«La felicità è una scelta», dice Davide. Scrittore, fondatore con altri del blog “Inchiostro di Puglia”, direttore artistico di diversi festival letterari del suo territorio, blogger di GiovanioltrelaSM, ha da poco pubblicato il suo ultimo romanzo “Domani mi sveglio presto”. Ci incontriamo in quel magico territorio di confine tra scrittura e vita, tra realtà e fantasia, dove tutto è possibile e dove più di tutto conta la storia che abbiamo da raccontarci.
02/02/2023
«Da piccolo – racconta Davide – ero un bambino cronicamente ammalato: mia mamma non mi faceva neanche spogliare al mare, se no il sole nelle ore più calde poteva far male ai nei, e poi sulla spiaggia c’erano cocci di bottiglia. Così ero quello cui la mamma diceva: “stai seduto sotto l’ombrellone e leggi”. E da lì è iniziata la mia relazione speciale con la scrittura».
Uno dei miei ristoranti preferiti si chiama “Da Felice”. La prima volta gli ho chiesto: lei è Felice? Qualche volta, mi ha risposto. Tu quando sei felice, Davide?
«Da scrittore, la felicità è arrivata quando sono passato dallo scrivere quello che credevo potesse piacere agli altri allo scrivere quello che va bene per me. Nella vita, lo stesso: sono felice quando riesco a dire quello che penso e faccio quello che desidero fare, anche dicendo alcuni no. Per esempio, quando non devo essere disponibile per lavoro, imposto la modalità aereo del cellulare e recupero tempo per riordinare uno scaffale, per rileggere un vecchio libro, per mettere ordine nella cucina. Questi spazi di libertà mi fanno stare bene. Non siamo obbligati a correre dietro alle necessità imposte dall’esterno, ai social, alla frenesia: se impariamo a dedicare un po’ più di tempo a noi stessi, possiamo vivere piccoli spazi di felicità autentica».
Nella tua scrittura, nel tuo romanzo, la sclerosi multipla non è al centro, non è la protagonista principale, ma proprio per questo diventa storia che si fa conoscere anche da chi magari non vorrebbe mai sentirne parlare. Nella tua vita?
«Mi impegno ogni giorno a non identificarmi con la sclerosi multipla. Io non sono la sclerosi multipla. Per questo non scrivo perché ho la sclerosi multipla, ma cerco di scrivere storie nonostante io abbia la sclerosi multipla. Vorrei che la SM diventasse, per chi ci riesce, come una delle cose che fanno parte della vita, come il divano con la chaise longue, come il colloquio di lavoro, come la credenza della cucina. Il sottotitolo della mia vita e di quello che scrivo potrebbe suonare così: “la SM c’è ma occupiamocene senza preoccuparcene, senza dimenticare che c’è tutto il resto da vivere”».
Nel romanzo scrivi, due volte, “che la SM era troppo”. È così che l’hai vissuta, quando è arrivata anche nella tua vita?
«Sono cresciuto come un bambino pieno di paure, verso la malattia, verso la vita. Poi nel 2014 mi avevano diagnosticato una malattia mieloproliferativa cronica, che si chiama trombocitemia essenziale. Nel 2018 mi è arrivata una diagnosi di RIS (Sindrome radiologicamente isolata), per cui sapevo che avrei potuto avere la SM in futuro ma intanto non avevo avuto alcun attacco. Se le persone cui è stata diagnosticata la SM convivono con l’ansia di capire se e quando arriverà un nuovo attacco, per me l’ansia era stare lì a vedere se e quando sarebbe arrivato quell’attacco, il primo, che avrebbe portato dalla diagnosi incerta alla diagnosi certa. E quando poi è arrivata la vera diagnosi di SM ho pensato che, sì, era anche troppo».
E poi sei arrivato a pensare anche tu, come Noemi, a pensare: “comunque ce l’ho fatta”?
«Certo. E sai quando? La sera prima di sposarmi con Rosanna, qualche mese fa. Come si usa da noi, siamo andati fin sotto casa sua a cantare, peraltro in modo pessimo, una serenata, la canzone del nostro amore. Quando ho visto la carovana di amici e parenti che mi hanno accompagnato perchè mi avevano scelto, quando ho visto lei, che mi stava scegliendo per la vita, affacciarsi felice dal balcone, ecco in quel momento ho pensato: “sì che ce la faccio”!»
Come è arrivata Rosanna nella tua vita?
«Quando avevamo entrambi 33-34 anni e qualche storia finita male alle spalle. Dopo un lungo e serrato corteggiamento, mi ha detto sì. Ci siamo messi insieme, siamo poi andati a convivere e a luglio ci siamo sposati».
Quel giorno le hai detto: “sì lo voglio”! E oggi?
«Sono arrivato al matrimonio con la consapevolezza assoluta che Rosanna sia la donna giusta per me e ogni giorno le ribadisco il mio sì. Riusciamo a condividere ogni singolo momento della vita. Non siamo simili, ma abbiamo trovato i nostri punti di contatto. A parte quando scegliamo i mobili, perché lì è inutile dire “sì lo voglio”. Se non c’è anche il “sì lo voglio” di lei, quel mobile non lo compriamo (se la ride)».
È vero che il trasloco è uno stress test che può mettere in crisi ogni coppia, anche la più rodata?
«Beh, basta privarsi del diritto di parola, lasciare scegliere a lei, e va benissimo. No, non è vero, dai. Ho scelto io la libreria, per la quale avevo un’attenzione particolare. E poi ora sono arrivato, al “sì lo voglio” rispetto alla paternità. Desidero fortemente avere un figlio. So che comporterà difficoltà e sono consapevole dei timori rispetto all’andamento della sclerosi multipla. Ma voglio vivere nel presente e seguire il desiderio vero, il desiderio di vita, poi affronteremo quello che sarà».
Intanto tu e Rosanna vi state ‘allenando’ con Pepe, il vostro gattino …
«Ho passato i primi 34 anni della mia vita senza mai toccare, letteralmente, un animale domestico, perché quando era adolescente, mio padre fu morso da un cane e la mia famiglia mi ha passato questa paura dell’animale domestico. Quando ho conosciuto Pepe, ci siamo guardati, io parlavo, lui mi guardava, neanche miagolava. Non l’ho toccato. E nemmeno lui mi ha mai toccato con la sua zampina. Poi un giorno sono stato contattato dal Policlinico di Bari per un ricovero. Allora mi sono inginocchiato e gli ho detto: “guarda che vado via qualche giorno per fare degli esami all’Ospedale. So che non te ne importa niente, ma comunque io torno”. E lui, per la prima volta da quando ci siamo conosciuti, ha allungato la zampetta, e iniziato a toccare il palmo della mia mano con la sua zampa. Come avesse percepito la mia paura, il mio bisogno di affetto in quel momento di fragilità. Un gatto sa diventare magico, se ci sono uomini che sanno prendersi cura di lui».
Tu scrivi sul blog “giovanioltrelaSM”: anche AISM è stata un incontro magico per la tua vita?
«La prima volta che sono entrato in contatto con AISM ero a Lecce, alla Sezione che c’è vicino all’Ospedale dove sono in cura. Entrando in Sezione ho pensato: “ecco, ora sto vedendo con gli occhi come è nella realtà una persona con sclerosi multipla, non la sto più studiando su Google, non sto più solamente leggendo una testimonianza sui social”. Ed è stato meraviglioso quel giorno come, grazie ai volontari che c’erano anche, mi sia trovato nelle condizioni di raccontare serenamente quello che mi era successo e di come altri mi abbiano parlato di sclerosi multipla. Un conto è quando leggi che ora si possono fare tante cose, che c’è quella terapia che fa quell’effetto e un conto è sentirlo dire guardando negli occhi la persona che te lo racconta e ti dice di non avere paura. E quando pochi mesi dopo sono venuto nella sede nazionale di AISM a Genova, ho percepito un forte senso di appartenenza, ho sentito in presa diretta che AISM è l’associazione che è presente, solidale, che sta costruendo un mondo libero dalla sclerosi multipla, una conquista dopo l’altra. Per questo, quel giorno, ho pensato: “devo fare anche la mia parte”. Io lo sto facendo. Facciamolo tutti, insieme».