Nella foto: Gianvito Martino, Istituto San Raffaele di Milano
Gianvito Martino e il suo gruppo di ricerca dell’Istituto San Raffaele di Milano sono tra i principali riferimenti della ricerca scientifica sulle cellule staminali neurali. Anche il loro percorso, come quello genovese del gruppo di Antonio Uccelli, è iniziato nel 2003. Dove è arrivato? Quali difficoltà ha dovuto superare? Quale il suo futuro? Cerchiamo di capirlo in questa intervista, in occasione del Congresso FISM 2013.
Dove siamo arrivati con la ricerca sulle cellule staminali neurali?
«Come per le mesenchimali, anche per le staminali neurali siamo andati molto avanti. Il nostro progetto, finanziato e promosso da FISM, prevedeva la valutazione pre-clinica della possibilità di effettuare questo trapianto. Questo percorso si è concluso con successo».
Cosa significa? Qual era lo scopo della valutazione preclinica che avete effettuato?
«Significa che, in prima battuta, si sono dovute isolare le cellule staminali necessarie. E questo è il primo passaggio importante e complesso che abbiamo dovuto superare perché le cellule staminali neurali non sono ottenibili dal paziente stesso ma solo da tessuto cerebrale di tipo fetale. Si è poi valutata la capacità di queste cellule di crescere in laboratorio in numero sufficiente per un possibile utilizzo nella sperimentazione. Abbiamo dovuto valutare che il sistema di crescita da noi utilizzato non inducesse particolari anomalie ed, in particolare, che non venissero indotte anomalie di tipo tumorale o infettivo. Abbiamo poi valutato l’espansibilità di queste linee, coi criteri della sperimentazione umana, secondo le Linee Guida cosiddette GMP (Good Manufacturing Practice), buone norme di fabbricazione per la qualità e sicurezza dei trattamenti. Queste Linee Guida prevedono che si debba usare tutta una serie di reagenti particolari, poco contaminati, super controllati e procedure codificate e soprattutto riproducibili».
Siete riusciti ad arrivare dove volevate e dovevate?
«Sì, questo passo è concluso. Le linee cellulari sono state cresciute, si è sostanzialmente sviluppato un protocollo di crescita che tenesse conto di tutti i criteri necessari. Da questo punto di vista siamo tranquilli».
A cosa sono servite le cellule neurali coltivate con sicurezza e qualità?
«Abbiamo preso queste linee e le abbiamo inoculate in topi cosiddetti immunosoppressi. Le abbiamo iniettate in dosi massicce, per valutare se potessero dare qualche segno di tossicità. Il lavoro è durato due anni - tra sviluppo delle metodiche da utilizzare, preparazione delle cellule e inoculazione in vivo – e si è appena concluso. Si stanno analizzando i dati. Ad oggi non abbiamo avuto segni anomali di tossicità nella sperimentazione pre-clinica».
E adesso?
«Il passo successivo sarà quello di prendere le stesse cellule e farle crescere in numero sufficiente da poter essere poi trapiantate nei pazienti. Quest’ultimo percorso non dipende dalla nostra attività di ricerca: è necessario individuare strutture certificate da AIFA che siano in grado di effettuare il lavoro. In Italia ce ne sono alcune. Proprio in questi giorni sto incontrando i responsabili di alcune di queste strutture – concentrandomi particolarmente su quelle di tipo ‘non profit’ – per valutare la loro disponibilità a percorrere l’ultimo tratto di questo lungo percorso. Quando si producono piccoli numeri di cellule si può andare incontro ad un certo tipo di problemi; ma quando se ne devono produrre un miliardo o più, come nel nostro caso, i problemi eventuali si moltiplicano esponenzialmente. Ma non c’è altra via che questa per garantire ai pazienti quella sicurezza necessaria per poter far si che queste terapie, tutt’ora sperimentali, possano diventare nel futuro prossimo una realtà consolidata».
Siete fiduciosi nella riuscita della produzione su larga scala delle cellule?
«La stabilità di queste linee, la loro maneggevolezza, le caratteristiche che hanno dimostrato di avere nei passaggi iniziali in vitro e in vivo fanno ben sperare. Non siamo tanto lontani dall’obiettivo, se le cose vanno bene».
Quanto tempo servirà per avere cellule sufficienti e sicure a iniziare una sperimentazione dell’uomo?
«Oramai non dipende da noi ma da chi le vorrà e dovrà produrle su larga scala. Ancora qualche anno ma la sensazione è che ci stiamo arrivando».
Quanto può costare produrre le cellule neurali adulte da iniettare in un paziente?
«Questo è uno snodo determinante: mentre coltivare le cellule staminali mesenchimali per un paziente vuol dire prelevarle dalla persona stessa e coltivarle per 4/6 settimane a un costo di circa 10.000 euro a paziente, nel caso delle neurali si tratta di coltivazioni che durano più di 6 mesi, per un costo che è può essere anche 20 volte superiore. Stiamo dunque cercando anche la via per contenere le spese, altrimenti diventerebbe un investimento difficilmente sostenibile».
Quale il vantaggio possibile delle cellule staminali mesenchimali?
«Personalmente vedo le mesenchimali come una possibile terapia immuno-modulatoria effettuata al livello del sistema immunitario periferico – infatti sono iniettate nel sangue -. Potrebbe essere probabilmente meno tossica e sperabilmente più efficace delle terapie immuno-modulanti attuali, forse meno costosa e meno invasiva, visto che si tratta di una semplice iniezione endovena che dura 10 minuti».
E le terapie con cellule staminali neurali?
«Le staminali neurali vengono iniettate direttamente nel sistema nervoso centrale attraverso una puntura lombare: la speranza è che questo diverso tipo di staminali vada a migliorare l’infiammazione che nelle forme più avanzate di malattia – e più in generale nelle forme progressive – è confinata nel sistema nervoso centrale. Speriamo che le cellule staminali neurali possano avere un effetto più diretto su quel tipo di infiammazione che danneggia le cellule del sistema nervoso e che, in ultimi analisi, siano in grado di svolgere un effetto realmente neuro protettivo e non tanto immunomodulante».
AISM ha voluto studiare insieme mesenchimali e neurali: c’è una correlazione tra i due tipi di indagine?
«Non dobbiamo dimenticare che la sperimentazione sulle mesenchimali è venuta in conseguenza alle ipotesi nate con le neurali. Le mesenchimali hanno in qualche modo ripercorso le tappe che le neurali avevano già percorso dimostrandosi capaci di poter funzionare in modo abbastanza simile. È il pacchetto completo di neurali e mesenchimali che è risultato vincente. Poi, certamente, le mesenchimali sono autologhe, vengono estratte dal midollo osseo dello stesso paziente, necessitano di una coltivazione più breve e, dunque, sono molto più semplici e meno costose da ricavare, manipolare e usare. Per questo sono arrivate prima alla sperimentazione clinica. Le neurali arriveranno dopo ma fanno parte dello stesso lavoro scientifico, delle stesse ipotesi, dello stesso percorso. Non ci sarebbero state le une senza le altre».
A livello generale, come potremmo definire il salto di qualità di una terapia con staminali rispetto ai trattamenti attualmente utilizzati?
«Differentemente da quanto si pensava fino a qualche anno fa, il lavoro da noi compiuto ha dimostrato che le staminali (sia mesenchimali che neurali) possono riparare il tessuto nervoso anche non sostituendosi alla cellule danneggiate ma semplicemente secernendo una miriade di fattori neuro protettivi – i.e. fattoritrofici, citochine antinfiammatorie, molecole immunomodulanti - lì dove ce ne è bisogno, cioè nella lesione. Ne producono di tanti tipi diversi e con una diversa specificità proprio perché sono cellule staminali, cioè cellule deputate a manutenere un tessuto, a renderlo efficiente. E la cosa ancora più interessante è che producono queste sostanze solo quando le richiede il tessuto danneggiato. In qualche modo è come se utilizzassimo molti diversi farmaci, una sorta di terapia combinata, un vero “cocktail terapeutico” prodotto dalla natura proprio per il nostro organismo,in risposta alle necessità reali di un nostro tessuto che si sta danneggiando e sta morendo».
Insomma, una vera e propria cura ‘personalizzata’ per il nostro corpo.
«Con le terapie cellulari si potrà ottenere una sorta di ‘medicina naturale personalizzata’ poiché capace di rilascia il ‘farmaco’ giusto nel momento giusto quando la cellula giusta lo richiede. Essendo una ‘terapia’ che usa cellule provenienti dall’uomo e non molecole chimiche,è possibile che il corpo la accetti con meno ritrosia di un farmaco tradizionale, con meno effetti collaterali».
Giuseppe Gazzola