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«La sclerosi multipla è come un’inquilina nel mio attico, ci sfidiamo ogni giorno a poker»

La testimonianza di Gianfranco Mogliotti, giornalista e scrittore. Vive e lavora a Rocchetta Tanaro. Ha la SM dal 1999. E ama la vita, come il buon vino che nasce dalla vigna di famiglia.

31/08/2020

Ha fatto maratone sulla “K-bike”, immersioni subacquee, è andato in deltaplano, ha amato. Laureato in Scienze Politiche, giornalista pubblicista, collabora con La Stampa. È Vice Presidente del Consiglio Direttivo della Cantina “Post dal vin”, azienda vinicola di Rocchetta Tanaro, il paese in cui vive. Lavora come impiegato, in smartworking, per un’azienda del suo territorio. Ha scritto, nel 2019, un romanzo autobiografico: L’inquilina dell’attico (Cartman Edizioni). E l’inquilina è la sclerosi multipla: «dal 7 aprile 1999, il giorno della diagnosi arrivata all’Ospedale di Alessandria, mi ha portato in dote, oltre ai “fili di mielina” bruciati nel tempo, 600 iniezioni di interferone, 5 cicli di Mitoxantrone, 24 flebo di Natalizumab e, da due anni, 2 capsule al giorno di Fingolimod».

 

Una contabilità precisa, che Gianfranco, 49 anni, snocciola con il sorriso garbato che non perde mai, nemmeno quando con sincerità fa un bilancio della sua vita, oltre i numeri: «La sclerosi multipla in 21 anni, mi ha tolto lo spirito giovanile, la voglia di essere sempre sul pezzo. Dall’altra parte mi rimette continuamente in gioco. Per vivere fino in fondo la vita che voglio, la sfido ogni giorno. Immagina: siamo a un tavolo da poker, posacenere, luci soffuse. Ci guardiamo. So che lei ha quattro assi in mano. E so anche che io ho quattro carte scompagnate, scartine che neanche si guardano. Dovrei mollare subito. Ma io non vado via. Gioco. Se mai vincerà la partita, se la dovrà sudare fino all’ultimo secondo» .

 

 

A Gianfranco non manca la capacità affabulativa: prende la vita e la fa sembrare un film. Ma più di tutto, se lo ascolti, ti colpisce per la leggerezza gentile con cui parla di esperienze pesantissime: «Sono stati mesi durissimi, gli ultimi. Stiamo sopravvivendo a uno tsunami. Ero andato a Salice Terme a fine febbraio per un ciclo di riabilitazione. La fisioterapia è la cura migliore possibile. Molto spesso una persona con SM ha problemi ‘nascosti’, subdoli, come la fatica, l’incontinenza vescicale, o magari delle piccole carenze di equilibrio, che incidono tanto nella qualità della vita (ndr vedi sintomi della sclerosi multipla). Solo che stavolta, mentre ero nel Centro per la riabilitazione, è scoppiata la pandemia. Io vivo con genitori anziani, così ho chiesto di rimanere nella struttura per un po’, pensando di essere più protetto. Lontano dagli affetti, ma sicuro, pensavo. Poi, anche tra noi, alcune persone sono venute a mancare a causa del Covid. Sono rimasto lì due mesi e mezzo, alla fine. Mi ha aiutato partecipare a un’iniziativa della Provincia di Asti, #inpuntadiciabatte, dove ho letto in videoconferenza pagine scelte del mio libro».

 

 

Anche per Gianfranco, come per tutti noi, a un certo punto il lockdown è finito. Anche se non è terminato il senso di precarietà e incertezza. Possiamo tornare a vivere, con serenità, ma continuando a stare molto attenti a non dimenticare nulla di quello che abbiamo imparato in questi mesi durissimi.

«Ora sono tornato nel mio paesino di cento abitanti. Siamo in collina, se esco sento il cinguettio degli uccellini, e le cicale che cantano la sera. Qualche giorno fa sono stato alla Festa del paese, ed è stato bello ritrovare persone con cui ci vogliamo bene. Ho anche ripreso a lavorare per la mia azienda, Gaia, che si occupa di gestione dei rifiuti nell’astigiano: io facevo smartworking da tanto, sono stato un precursore. Poi sono fortunato perché posso scrivere sul giornale e incontrare storie, vite, persone. In questi giorni ho scritto un articolo su Roby Facchinetti, storico leader dei Pooh, che verrà per un concerto a inizio settembre nel mio paesello. Insomma, c’è una vita da gustare, come il nostro vino Barbera. Non me ne devo perdere neanche una goccia, perché la SM ci mette un attimo a cambiare tutto. E poi il Coronavirus aumenta il senso di incertezza. C’è davvero bisogno di andare a fare i fenomeni in Sardegna o in Spagna? Mai come oggi siamo tutti responsabili della vita degli altri, oltre che della nostra. Non dimentichiamolo. Questo virus colpisce più forte le persone più deboli. Anche se sei giovane, e magari prendi il virus senza avere sintomi, sei responsabile verso chi, se prende il virus, potrebbe perdere la sua vita. È così preziosa, questa vita. Teniamocela cara, tutti insieme».

 

Per Gianfranco l’amore alla vita – ricambiato – è veramente un altro tipo di cura, cui non rinuncerebbe mai: «Vado in giro a presentare il mio libro. Di recente sono stato alla Libreria Mondadori di Alessandria e ho venduto una ventina di copie della seconda ristampa. Al di là delle vendite, è bello vedere che la vita di chi prova ad andare oltre la sclerosi multipla interessa tante persone. E questa è una medicina per l’anima, irrinunciabile. La SM è una patologia seria, che non ha pietà di nulla. Se non provi a combattere e a inventarti strade diverse per arrivare all’obiettivo, troverai solo strade impraticabili. Devi trovare vie alternative. Io cerco di trasmettere proprio questa voglia di non arrendersi mai. Le strade possono inerpicarsi, rendersi difficili. Per tutti.  Possiamo inabissarci. Nessuno nella vita è al riparo e bisogna sempre essere pronti a reagire».

 

 

Certo – gli dico – non tutti reagiscono alla sclerosi multipla partecipando a una maratona su K Bike, l’evoluzione della Joelette, una specie di ‘risciò’, una carrozzina a due ruote trainata da due atleti, uno davanti e uno dietro.  Come è potuto succedere?

«Per caso. Quando ancora andavo in ufficio ad Asti, nel 2012, un mercoledì mattina in ufficio mi arriva una telefonata rapida di un signore che mi dice: “Ciao sono Mauro, so tutto di te, ci vediamo domenica mattina alle 7,30 davanti alla questura di Torino”. Mi ha proposto di partecipare alla maratona. A me, che vivo in carrozzina e, con le stampelle, non riesco neanche a fare 50 metri. Ma io, in realtà, non dovevo fare niente. Due atleti delle Fiamme Oro mi avrebbero portato sulla “joelette”. Ho attraversato la mia amata Torino in un modo unico, meraviglioso. In quattro ore e mezzo non sono stato zitto un attimo. Di seguito, siamo stati anche alla Maratona di Milano e a Venezia.

 

 

E poi, per “festeggiare” i vent’anni della mia diagnosi di sclerosi multipla, il 7 aprile 2019 siamo andati alla Maratona di Roma. Un’esperienza meravigliosa: io stavo per primo sulla linea di partenza, con il pettorale numero 1. Dietro di me i diecimila iscritti alla Maratona. Quando hanno suonato l’Inno d’Italia mi sono venute le lacrime agli occhi: esattamente alle 8,30 di vent’anni prima stavo entrando dentro la risonanza magnetica che mi avrebbe cambiato la vita, ad Alessandria. La maratona è stata una pietra miliare della mia vita. Queste esperienze ti danno una fiducia in te stesso che è impagabile, ma soprattutto utile nella quotidianità. Quando ti ritrovi da solo con la tua malattia e non riesci magari ad alzarti, hai un motivo in più per tenere duro, per sapere che ce la puoi fare a vivere libero dai limiti che non hai scelto, a giocare fino in fondo la tua partita».