Nella foto: il gruppo di ricerca della Professoressa Constantin presso l'Università di Verona
«Ci vuole fiducia nella ricerca e pazienza. Le novità e le possibilità di cure che risolvano la sclerosi multipla arriveranno solo così». Queste le parole di Gabriela Constantin, che ha appena pubblicato un'importante scoperta scientifica co-finanziata da AISM e la sua Fondazione. La nostra intervista
La professoressa Gabriela Constantin, Premio Rita Levi Montalcini 2003 per la ricerca sulla SM, a inizio aprile ha pubblicato sulla prestigiosa rivista USA «Immunity» l’importante scoperta di un nuovo meccanismo in gioco nel processo infiammatorio tipico della SM e, soprattutto, ha dimostrato come si possa intervenire «terapeuticamente» per bloccare l’azione di questo meccanismo[1] nel modello animale della malattia.
Prima di entrare nei contenuti dello studio, per un attimo e solo per un attimo, la professoressa si concede la possibilità di fermarsi a guardare il percorso effettuato e di trarne un insegnamento essenziale: «Personalmente ho iniziato già dai tempi dell’Università ad appassionarmi alla neuro immunologia e allo studio dei processi infiammatori che sono all’origine delle malattie neurologiche. Poi, la prima intuizione sul ruolo delle molecole che stanno all’origine dello studio oggi pubblicato l’ho avuta nel 2007: ci sono voluti 7 anni per arrivare alla meta. Se noi ricercatori vogliamo arrivare a risultati che cambino la vita delle persone, non abbiamo altra via che questa: giocarci tutte le energie per tempi lunghi. La scienza progredisce solo così, e la salute si cura solo con i risultati della ricerca».
Partiamo dall’inizio, allora, professoressa Constantin. Di cosa si occupa esattamente, nel suo lavoro di ricerca?
«Il mio impegno principale è studiare come fanno i globuli bianchi (leucociti) ad emigrare dal sangue attraverso la parete del vaso sanguigno per poi uscirne fino ad arrivare nel tessuto cerebrale. La trasmigrazione dei globuli bianchi dal sangue nel cervello è l’evento fondamentale per l’induzione delle malattie infiammatorie del sistema nervoso, tra cui la sclerosi multipla».
Riassuma 7 anni di ricerca in una frase: cosa avete scoperto nello studio appena pubblicato?
«Abbiamo scoperto un nuovo meccanismo che media la migrazione dei leucociti dal sangue nei tessuti infiammati in generale, ma con particolare importanza per il sistema nervoso centrale. E abbiamo dimostrato che bloccare l’azione della glicoproteina chiamata TIM-1 porta anche a bloccare lo sviluppo dell’infiammazione nel modello animale della sclerosi multipla o in altri tessuti come ad esempio quelli della cute e dell’intestino».
Cosa è la TIM-1 e come le è venuto in mente di studiarla?
«La sigla TIM indica, per esteso, le “T-cell immunoglobulin and mucin domain protein”. Le T-cell sono linfociti, ossia cellule presenti nel sangue, che costituiscono circa il 20-40% dei globuli bianchi. I linfociti, a loro volta, derivano dalle cellule staminali multipotenti presenti nel midollo osseo: se poi queste staminali maturano direttamente nel midollo osseo danno vita ai “linfociti B”, mentre le celluleche maturano nel timogenerano, appunto, i linfociti T, che giocano un ruolo centrale nell’azione del sistema immunitario. Esattamente sette anni fa, osservando da vicino la struttura delle molecole TIMs ho avuto l’intuizione di una loro possibile interazione con le “selectine”, una famiglia di proteine di adesione coinvolte nei processi infiammatori: il legame delle selectine ai rispettivi ligandi media il processo di adesione dei leucociti alle pareti dei vasi sanguigni in cui si trovano e il loro il passaggio al tessuto leso, dove svolgeranno il proprio ruolo per l'eliminazione dell'agente lesivo».
Perché ci sono voluti tutti questi anni per concludere il lavoro di ricerca sulle TIMs?
«Il progetto era difficile, ambizioso. Per limitarci a un esempio delle difficoltà che abbiamo dovuto affrontare, in partenza non avevamo a disposizione il materiale necessario a dare corpo all’intuizione. Abbiamo dovuto aprire una collaborazione con l’Università di Harvard, per avere i topolini mancanti delle molecole TIMs».
I grandi risultati nascono da sinergie articolate. Ma torniamo allo studio: come si è svolto in pratica?
«Lo studio è stato effettuato esclusivamente in laboratorio, non ha coinvolto pazienti. Prima abbiamo sviluppato la fase in vitro, su molecole, per dimostrare il legame tra questa proteina TIM-1 e le selectine e il loro ruolo nel processo infiammatorio. Dopo la dimostrazione in vitro siamo passati a studiare modelli in vivo, per dimostrare la rilevanza della nostra scoperta anche in modelli complessi come quelli dell’EAE, il modello animale di sclerosi multipla».
E sul modello animale come avete agito?
«Ai topolini in cui era stata indotta l’EAE abbiamo somministrato per circa due settimane una sorta di «terapia» con anticorpi che bloccassero l’azione della proteina TIM-1. E abbiamo osservato come, in questo modo, si bloccassero anche gli attacchi infiammatori. Abbiamo inoltre verificato che non esistono problemi di tossicità: non si sono osservati effetti collaterali del trattamento somministrato, nemmeno sul lungo periodo. Inoltre, a controprova della validità della scoperta, lo studio ha osservato come gli animali che già dalla nascita non hanno la proteina TIM-1 stanno bene, ossia non sviluppano malattie infiammatorie».
La vostra ricerca sulle proteine TIMs è conclusa o deve continuare? E come?
«Continuiamo. Le proteine TIMs sono state individuate abbastanza di recente, e c’è ancora molto lavoro da fare. Sappiamo che negli animali, oltre alla TIM-1, esistono altre TIMs fino alla numero 8. E abbiamo dati preliminari molto interessanti che ci dimostrano come la TIM3 e la TIM-4, presenti anche nell’uomo, svolgano un’azione simile ma diversa sull’avvio del processo infiammatorio. Dunque, ora continuiamo a studiare nei modelli animali le TIMs presenti anche nell’uomo, per vedere se si possono sfruttare anche a livello farmacologico».
Fino a qui si parla di modelli animali. Quali guadagni possono arrivare da queste ricerche direttamente alle persone e alla cura della malattia?
«Abbiamo ottenuto una scoperta scientifica importante anche in vista di future terapie per l’uomo. La prova è che, pochi giorni dopo la pubblicazione, ci ha scritto la rivista SciBX – The Science Business Exchange, prestigioso settimanale pubblicato da Bio Century e dal gruppo Nature. Questa rivista presenta articoli che vanno direttamente all’industria farmaceutica per promuovere scoperte di potenziale importanza clinica. Sicuramente ci sarà dunque da parte di qualche industria l’interesse a sviluppare farmaci in grado di bloccare l’azione delle molecole TIMs nel processo infiammatorio».
Il prossimo passo, dunque, sarà l’avvio di studi sulle persone? A cura di chi?
«Il prossimo passo dovrà essere sviluppato dalle aziende farmaceutiche. E, in effetti, esiste un programma di sviluppo della nostra scoperta in senso terapeutico a cura della Biogen, multinazionale USA che già detiene il brevetto sul Natalizumab. Va ricordato, infatti, che già prima della nostra scoperta questa industria aveva depositato un brevetto sulle molecole in grado di bloccare l’azione delle proteine TIMs, che sono importanti anche per le allergie della pelle o le infiammazioni nell’intestino, come dicevamo. La nostra scoperta fornisce la base scientifica per questo sviluppo futuro. Ma, una volta di più, sia chiaro che ci vorrà tempo».
Giuseppe Gazzola
Nota 1
Stefano Angiari, Tiziano Donnarumma, Barbara Rossi, Silvia Dusi, Enrica Pietronigro, Elena Zenaro, Vittorina Della Bianca, Lara Toffali, Gennj Piacentino, Simona Budui, Paul Rennert, Sheng Xiao, Carlo Laudanna, Jose M. Casasnovas, Vijay K. Kuchroo and Gabriela Constantin,TIM-1 Glycoprotein Binds the Adhesion Receptor P-Selectin and Mediates T Cell Trafficking during Inflammation and Autoimmunity, Immunity 40, 1–12, April 17, 2014; doi.org/10.1016/j.immuni.2014.03.004