Sul numero di Novembre della rivista Neurology (vol. 75, 20: 1794-1802) è stato pubblicato uno studio italiano coordinato da un gruppo di ricerca dell’Università di Firenze, guidato dalla prof.ssa Maria Pia Amato sulla sicurezza dei farmaci per la SM in gravidanza.
La ricerca risponde agli interrogativi delle donne con SM legati alla paura di possibili effetti collaterali sulla gravidanza di farmaci impiegati per modificare il decorso di malattia e di potenziali rischi per il nascituro derivanti dall’uso sempre più diffuso e precoce dei farmaci immunomodulanti (interferone beta e il glatiramer acetato).
L’indagine è stata condotta in 21 tra i maggiori centri italiani per la sclerosi multipla e ha permesso il monitoraggio prospettico di 423 gravidanze in 415 donne con SM, di cui 88 esposte all’interferone, per un periodo medio di circa quattro settimane, e 17 esposte al glatiramer acetato.
Lo studio chiarisce che l’esposizione a questi farmaci non aumenta significativamente il rischio di aborto spontaneo, sia in confronto alle donne con SM che non assumono tali farmaci che alla popolazione generale. Inoltre, grazie al follow-up dei bambini fino a 2 anni, in cui sono state analizzate le anomalie di sviluppo che possono manifestarsi più tardivamente, ha dimostrato che non esiste un rischio malformativo per il nascituro.
“In assenza di evidenze certe – spiega la prof.ssa Amato associato di Neurologia e responsabile del Settore Sclerosi Multipla della SOD Neurologia I dell’Azienda ospedaliero universitaria di Careggi- il consiglio del neurologo fino ad ora era quello di sospendere i farmaci per almeno un mese prima di intraprendere una gravidanza, lasciando quindi scoperta la madre rispetto al rischio di ricadute di malattia per un periodo potenzialmente lungo. I risultati del nostro studio, basato sulla più ampia casistica esistente nella letteratura scientifica internazionale, hanno pertanto un’importante ricaduta pratica sulla condotta terapeutica e sul counseling delle donne con SM che desiderano una gravidanza.
Infatti, tale ricerca ha sottolineato che, soprattutto nei casi in cui la malattia prima della gravidanza è particolarmente attiva, è possibile continuare il trattamento in sicurezza almeno fino al momento del concepimento”.
Questa ricerca ha permesso inoltre di costruire un ampio database di informazioni che permetterà con successive analisi di valutare altri aspetti critici, come l’impatto della gravidanza sul decorso a lungo termine della malattia, il ruolo svolto dall’allattamento e il rischio di ricadute per la madre nel periodo puerperale. Un aspetto importante è già stato però confermato: il fatto che la gravidanza realizzi una sorta di protezione naturale della madre nei confronti della malattia, con una significativa riduzione del rischio di ricadute nei nove mesi di gestazione, dato che era già emerso in precedenti studi.