliamo di “diritti delle persone con disabilità”, la questione centrale, quando parliamo di soccorso inclusivo, è esattamente quella dei diritti?

«L’elemento decisivo è quello di garantire che l’aiuto umanitario sia rispettoso dei diritti umani di tutte le persone. Essere arrivati a definire la persona con disabilità all’interno del quadro del rispetto dei diritti umani è il vero cambio di passo, di paradigma.  Prima della Convenzione ONU l’approccio umanitario era basato su un intervento rapido, quasi di tipo militare, secondo cui in caso di necessità bisogna agire rapidamente, salvare il salvabile, limitare le perdite. E coloro che avevano una disabilità erano tra quelli “sacrificabili”, perché più difficili da tutelare velocemente».

 

Oltre alla Convenzione ONU, ci sono  altri documenti internazionali cui dobbiamo fare riferimento per capire come va progettato e attuato un soccorso che non lasci indietro nessuno?

«Dall’approvazione della Convenzione dell’ONU il dibattito internazionale ha sostanzialmente modificato l’approccio sull’emergenza considerando le persone con disabilità titolari dei principi di non discriminazione e pari opportunità come le altre persone. Il sistema internazionale di gestione dell’emergenza è basato su un documento che si chiama Sendai framework for risk disaster reduction, approvato in un congresso mondiale delle Nazioni Unite (2015) e la Carta di Instanbul, approvata nel 2016 in un summit mondiale sugli aiuti umanitari. Quest’ultima, a sua volta, ha ispirato nel luglio del 2019 , le  Guidelines on the Inclusion of Persons with Disabilities in Humanitarian Action, curate dallo IASC (Inter-Agency Standing Committee, l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di definire le linee guida, con un team di esperti che includevano esperti con disabilità. Già nel 2015 il Ministero Affari esteri e cooperazione internazionale, ha licenziato il vademecum tra aiuti umanitari e disabilità, basato proprio sulla Convenzione dell’ONU».

 

Su quali pilastri si deve costruire un soccorso che, in situazioni di forte stress ed emergenza, non trascuri nessuno?

«Tutti i documenti citati si basano su tre grandi fondamenta: una progettazione inclusiva, un coinvolgimento delle persone con disabilità e delle loro associazioni nella progettazione e realizzazione del soccorso, una realizzazione concreta di interventi appropriati per questa fascia di popolazione».

 

Il progetto di soccorso inclusivo costruito e realizzato da Vigili del Fuoco e AISM come si colloca in questo orizzonte di riferimento?

«Sia per la parte di progettazione e preparazione sia per la fase di primo soccorso, il lavoro fatto da AISM e dai Vigili del Fuoco è pienamente coerente con il quadro internazionale dei diritti delle persone con disabilità. I Vigili del Fuoco, in Italia ma anche all’estero, hanno sempre prestato attenzione anche alle persone con disabilità. Ed è un percorso lungo, non improvvisato: ricordo che già nei primi anni duemila i Vigili del Fuoco insieme con FISH, la Federazione Italiana Superamento Handicap di cui AISM è parte attiva, avevano lavorato alla redazione del primo documento di soccorso delle persone con disabilità in caso di allerta per emergenza predisponendo un approccio che garantisse anche alle persone con disabilità di essere assistiti in maniera appropriata ed informati sul pericolo che stavano correndo. Oggi si raccoglie il frutto di un percorso in cui svolgono parte attiva anche le organizzazioni delle persone con disabilità, come vogliono tutti i documenti internazionali.  Inoltre, la costituzione di un organismo nazionale dei Vigili del Fuoco di approfondimento tecnico e culturale - in cui è anche la FISH - rappresenta un elemento di grande valore che applica l’articolo 4 comma 3 della Convenzione che recita: Nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare per attuare la presente Convenzione, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative.  La partecipazione delle organizzazioni delle persone con disabilità produce innovazione, perché ha uno sguardo diverso e consapevole le modalità dell’inclusione».

 

 

Perché quando parliamo di soccorso inclusivo durante le emergenze vengono continuamente citati i Vigili del Fuoco e non anche la Protezione Civile?

«Questa è una criticità su cui stiamo lavorando nell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. Sino a oggi Protezione civile ha deciso di affidare tutta la questione del soccorso e assistenza alle persone con disabilità durante le emergenze solamente alla sola Cooperativa sociale Europe Consulting Onlus, escludendo di fatto un ruolo attivo delle associazioni delle persone con disabilità. Invece, le associazioni devono essere valorizzate come soggetti del sistema del soccorso alle persone con disabilità, perché hanno saperi e informazioni capillari e diversificate, hanno conoscenza diretta dei bisogni delle diverse persone con disabilità nei diversi territori. Un accordo di cooperazione tra Protezione civile e associazionismo sarebbe estremamente conveniente per l’efficacia e la qualità del soccorso, dell’assistenza e dell’inclusione delle persone con disabilità».

 

E l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità come si fa portatore di questa linea?

«Anzitutto, siamo impegnati a fare applicare anche in Italia pienamente, con azioni concrete, l’articolo 11 della Convenzione ONU, portando alla luce la limitazione dei servizi italiani a diversi livelli. Per citare un esempio, alcuni anni fa è stata svolta un’indagine su 400 piani comunali per la gestione dell’emergenza: la presenza di riferimenti alle persone con disabilità era del tutto insufficiente. In parallelo, punteremo molto sulla necessità di fornire una formazione specifica sui diritti delle persone con disabilità e sulle soluzioni tecniche del soccorso da fornire per le diverse disabilità, sia per il personale del sistema dell’emergenza come anche per i volontari delle associazioni delle persone con disabilità».

 

L’emergenza Covid-19 non ci ha già mostrato come tante associazioni operanti nei territori italiani, compresa AISM, sono state capaci di farsi vicine alle persone con disabilità, anche in sinergia con protezione civile, per assicurare farmaci, spesa, supporto psicologico e risposte ai bisogni più urgenti?

«L’apporto delle associazioni e dei loro volontari assicura ai cittadini con disabilità grande passione e buona volontà, ma non possiamo parlare ancora di saperi adeguatamente formati per la gestione del soccorso durante emergenze dovute a calamità naturali o altre situazioni di estrema difficoltà come quelle legate all’emergenza sanitaria. Ci dobbiamo lavorare, tutti insieme e il percorso condiviso da AISM e Vigili del Fuoco rispetto alle persone con SM è certamente una buona pratica da estendere verso altre associazioni e altre tipologie  di disabilità».