Il mobbing consiste in una forma di violenza psicologica messa in atto da un superiore o da uno o più colleghi di lavoro nei confronti di un lavoratore, soggetto a continui attacchi e ingiustizie (maltrattamenti, vessazioni, offese, aggressioni, umiliazioni, intimidazioni, persecuzioni, mortificazioni), poste in essere con l’unico intento di isolare ed emarginare il lavoratore, portando quest’ultimo a una condizione di estremo disagio psicologico o a un crollo psicologico.
Gli elementi caratterizzanti tale condotta sono:
1. La reiterazione nel tempo di comportamenti di carattere persecutorio posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
2. La compromissione della capacità lavorativa, dell’autostima della vittima e, più in generale, l’evento lesivo della salute o della personalità del lavoratore, che manifesta problemi psico-fisici (disturbi quali stress, ansia, fobie, attacchi di panico, disturbi del sonno, dolori al sistema digestivo, emicranie, assunzione di droghe e alcool, ecc.);
3. Il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore.
La diagnosi deve avvenire attraverso colloqui specifici e l’esperimento di test nell’ambito di un esame medico legale (al fine di determinare anche la quantificazione dei danni subiti).
In numerose sentenze la Corte di Cassazione ha precisato che la prova dei comportamenti illegittimi diretti a ledere la sua persona, così come la sussistenza del danno, deve essere fornita dal lavoratore stesso, anche se è ovvio che il reperimento delle varie fonti di prova può risultare spesso particolarmente difficoltoso (si pensialle difficoltà volte a ottenere, per reticenza dei colleghi e timore di possibili ripercussioni la loro eventuale testimonianza). Al datore di lavoro spetterà di provare che gli elementi di fatto addotti non costituiscono violazione dell’obbligo di sicurezza posto a suo carico dall'art. 2087 e che non vi è stato alcun intento persecutorio, vessatorio e discriminatorio nei confronti del lavoratore.
È consigliabile raccogliere e conservare (in ordine cronologico) tutto il materiale scritto a disposizione: eventuali lettere di contestazione, mail dal contenuto offensivo, ordini di servizio non attinenti al ruolo e ogni documento che possa essere utile per ricostruire la fattispecie.
Con riguardo alla documentazione medica, molto importanti sono i certificati del medico di base (per attestare la data d’inizio dei disturbi e la prescrizione di farmaci), i certificati del medico specialista (proveniente, per esempio, da psicologo, psichiatra, Centro di Salute mentale, Clinica del lavoro, ecc.) e la perizia medico-legale.
Nel nostro ordinamento sono molteplici le disposizioni invocabili nella configurazione di una condotta di mobbing. In primo luogo l’art. 2087 del codice civile in base al quale il datore di lavoro è tenuto ad adottare (e a garantire) tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro e, quindi, a impedire e scoraggiare con efficacia contegni aggressivi e vessatori da parte di preposti e responsabili nei confronti dei rispettivi sottoposti. L’art. 2103 del codice civile: in forza del quale il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito e non può essere trasferito da un’unità produttiva a un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive; il testo unico in tema di sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
È bene rivolgersi a un avvocato esperto di diritto del lavoro. La denuncia alle autorità giudiziarie rappresenta una possibilità nei casi in cui siano configurabili dei profili di responsabilità penale. Alcuni comportamenti, infatti, integrano reati penali: ad esempio quando vi è anche violenza sessuale (art. 609 bis c.p.); maltrattamenti (art. 572 c.p.); ingiuria (art. 594 c.p.) se vi è offesa dell’onore o del decoro di una persona; diffamazione (art. 595 c.p.) quando si offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa; calunnia (art. 368 c.p.).