Ci sono ragazzi, alcuni minorenni, altri arrivati da poco alla maggiore età, cui è stata diagnosticata la sclerosi multipla in età “pediatrica”. Come hanno vissuto, loro, la lunga quarantena? E come stanno vivendo questi primi giorni di ripresa della vita sociale? Con quali preoccupazioni, con quali fatiche, con quali risvolti positivi, se ci sono stati? Siamo andati a cercare questi ragazzi, con il consenso dei genitori. Ecco cosa ci ha raccontato Ambra.
21/05/2020
«Ora che ricominciate a uscire, pensate a quelli come me e ai rischi che noi corriamo».
Dopo Aisha, ecco Ambra, che ci racconta un po’ della sua diagnosi arrivata così presto, di come la sta vivendo oggi e di come vuole guardare avanti.
«Io ho 16 anni. Vivo a 50 km da Torino, per andare a scuola dovevo viaggiare tanto. E con la SM la fatica aveva un impatto forte. Ora sto andando meglio di prima a scuola. Togliendo il viaggio di andata e ritorno, che mi faceva accumulare stanchezza e tanto stress, ora vado meglio a scuola. Ho anche voti migliori.
Ci sono cambiamenti, difficoltà, mancanze che più di altre hanno segnato questi mesi di emergenza?
Mi fa arrabbiare il fatto che, secondo me, non si è capito bene la gravità della situazione di chi ha patologie come la mia o altre. Se già una persona normale ha un sistema immunitario che non sempre sa rispondere al virus, una persona come me, con la SM, che fa una terapia immunosoppressiva, come risponderebbe al virus? Avremmo avuto bisogno che gli altri stessero attenti anche per noi. E adesso che si ricomincia a uscire, ancora di più.
Hai voglia di raccontare come hai avuto la diagnosi di sclerosi multipla?
Quando ero in terza media, tre anni fa. Una mattina mi sono svegliata e non muovevo più tutto il lato sinistro del corpo. Non capivo. Con la destra riuscivo a fare tutto, con la sinistra non riuscivo nemmeno a tenere in mano un pacchetto di cracker. I miei genitori hanno pensato: un colpo d’aria, aspettiamo. Poi per qualche giorno dormivo 24 ore su 24, non riuscivo neanche a parlare, il labbro della parte sinistra si era gonfiato.
La diagnosi è arrivata subito?
Non tanto. Dopo quell’attacco ho iniziato a fare visite e sono stata ricoverata un mese in Ospedale a Torino. Da lì sono uscita con una diagnosi, tra virgolette, di ischemia cerebrale, che non c’entrava in realtà. Avevo fatto tanti esami, ma non si capiva cosa avessi. Fino a quando una seconda risonanza ha evidenziato nuove placche demielinizzate: a quel punto l’Ospedale ci ha mandato al San Luigi, il Centro Regionale SM, a Orbassano.
Eri proprio piccola… e riesci a parlarne.
Quel periodo mi ha dato tanto modo di capire chi c’era veramente nella mia vita e chi no. Stavo tutto giorno chiusa nel letto. Anche volendo, non avevo nessuno con cui parlare, a parte i miei genitori. E mi sono venute a trovare pochissime persone.
Questo ti è rimasto…
Infatti, uscita dall’Ospedale, ho perso tantissimi amici. Tante persone, cattive e ignoranti, dicevano in giro che non volevano più frequentarmi, perché ero un’ammalata.
Adesso?
Per un bel po’ di tempo, quando ripensavo a quel mese, avevo anche attacchi di panico, stavo malissimo, ero traumatizzata. Ora, dopo tanto lavoro, riesco a parlarne senza problemi. Poi non facevo vita regolare, dormivo poche ore, non prendevo mai medicine, non andavo a fare controlli e visite in Ospedale. Ora vado regolarmente alle visite di controllo, ho un ritmo di sonno regolare, faccio pasti normali anche perché preferisco prendere la terapia dopo aver mangiato. Per non dimenticarmi la pastiglia, ho iniziato a mettermi la sveglia con l’orario in cui devo prendere la terapia. Poi uso un’applicazione che mi manda le notifiche e mi chiede se ho preso la terapia.
Hai altri amici della tua età che hanno la SM?
Partecipo al gruppetto seguito dalla dottoressa Borghi al CRESM. Loro sono sempre stati preziosi: quando mi buttavo giù, li cercavo, cercavo il confronto, mi serviva farlo con loro perché sentivo che mi capivano, che stavano vivendo la stessa situazione. Durante la quarantena ci siamo incontrati una volta, on line: è stato anche piacevole.
Per i prossimi giorni che progetti hai?
Siamo passati alla fase 2, ma per me non cambia tantissimo. Penso di uscire un po’ anche da sola anche per fare passeggiate e riabituarmi a stare all’aria aperta. Cercherò sempre di stare a distanza, in posti dove ci sono poche persone, con guanti e mascherina. Perché io sono un soggetto ancora più a rischio degli altri. Anche se vedo i miei amici che escono e usano meno precauzioni, magari, io non posso proprio. Questo è uno degli aspetti faticosi del virus.
Per la SM in questo periodo hai avuto bisogno di medici, infermieri, psicologi?
Sto seguendo una terapia psicologica privata e l’ho continuata in quarantena, anzi la dottoressa ha riaperto lo studio e le ultime volte ci sono andata di persona.
Ti serve?
Sì.
In cosa ti aiuta? Hai trovato qualche strategia per stare calma, serena e forte in questo periodo difficile per tutti?
Ho iniziato a fare tanto esercizio fisico: così ho un modo per stancarmi un po’ e così riesco ad andare a dormire prima; se no stando ferma in casa tutto il giorno anche il sonno alla sera fatica ad arrivare. Poi lo sport mi fa davvero bene, benissimo, sviluppa endorfine. Mi piace e mi aiuta, insomma. Ho imparato ora a fare movimento in casa. Poi mi sono data un po’ all’arte e dipingo. Ho incominciato adesso: ho dipinto su tela, su tegola. In questi giorni probabilmente riutilizzerò le tempere. La creatività risolve tanti problemi, a volte.
La difficoltà ti ha fatto nascere un desiderio che poi hai iniziato a realizzare…
Sì, chiaramente ci sono stati anche momenti di crisi. Così chiusa in casa, a volte inizio a pensarci troppo su, inizio a piangere e a buttarmi giù. Però ci ho lavorato tanto con le mie psicologhe e i dottori, ora più difficilmente mi butto giù. Lo devo a me stessa, alla vita che ho davanti.
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Questa storia fa parte di una serie di storie, un “giro” d’Italia di racconti per ‘condividere’ cosa significhi vivere l’emergenza sclerosi multipla nel tempo dell’emergenza Coronavirus.
Per trasformare poi le nostre storie individuali in una storia nuova per tutti, #insiemepiù forti vuol dire anche “DONA ORA”. Diciamolo, a tutte le persone con cui siamo in contatto: donare ora ad AISM trasforma la debolezza in forza, l’emergenza in un nuovo inizio.