Tra i progetti che hanno vinto il secondo bando della Progressive MS Alliance per trovare una soluzione alle forme progressive di SM, c'è quello guidato dalla Professoressa Leocani, del San Raffaele di Milano. L'abbiamo intrervistata
Tra i progetti di network che hanno vinto l’ultimo Bando della PMSA c’è anche quello proposto dalla professoressa Letizia Leocani, responsabile del Centro MAGIS (MAGnetic Intra Cerebral Stimulation, Istituto di Neurologia Sperimentale, Ospedale San Raffaele, Milano. Il progetto si intitola Targeting nervous plasticity in progressive MS – a translational approach e intende studiare il ruolo della plasticità nella SM Progressiva per definire nuove procedure di approccio integrato con farmaci, riabilitazione e tecniche di neuro-stimolazione mirate al miglioramento o alla prevenzione della perdita delle funzioni compromesse nella persona con sclerosi multipla progressiva. Abbiamo intervistato la dottoressa Leocani per approfondire con lei i contenuti della sua proposta risultata vincente.
Dottoressa, ci puoi spiegare l’idea di fondo che ha generato il progetto di network da lei presentato a PMSA?
«Il nostro sistema nervoso è estremamente plastico, in continuo rimodellamento non solo quando ci confrontiamo con qualcosa di nuovo e stimolante, come imparare un nuovo sport, uno strumento o un gioco di società, ma anche in risposta a eventi che lo danneggiano, come nel caso di un ictus o di un attacco di sclerosi multipla. Questo, da un lato, è stato sempre più evidenziato grazie allo sviluppo di tecniche di misurazione dell’attività del sistema nervoso centrale, come le neuroimmagini o le registrazioni dell’attività elettrica cerebrale. Dall’altro lato, il progresso della ricerca in diverse discipline, come la farmacologia e la fisiologia, ha dimostrato la possibilità di promuovere la plasticità cerebrale attraverso la riabilitazione, attraverso trattamenti farmaci ma anche grazie a tecniche non invasive di stimolazione elettrica e magnetica del sistema nervoso. Il nostro progetto ha proprio lo scopo di definire le procedure più utili per promuovere al meglio la plasticità nelle persone con sclerosi multipla, soprattutto se già affette da una forma progressiva di malattia nella quale sono compromesse funzioni importanti a causa della degenerazione e dell’accumulo di lesioni nel sistema nervoso».
Quale tratto innovativo intendete esplorare?
«Nella sclerosi multipla, lo scenario terapeutico offre diverse armi per limitare e prevenire i danni al tessuto nervoso da parte del sistema immunitario. D’altra parte, lo sviluppo di nuovi approcci farmacologici, riabilitativi e di neurostimolazione volti a promuovere la plasticità cerebrale sta offrendo nuove possibilità di limitare le conseguenze dei danni nervosi che si sono già verificati, e di migliorare funzioni già compromesse. Inoltre, nuove evidenze sperimentali suggeriscono che il sistema nervoso, se mantenuto attivo tramite attività sportiva o intellettuale ancora prima di subire un danno, riporta minori conseguenze a parità di entità di una successiva lesione. La conseguenza è che l’obiettivo della prevenzione della disabilità nella sclerosi multipla non deve riguardare solo il sistema immunitario, ma anche direttamente il sistema nervoso, aumentandone le “riserve” neuronali. In questo modo, potremmo limitare non solo le conseguenze dei danni nervosi che si sono già verificati in una persona, ma anche di quelli che potrebbero verificarsi in futuro. Davanti a queste possibilità diventa importante».
A quale il risultato intendete pervenire?
«Da una parte abbiamo bisogno di capire meglio i meccanismi della plasticità e quali sono i fattori sui quali possiamo concretamente agire per promuoverla in modo che migliori le funzioni della persona e il suo benessere. Dall’altra parte, abbiamo bisogno di poter utilizzare un approccio sperimentale, identico a quello ormai validato da anni e anni di sperimentazione sui farmaci, anche per valutare l’effettiva efficacia di terapie che farmacologiche non sono, come la riabilitazione e la neurostimolazione cerebrale. Alla fine vogliamo definire procedure di approccio integrato con farmaci, riabilitazione e tecniche di neuro-stimolazione mirate al miglioramento o alla prevenzione della perdita di quelle funzioni che vengono compromesse nella persona con sclerosi multipla progressiva, come le abilità motorie o cognitive. Intendiamo inoltre mettere a punto strumenti per capire quali siano le procedure più utili caso per caso, in modo da individualizzare anche queste terapie, come si fa con quelle dirette verso il sistema immunitario».
Il vostro è un progetto di network: come dovrebbe svolgersi e con quali collaborazioni?
«Svilupperemo un progetto integrato, mirato a valutare nelle persone con SM progressiva le interazioni fra neuroriabilitazione cognitiva, attività fisica e neuromodulazione farmacologica e con stimolazione cerebrale magnetica ed elettrica. Valuteremo inoltre i meccanismi della plasticità cerebrale utilizzando tecniche genetiche, molecolari, neurofisiologiche e di neuroimmagini. Quest’anno vedrà pertanto il lavoro coordinato di una rete complessa di gruppi di ricerca italiani, tedeschi, israeliani, statunitensi e canadesi che fanno capo a esperti di diverse discipline, quali i meccanismi di base della plasticità cerebrale e della modulazione farmacologica e tramite neurostimolazione cerebrale».
Quale impatto pensate possa avere il progetto che proponete nella realizzazione delle strategie della PMSA e soprattutto nel dare risposte alle attese delle persone con SM progressiva?
«La cura della SM progressiva deve tenere conto non solo della malattia in sé, ma anche dei sintomi che già si sono manifestati, che riguardano la compromissione di funzioni importanti, colpite anche in corso di altre malattie. In questo senso, imparare dall’esperienza di chi cura sintomi simili ma che si presentano in corso di diverse malattie, come l’ictus o le patologie degenerative, porterebbe a migliorare le nostre prospettive nella cura della SM progressiva. Per questo, la proposta di integrare tecniche farmacologiche, riabilitative e di neurostimolazione mirate a limitare l’impatto del danno nervoso nella SM progressiva e alleviarne i sintomi rientra in pieno nell’iniziativa della PMSA. Nel nostro caso l’iniziativa della PMSA diventa particolarmente importante soprattutto per quanto riguarda le terapie non farmacologiche, come quelle riabilitative e di neurostimolazione, per le quali gli investimenti economici sono limitati in quanto si tratta per la maggior parte di procedure non brevettabili e pertanto difficilmente finanziabili da parte dell’industria».
Perché lavorare in network sempre più ampi è oggi ritenuto essenziale per giungere a risultati innovativi per la cura della SM? Quali sono i ‘segreti’ di un ‘consorzio’ che funzioni e abbia successo?
«Il nostro cervello è esso stesso un network, non solo inteso come rete di neuroni, ma anche come complesso in continua evoluzione di fenomeni molecolari, chimici e fisici che interagiscono con l’ambiente. Per capire come tutti questi fattori interagiscono non basta essere esperti farmacologi o riabilitatori o neurofisiologi o di neurostimolazione, ma occorre avere una visione di insieme che una singola competenza non riesce a ottenere. Il meccanismo del network è vincente come lo è un’orchestra e come lo è il cervello stesso, nel quale i neuroni, sebbene in sedi diverse e con funzioni differenti, lavorano “in concerto”. Ormai in tutto il mondo diversi scienziati stanno affrontando la sclerosi multipla da punti di vista diversi e, nel caso della plasticità mirata a migliorare le funzioni nervose, abbiamo farmacologi, psicologi, riabilitatori, neurologi, fisiologi, fisici. Queste eccellenze sono già presenti e operano in diversi istituti di ricerca di fama internazionale. Come per i neuroni che sono utili solo se comunicano fra loro, è importante che i ricercatori stabiliscano dei contatti, poi rafforzino le connessioni e infine imparino a coordinare la loro attività per indirizzare al meglio le proprie energie ed evitare sprechi e ripetizioni. Questo lavoro richiede tempo e pianificazione, ma il tempo è di per sé un grande investimento che viene poi ripagato successivamente consentendo a ogni ricercatore di aggiungere un tassello al disegno completo. Credo che il segreto per funzionare sia l’affiatamento, e in questo senso l’idea della PMSA di concedere un anno di tempo a queste reti “neurali” sia molto utile per rafforzare e coordinare le sinergie utili e ridurre quelle ridondanti».
Nella foto: la Prof.ssa Letizia Leocani, Ospedale San Raffaele - Milano