In occasione di ECTRIMS 2013 abbiamo intervistato Filippo Martinelli Boneschi, che presenterà a Copenhagen il progetto speciale finanziato da AISM e la sua Fondazione sulla scoperta di nuovi geni implicati nel rischio della SM
Si svolge a Copenhagen (Danimarca) dal 2 al 5 ottobre 2013 ECTRIMS uno degli appuntamenti più importanti dell’anno per la ricerca sulla sclerosi multipla, che riunisce migliaia di scienziati provenienti da tutto il mondo. È un momento fondamentale anche per le persone con SM perché in queste occasioni emergono le linee guida della ricerca, si possono trarre informazioni utili, nuove conoscenze sulla malattia e indizi di future terapie. Abbiamo perciò intervistato i ricercatori italiani che presenteranno i propri studi ad ECTRIMS, i cui progetti sono sostenuti da AISM e la sua Fondazione, dando così una panoramica su alcuni dei tantissimi argomenti in discussione all’evento.
Il dottor Filippo Martinelli Boneschi è neurologo e responsabile del laboratorio di Neurogenetica all’INSPE dell’ Ospedale San Raffaele di Milano che grazie alla collaborazione di numerosi centri SM internazionali ha condotto un vasta analisi genetica per identificare i fattori di rischio della SM
Ci può descrivere la ricerca che presenta ad ECTRIMS?
«Il presente studio è stato reso possibile dalla collaborazione di numerosi centri sclerosi multipla (SM) Italiani appartenenti al consorzio PROGRESSO coordinato da me e dal professor Comi e dal consorzio PROGEMUS coordinato dalla professoressa D’Alfonso e dal dottor Leone dell’Università di Novara. Grazie a questo studio multicentrico sono stati reclutati quasi 500 pazienti affetti da una variante rara di SM chiamata primariamente progressiva (PPSM), presente nel 10% circa dei malati e caratterizzata da un decorso progressivo dei sintomi all’esordio della malattia. Il corredo genetico di questo gruppo di pazienti altamente selezionati è stato confrontato con quello di un analogo numero di pazienti affetti dalla più comune forma recidivante-remittente (RRSM) e secondariamente progressiva (SPSM) alla ricerca di varianti genetiche più frequenti in un decorso rispetto all’altro. L’approccio utilizzato è stato quello di uno studio di associazione eseguito su tutto il genoma utilizzando una piattaforma array in grado di studiare il contributo di centinaia di migliaia di varianti genetiche. In una fase successiva sono state eseguite complesse analisi statistiche ed impiegati programmi bioinformatici in grado di individuare quali vie metaboliche e meccanismi molecolari e cellulari siano selettivamente implicati nei due decorsi di malattia».
Quale obiettivo si pone il suo studio?
«L’obiettivo del mio studio è di individuare delle varianti genetiche in grado di influenzare la probabilità di sviluppare uno specifico decorso di malattia, ad esordio acuto come nelle forme recidivanti-remittenti oppure ad esordio progressivo come nelle forme primariamente progressive».
Se dovesse dare un titolo divulgativo al suo studio quale sarebbe?
«Contributo dei fattori genetici nella prognosi e nello sviluppo di uno specifico decorso di malattia: studio di associazione su tutto il genoma ed analisi di pathway.Ruolo dei geni nella prognosi e nel decorso della SM».
Quale pensa possa essere un giorno il risultato per le persone con SM?
«I fattori genetici implicati nel rischio di malattia sono ormai in parte noti grazie agli studi collaborativi condotti da consorzi genetici fra i quali l’International Multiple Sclerosis Genetics Consortium (IMSGC), e giocano un ruolo principalmente nel sistema immunitario. Non si conosce invece ancora il ruolo dei fattori genetici nell’influenzare la prognosi ed il decorso della SM, rendendo molto difficile la predizione della evoluzione della malattia nel breve e lungo termine ed anche la scelta di un corretto approccio terapeutico. Studi come quello presentato al congresso ECTRIMS dal laboratorio di Neurogenetica dell’INSPE presso l’Ospedale San Raffaele di Milano che dirigo cerca di rispondere a questa complessa domanda».
Da dove trae la motivazione e lo stimolo per fare il suo mestiere? E Quali emozioni le dà?
«Dividere il proprio tempo fra attività clinica ed attività di ricerca è molto stimolante, ma anche molto faticoso. Le motivazioni ad andare avanti mi derivano dalla speranza di curare un giorno in maniera più efficace le persone malate di SM e dall’entusiasmo e dedizione e passione al lavoro che hanno i ricercatori ed i tanti clinici coinvolti in questo progetto».