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19/10/2011

Genetica e SM: l'intervista con Antonio Bertolotto

 Antonio Bertolotto
Nella foto: Antonio Bertolotto

 

Il dottor Antonio Bertolotto dirige del Centro Regionale Sclerosi Multipla presso l'Azienda Ospedialiero-Universitaria S. Luigi di Orbassano (TO). All'ECTRIMS 2011 di Amsterdam presenta sei posters con il suo gruppo di lavoro.

 

In quale ambito si colloca la vostra ricerca?
«Le nostre sono ricerche di biologia molecolare, di identificazione dei non-rispondenti alle terapie, di neurofisiologia e di clinica. Al Convegno ECTRIMS di Amsterdam il mio gruppo di lavoro partecipa con sei posters, di cui due sono una continuazione dello studio sulla gravidanza e uno legato all’esame proteomico del liquor dei pazienti con SM recidivante remittente».

 

Quali i contenuti scientifici dei vostri studi sulla gravidanza?
«Anzitutto trovo ottima l’idea che anche le persone con SM ricevano informazioni puntuali su quello che sta facendo la ricerca. Con il mio gruppo lavoriamo al CRESM (Centro di Riferimento Regionale Piemontese per la SM) che opera all’Ospedale San Luigi di Orbassano. Il poster preparato per ECTRIMS riguarda la continuazione dello studio che abbiamo già pubblicato sulla gravidanza: abbiamo identificato 7 geni utilizzati in modo anomalo nelle persone con SM rispetto alle persone normali. Durante la gravidanza questi geni vengono ‘risistemati’, ossia agiscono in modo simile a quello verificato nelle persone normali. E, infatti, in quel periodo le donne con SM vedono ridursi gli attacchi della malattia. Invece, fuori dalla gravidanza, questi 7 geni non funzionano come nelle persone che non hanno la sclerosi multipla. Partendo da qui abbiamo voluto anzitutto capire se questa ‘sregolazione’ dell’utilizzo dei geni fosse presente anche in una popolazione più ampia di pazienti, rispetto alle donne in gravidanza che avevamo già studiato. Per questo abbiamo preso in considerazione 113 pazienti, andando a vedere se questo meccanismo di regolazione dei 7 geni fosse presente sia nei maschi che nelle femmine con SM. E la risposta è sì: questi 7 geni sono ‘sregolati’ sia nei maschi che nelle femmine con SM all’inizio della malattia, prima che inizino ogni tipo di trattamento terapeutico. Questi dati sono stati ottenuti tramite prelievi del sangue dei pazienti del CRESM. In secondo luogo abbiamo verificato se i farmaci attualmente in uso - l’interferone B, il glatiramer acetato, il natalizumab - sono in grado di correggere l’espressione di questi 7 geni. E la risposta ottenuta è stratificata: l’interferone ne corregge 2, il natalizumab solo 1, il glatiramer ne corregge 5. Sovrapporre terapie con glatiramer e con interferone potrebbe avere dunque un suo razionale. C’è però anche un gene mai riparato da nessun farmaco. Vuol dire che le terapie attuali hanno meccanismi d’azione solo in parte sovrapponibili a ciò che succede in gravidanza».

 

Avete ulteriormente approfondito la comprensione del funzionamento di questi 7 geni in un periodo temporale più lungo di quello della gravidanza?
«Siamo andati a vedere se il grado di alterazione di questi 7 geni possa essere in qualche modo correlato con la gravità della malattia. Prelevando i campioni di sangue all’inizio della malattia, abbiamo poi seguito i pazienti per due, tre o più anni, andando a vedere cosa succedeva durante il trattamento con interferone, glatiramer, natalizumab. Abbiamo osservato che i pazienti che hanno dovuto progressivamente ricorrere a terapie più aggressive, perché avevano una malattia più grave e non rispondevano adeguatamente ai farmaci, avevano anche un più alto livello di alterazione di alcuni di questi 7 geni rispetto a chi aveva una malattia meno aggressiva. Siamo dunque arrivati a definire che 4 di questi geni alterati hanno un livello di espressione basso, sono utilizzati meno nelle persone con SM, cioè producono meno sostanze, meno proteine. E queste proteine hanno un’azione che pensiamo sia di tipo anti-infiammatorio».

 

Che conclusioni ne traete?
«
I nostri studi indicano che nella SM, a motivo di una sottoespressione di alcuni geni, la capacità di fermare l’infiammazione sia alterata, e quindi lo stimolo infiammatorio determina una maggiore quantità di infiammazione rispetto alle persone sane. Poiché inoltre abbiamo dimostrato che questi meccanismi di cattivo funzionamento sono riparati durante la gravidanza, riteniamo sia possibile trovare nuovi farmaci, oppure ormoni, cioè sostanze che riescano a correggere questi difetti anche fuori dalla gravidanza, sia per le femmine che per i maschi con SM. Insomma: ora sappiamo che nelle persone con SM c’è un difetto che in determinate condizioni, replicando lo stato della gravidanza, può essere corretto».

 

Quale utilità possono avere i vostri studi direttamente sulla vita delle persone con SM? La prospettiva di identificare nuove terapie?
«L’obiettivo primo è identificare il meccanismo con cui funziona la gravidanza, che è protettiva nei confronti della SM e di altre malattie autoimmuni. Se capiamo questo meccanismo, potremo identificare nuovi farmaci che, agendo come replicatori dei meccanismi fisiologici della gravidanza, potrebbero avere risultati notevoli con minori effetti collaterali. Stiamo inoltre lavorando su un secondo obiettivo importante per le persone: identificare il prima possibile i pazienti che non rispondono alle terapie, così da poterle cambiare precocemente e iniziare nuove terapia. Come Centro effettuiamo un grosso servizio per tutta l’Italia, per andare a vedere i pazienti che producono anticorpi contro l’interferone (circa 10-15%) e contro natalizumab (il 6%). Come responsabile del Centro di riferimento regionale aggiungo che facciamo anche attività di tipo psicologico e abbiamo verificato che, per esempio, avere colloqui di tipo psicologico con incontri di gruppo all’inizio della malattia è utile alle persone.

 

Quanto tempo ci vorrà per ipotizzare di arrivare a nuovi farmaci che agiscano sui 7 geni replicando i meccanismi tipici della gravidanza?
«Sono percorsi lunghi. Nel nostro caso specifico, però, ci sono già sostanze – ormoni, estrogeni – che mimano lo stato fisiologico della gravidanza. Si tratterebbe di verificarli nella SM. Ma non si può illudere ne poi deludere le persone indicando un limite preciso di tempo. Lavoreremo e vedremo».

 

Dunque che messaggio diamo alle persone sull’utilità della ricerca scientifica?
«Se guardiamo indietro, negli ultimi 15-20 anni il mondo della SM è molto cambiato. Ed è cambiato grazie alla ricerca, a molto studio, molto lavoro. Tante ricerche non portano a conclusioni, ma anche quelle con esiti negativi sono utili perché si acquisiscono sempre informazioni importanti».

 

Complessivamente, cosa dobbiamo aspettarci dalla ricerca nei prossimi anni?
«Dobbiamo aspettarci sempre più farmaci. E ogni farmaco che arriva è una buona notizia per un qualche numero di pazienti. Questa è una malattia complessa e varia, non può esserci un farmaco che serve per tutti, perché i meccanismi che causano la malattia sono diversi anche se simili nelle diverse persone. Un certo farmaco, dunque, agisce bene su un certo numero di pazienti, ma non su tutti. Aumentando il numero dei trattamenti, allora, si riuscirà ad essere più efficaci per numeri sempre più grandi di pazienti. Già ora ci sono farmaci che effettivamente cambiano il decorso della malattia, anche se purtroppo nulla è gratis e a volte si verificano anche seri effetti collaterali».