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Io, infermiera e volontaria AISM, ho riscoperto cosa conta veramente nella vita

La prima storia della "fase 2" ha il volto di Simona, che vive nelle Marche, lavora come infermiera nell’ambulatorio prelievi dell’Ospedale della sua città ed è volontaria AISM.

10/05/2020

«Sto vivendo un tempo sospeso. Prima ci ha destabilizzato l’obbligo di restare in casa, ci siamo sentiti persi rispetto alle cose della vita. Ora che possiamo uscire dalla gabbia non riusciamo a decidere quale sia il momento giusto. Magari è un controsenso, ma è la realtà».

Simona, come tanti di noi, in questi giorni è tornata spesso a ripensare alla sua storia, agli scogli affrontati per arrivare fino a qui: «Un mese prima di laurearmi come infermiera – racconta – mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla. Quest’anno io e la SM festeggiamo 20 anni di convivenza. Non è stato facile allora e non è facile oggi. Allora tanti sogni sembravano andare in frantumi e oggi si fatica a pensare a come andrà domani. Tante domande, tanta paura, allora come adesso».

 

Quella di Simona è una storia di sogni prima fatti a brandelli dalla diagnosi di SM poi ripresi in mano, trasformati in obiettivi e poi in realtà: «Con fatica e determinazione, ho comunque voluto vivere la mia vita. Dopo un percorso impegnativo, con diversi ostacoli superati, sono comunque riuscita a fare l’infermiera come volevo io, a contatto con le persone. Lavoro dal 2008 nell’ambulatorio prelievi dell’Ospedale della mia città. A un certo punto mi sono sposata e da alcuni anni è nata nostra figlia. Niente è andato perso di ciò che avevo desiderato vivere».

Poi è arrivato il virus ed è stato come uno tsunami, per tutti. Per le persone come Simona ancora di più: «Quello che era il punto di forza del mio lavoro, la relazione con le persone, anche se per i pochi minuti del prelievo, ora è diventato un grande punto di domanda. La paura più grossa, che mi fa vivere nell’angoscia, è che non so come potrebbe reagire il mio corpo: seguo una terapia con un farmaco immunosoppressore e non so come potrebbe andare se venissi a contatto con il virus. D’altra parte, mi sono posta molte la grande domanda, in questi giorni: ho studiato e lavoro per aiutare le persone, perché non riesco a trovare una soluzione? Speri sempre che tutto finisca nel migliore dei modi, ma la fortuna nel nostro campo non esiste. Non posso vivere sperando che il virus non possa venire a bussare alla mia porta».

 

Così, con fatica, Simona prima ha dovuto e poi ha scelto di mettersi in quarantena: «Non so se sia un caso, ma proprio all’inizio dell’emergenza mi sono ammalata: sarà stato lo stress, il mal di schiena, non so, sta di fatto che ho dovuto mettermi in malattia. Poi, finito il periodo di malattia, sono arrivati i giorni dell’incertezza: sapevo che era meglio stessi a casa, ma come dovevo fare? L’avvocato del Numero Verde AISM Mi ha aiutato a trovare la strada giusta: ho contattato il medico competente della nostra azienda ospedaliera, mandato la documentazione richiesta e dopo una settimana mi è arrivato il certificato che usava l’articolo 26 comma 2 del Decreto Cura Italia e mi lasciava a casa con un congedo equiparato al ricovero ospedaliero. Ora, dall’inizio di maggio è tornata l’incertezza: come altre colleghe ho preso una settimana di ferie. Del resto, in Ospedale c’è un silenzio assordante; i prelievi nel nostro ambulatorio sono scesi da 150 a 25 al giorno, in media, e non c’è bisogno che sia presente tutto il personale. In ogni caso, se non vengono confermate le norme del precedente Decreto, dovrò presto tornare a lavorare. Con tutti i presidi di protezione e ancora maggiori attenzioni, per me e per i pazienti. Per ora sono due mesi che non esco: sono stata rigorosamente in casa. E sono convinta di avere fatto la scelta giusta. Per fortuna viviamo in campagna, abbiamo un giardino, non siamo confinati in pochi metri quadrati. Solo che mio marito fa l’infermiere, anche lui. Così in casa abbiamo adottato tutte le tutele necessarie e anche le distanze: io e lui dormiamo in stanze separate. Lui esce, lavora, fa la spesa, in questi mesi ha badato lui a tutti noi. Per fortuna nel suo reparto non ci sono stati casi di positività al virus».

 

Il tempo dell’isolamento, in ogni caso, ha cambiato lo sguardo di Simona sulla vita e le ha fatto scoprire nuove possibilità: «In questi mesi ho ‘lavorato’ molto per AISM, imparando anche a operare in smartworking, cosa impensabile per chi fa l’infermiera. Dalla Sezione abbiamo iniziato, come concordato con la sede nazionale, a chiamare tutte le persone con SM del nostro territorio. Belle telefonate, in fondo. Noi avevamo tempo di parlare e anche loro lo desideravano, così le telefonate duravano anche un’ora. C’è stato chi mi ha raccontato di come si sia dedicato alla sua passione di produrre liquori. Chi ha riscoperto l’uncinetto. Insomma, dopo lo sbandamento iniziale, abbiamo iniziato a tirare fuori dai cassetti desideri impolverati e a fare qualcosa per noi stessi. Anche i familiari, non lavorando, hanno potuto dedicare più tempo ai propri cari con SM. Siamo in fondo rientrati in una diversa normalità. Io stessa, prima, non mi rendevo conto del meccanismo frenetico, nevrotico che mi sfiniva fisicamente e mentalmente. Non avevo mai tempo di fare nulla per me. Ora, dopo il dopo l’iniziale senso di smarrimento, mi sono accorta di come il tempo vuoto possa essere prezioso. Ho avuto modo di rilassarmi, di pensare, di rivalutare cosa voglio veramente dalla vita. La serenità e la famiglia. Dedicarmi agli affetti e curarli ogni giorno. E vorrei finalmente dire a mia figlia che ho la sclerosi multipla: come altri genitori nelle mie condizioni, non sono ancora riuscita a trovare il momento giusto per farlo».

 

Buona fase 2 a tutti noi, allora: possiamo provare non disperdere i doni imprevisti che questi due mesi ci hanno fatto riscoprire. A dare valore a ciò che conta davvero. E ancora una volta dobbiamo, come quando è arrivata la diagnosi di SM, trovare la forza di tenere alta la testa, di affrontare la paura, l’incertezza, l’imprevedibilità, l’invisibilità di questo virus che si somma all’incertezza, alla serietà, alla responsabilità che la SM impone, senza deroghe.

Insieme, come sempre, facendo ognuno e fino in fondo la propria parte.

 

 

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Questa storia fa parte di una serie di storie, un “giro” d’Italia di racconti  per ‘condividere’ cosa significhi vivere l’emergenza sclerosi multipla nel tempo dell’emergenza Coronavirus. 

Per trasformare poi le nostre storie individuali in una storia nuova per tutti, #insiemepiù forti  vuol dire anche “DONA ORA”. Diciamolo, a tutte le persone con cui siamo in contatto: donare ora ad AISM trasforma la debolezza in forza, l’emergenza in un nuovo inizio.