Salta al contenuto principale
La ricerca come la corsa: un esercizio di dedizione e pazienza

Jessica Podda è una giovane neuropsicologa con la passione del running, da poco arruolata come ricercatrice nella lotta contro la sclerosi multipla. Che affronta cercando di capire come le nuove tecnologie possono essere sfruttate in ambito riabilitativo.

08/09/2020

“Non siamo molto settoriali”, scherza. E non perché manchi la specializzazione, al contrario, ma perché il campo stesso da cui arriva e dove lavora è difficile da confinare. Perché quando si parla delle interazioni della mente con il corpo i paletti sono sfumati, e anche la ricerca fatica a rimanere confinata in unico settore. Così che interessarsi di mente, quando si parla di sclerosi multipla, può significare tanto occuparsi di disturbi dell'umore, quanto cercare di capire quanto la riabilitazione per il fisico possa diventare anche riabilitazione per il cervello.

 

È così che Jessica Podda, neuropsicologa presso il centro di riabilitazione AISM di Genova e atleta con la passione per il running, racconta il suo primo anno di esperienza come giovane ricercatrice della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM). Ha appena messo la sua firma, insieme ad alcuni colleghi, in un lavoro in cui mostra quali sono i fattori capaci di predire i disturbi d'ansia nelle persone con SM. Un piccolo passo in un campo ben più vasto, confida: “In realtà stiamo cercando di capire, lavorando con scale cliniche e questionari, come i dati della storia dei pazienti, possano avere un valore predittivo”. Anche quelli autoriferiti dai pazienti, che riguardano le sfere più intime, più personali della malattia, non filtrate attraverso l'occhio clinico.

 

Ma sono tanti i progetti in cantiere della ricercatrice, e non si limitano a considerare le variazioni di umore delle persone con SM. Sono quelli che considerano la mente (e il cervello) anche come uno strumento da allenare, al pari dei muscoli. Per assurdo con gli stessi strumenti usati ai muscoli. Sono i progetti che ruotano intorno all'ambito della riabilitazione e dell'attività fisica. Non a caso per una come Jessica, che dopo gli studi di psicologia e prima di sbarcare in AISM ha conseguito un dottorato in bioingegneria e robotica all'Istituto italiano di tecnologia (IIT). “Mi piace l'idea di poter sfruttare le nuove tecnologie in ambito riabilitavo”, confida, “e credo fortemente nel valore e nell’importanza di una ricerca che sia anzitutto responsabile e rispettosa, e innovativa: intesa come strumento di conoscenza volta al miglioramento della qualità della vita delle persone dove ogni risultato ottenuto in laboratorio possa essere trasferito nella vita di tutti i giorni”.

E da qui l’importanza strategica del coinvolgimento  delle persone con SM e dei loro caregiver, adeguatamente sostenuti e legittimati a giocare un ruolo attivo all’interno del percorso di cura e di ricerca, al fine di costruire una ricerca inclusiva che tenga conto dei loro bisogni e delle loro esperienze.

Magari non oggi, non domani: “A mio avviso la ricerca e la corsa hanno molti aspetti in comune: la dedizione costante verso un obiettivo, un forte spirito critico e soprattutto la pazienza di saper aspettare per vedere i risultati dei propri sforzi”.

 

Così, accanto a un progetto che si occupa di testare l'efficacia di nuovi strumenti sull'equilibrio, e di uno studio che valuta l'efficacia dell'esercizio fisico aerobico e riabilitazione cognitiva sugli aspetti cognitivi delle persone con SM, Jessica porta avanti da tempo le sue ricerche nel campo degli exergame. “Exergame è una parola che nasce dall'unione exercise e game. L'idea iniziale era quella di promuovere uno stile di vita attivo attraverso il gioco, per esempio attraverso piattaforme come la Nintendo Wii, poi però la ricerca nel campo ha mostrato che possono essere usate non solo per giocare”, racconta la ricercatrice. “Negli ultimi 15 anni è diventato sempre più chiaro come gli exergame non facessero solo bene al corpo, ma anche a livello cognitivo: basti pensare al fatto che alcune delle attività per cui sono usate richiedono un notevole livello di concentrazione, mantenuto nel tempo. Sono giochi che lavorano sulla flessibilità cognitiva e per questo speriamo che possano essere applicati anche in ambito riabilitativo”.