La nostra intervista al professor Luca Massacesi, co-autore dello studio Brave Dreams, recentemente pubblicato su Jama Neurology
«Oggi, dopo la pubblicazione dello studio Brave Dreams [1], nei pazienti con sclerosi multipla non è più lecito utilizzare l’angioplastica per l’allargamento delle vene che drenano il cervello, perché ora sappiamo che questo intervento chirurgico non serve a migliorare il decorso della forma recidivante remittente della malattia». Luca Massacesi, professore ordinario di Neurologia all'Università di Firenze, co-autore della pubblicazione di Brave Dreams, non lascia spazio a fraintendimenti nel sintetizzare gli esiti dello studio randomizzato multicentrico per la valutazione dell'efficacia e sicurezza dell'intervento di disostruzione delle vene extracraniche nel trattamento della sclerosi multipla, promosso dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara.
Massacesi ha eseguito, senza conoscere il trattamento a cui era stato sottoposto il paziente, (“in cieco”), l’analisi di tutte le immagini cerebrali ottenute con risonanza magnetica (RM), attraverso le quali la ricerca ha valutato l’impatto dell’intervento di disostruzione sull’andamento di malattia. Lo abbiamo intervistato per capire più da vicino come si è svolta l’analisi e da dove vengono le conclusioni che sono state tratte.
Professore, brevemente, ci spiega quali erano le misure di esito, i cosiddetti outcome, che la vostra ricerca è andata a misurare per verificare l’effetto dell’intervento di angioplastica venosa sulle vene che drenano il cervello nelle persone con sclerosi multipla e CCSVI?
«Per ogni paziente erano previsti tre esami RM, uno all’inizio dello studio, quindi contemporaneamente alla terapia, uno dopo 6 mesi e uno dopo 12 mesi. La terapia veniva assegnata ad ogni paziente con una procedura casuale e poteva trattarsi una vera angioplastica o di una procedura simulata, come normalmente succede in questo tipo di studi. Il protocollo di analisi RM prevedeva di analizzare come misura principale di efficacia il numero complessivo delle nuove lesioni che si accumulavano in 12 mesi. Le lesioni prese in considerazione erano sia quelle nuove rispetto all’esame precedente sia quelle che prendevano il mezzo di contrasto[2]. L’accumulo nel tempo a livello cerebrale di di queste lesioni indica in modo oggettivo come sta andando la malattia. Avendo diviso i pazienti in due gruppi, uno trattato con angioplastica e l’altro con un intervento solo simulato, se il trattamento fosse stato efficace nel gruppo trattato con angioplastica avremmo dovuto osservare un inferiore accumulo di lesioni.
E cosa si è visto? C’è stata una differenza tra i due gruppi?
«No, non abbiamo osservato differenze».
Possiamo dirlo con i numeri? Quali dati certificano l’assenza di differenze tra chi è stato trattato e chi no?
«Il numero di nuove lesioni nel gruppo trattato variava da 0 a 31 (media 1,40) e nel gruppo di controllo da 1 a 8 (media 1,9). Questi dati indicano che sul piano statistico la differenza osservata tra le medie dei due gruppi di trattamento era troppo piccola per essere reale ed era quindi solo casuale. In termini tecnici è tale differenza non era “statisticamente significativa”».
Scusi se insistiamo, da profani: 1,4 e 1,9 non sarebbero numeri diversi? Cosa vuol dire che la differenza tra i due gruppi non è statisticamente significativa?
«Quando viene studiato un fenomeno biologico molto variabile fra individui, come il numero di nuove lesioni cerebrali che si formano in un anno nella sclerosi multipla, per capire se le differenze che si misurano tra gruppi sottoposti a interventi terapeutici diversi siano casuali o vere confrontiamo le medie dei valori osservati in ogni gruppo, insieme ad una misura di variabilità tra gli individui esaminati. Questa misura indipendentemente da come viene denominata (p.es. deviazione standard, errore standard o intervallo di confidenza) stima di quanto il risultato di cui riportiamo il valore a medio, varia da individuo a individuo. Nel nostro caso la deviazione standard, a fronte dei valori medi citati, era molto ampia in entrambi i gruppi, circa 4 intorno al valore medio, facendo scomparire del tutto la piccola differenza osservabile tra le medie. Questo significa infatti che la maggior parte dei pazienti, sia trattati che non trattati con l’angioplastica, aveva sviluppato meno di circa 5 nuove lesioni cerebrali in un anno. Infatti se osservassimo i valori delle nuove lesioni cerebrali dei singoli pazienti in forma di grafico le distribuzioni dei singoli valori all’interno dei due gruppi mostrerebbero molto bene che essi sono sostanzialmente sovrapponibili: in casi come questi, quando in due popolazioni di pazienti si osservano medie un po’ diverse con un indice di variabilità molto ampio e sovrapponibile fra i due gruppi, l’eventuale piccola differenza fra le medie sostanzialmente rappresenta solo un’oscillazione numerica casuale legata al campionamento. Il campionamento infatti consente solo una stima, a sua volta variabile, del numero vero osservabile se avessimo incluso nello studio tutti i pazienti esistenti, cosa ovviamente impossibile».
Dunque anche i risultati negativi sono importanti nella ricerca? Perché consentono di escludere trattamenti non efficaci?
«Certamente. Chiudere la porta a ipotesi che non hanno efficacia è uno dei compiti della ricerca scientifica seria. Specialmente se le ipotesi riguardano terapie invasive e quindi potenzialmente rischiose. Questa importante considerazione è stato anche l’oggetto dell’Editoriale con cui Jama Neurology ha voluto sottolineare l’importanza di questo studio».
Per concludere, professore: quale messaggio, quale indicazione emerge da questo percorso di ricerca per le persone con sclerosi multipla?
«Il messaggio da tenersi stretto da ora in avanti e da non dimenticare è che l’angioplastica venosa nella sclerosi multipla, almeno nella forma recidivante remittente di SM, non serve e non c’è alcun motivo di sottoporsi a questo intervento, invasivo e quindi potenzialmente non privo di rischi. Il consiglio è di non sottoporsi ad angioplastica venosa perché non è indicata per i pazienti con SM. Aggiungo che anche lo studio ha un messaggio anche per la comunità medica: poiché da questo momento sono disponibili evidenze scientifiche che l’angioplastica venosa nei pazienti con SM non è indicata, persistere in questa pratica è deontologicamente scorretto. Inoltre nel caso di complicanze il medico che la esegue deve essere consapevole di esporsi a fondate azioni di rivalsa».
[1]Paolo Zamboni, Luigi Tesio, Stefania Galimberti, Luca Massacesi; Fabrizio Salvi; Roberto D’Alessandro; Patrizia Cenni, Roberto Galeotti, Donato Papini, Roberto D’Amico, Silvana Simi; Maria Grazia Valsecchi, Graziella Filippino for the Brave Dreams Research Group Efficacy and Safety of Extracranial Vein Angioplasty in Multiple Sclerosis A Randomized Clinical Trial JAMA Neurol. Published online November 18, 2017. doi:10.1001/jamaneurol.2017.3825
[2] Quando le lesioni prendono contrasto vuol dire che siamo nella prima fase della formazione della lesione, che dura poche settimane.