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Raccontare la scienza ai tempi dei social media

Comunicazione, disinformazione, bufale: il ricercatore “social” Ivano Eberini racconta vizi e virtù della comunicazione scientifica. E invita i ricercatori a usare i nuovi media per raccontare come funziona la ricerca. Per non lasciare un vuoto in cui la disinformazione e il dubbio possano dilagare.

21/08/2019

In inglese si dice dissemination, parola che ha il suono evocativo della semina. Seminare (vedi diffondere) il più possibile informazioni sui progetti scientifici per raccogliere, si spera non troppo in là, condivisione di risultati e di valori non solo all’interno della comunità scientifica, ma con l’opinione pubblica in generale. 
A portare questa vera e propria rivoluzione nell’ambito della ricerca scientifica sono stati soprattutto i nuovi media digitali, che mettono tutti in comunicazione diretta in un calderone dove proliferano tante buone e corrette notizie, ma anche disinformazione, vere e proprie bufale. Comunicare la scienza dove la gente parla — nei “bar” di oggi — è diventato cruciale. Perché oltre a scambiarsi like sui social ci si informa, ci si confronta, si prendono decisioni sulla propria vita. 
Per questo la dissemination, il lavoro e le attività per divulgare i progressi di una ricerca, sta diventando una priorità nell’agenda dei ricercatori, ed è ormai parte integrante di un progetto di ricerca.

 

«I bandi europei e di alcuni enti finanziatori richiedono pagine e pagine di descrizione su come si intende comunicare la propria ricerca. La valutazione del progetto dipende sempre più da questo aspetto. I ricercatori in molti casi non sanno di cosa stiamo parlando, così capita che progetti non vengano finanziati non perché non valgano scientificamente, ma perché non propongono un buon programma di dissemination, ossia di diffusione dei risultati».

 

Parole di Ivano Eberini, biochimico e ricercatore all’Università di Milano, con una passione per la comunicazione e la stoffa del divulgatore che abbiamo incontrato per parlare di informazione e ricerca scientifica, temi portanti della Settimana Nazionale della sclerosi multipla (27 maggio - 4 giugno 2017).

C’è una certa diffidenza da parte dei ricercatori, ma si può dire di professionisti in generale, verso i nuovi media. “Internet” è spesso sinonimo di luogo dove si trova tutto e il contrario di tutto. 
Quindi, perché buttarsi nell’arena, non è meglio evitare?

 

«Niente di più sbagliato — dice Eberini — i social oggi sono il posto in cui avvengono le conversazioni, lasciare questo strumento non presidiato significa lasciare un vuoto in cui la disinformazione e il dubbio dilagano».

 

La scienza e i risultati scientifici sono spesso sotto attacco: teorie più o meno complottiste e accuse contro poteri occulti fanno presa su chi non ha informazioni corrette. Non solo, secondo una ricerca inglese del 2014 il 35% degli intervistati crede che gli scienziati aggiustino i risultati delle proprie ricerche per avere le risposte che vogliono. Come si può arginare questo fenomeno e far valere le ragioni di chi la scienza la conosce perché ci lavora?

 

«Sono tanti gli elementi — dice Ivano — prima di tutto non possiamo essere sempre brevi. La spiegazione dei fenomeni scientifici non può essere liquidata in una battuta o in un tweet. Inoltre noi siamo responsabili dei contenuti che pubblichiamo, quindi dobbiamo essere molto attenti a come li scriviamo». 

 

Ci vuole un’attitudine particolare alla comunicazione per cimentarsi con i nuovi media, oppure è alla portata di tutti?

 

«Io non sono un sostenitore tout court dei social — dice Eberini — ognuno deve scegliere il canale che rispecchia il proprio spirito. Anche perché il rischio è di non raggiungere l’obiettivo. Sicuramente quello che serve è una strategia adeguata di comunicazione».

 

Non buttarsi a caso, insomma, il boomerang o peggio, l’epic fail, è dietro l’angolo: basta pensare al caso di Justin Sacco.
Al contrario di quello che si può pensare, la comunicazione sui nuovi media è un’attività costante e non monotematica: «chi ti legge online crede a quello che scrivi perché si crea un sentimento di fiducia. Questo sentimento va coltivato, con una comunicazione trasparente, a tutto tondo: io per esempio scrivo di scienza, ma anche di quello che mi succede durante la giornata, di quello che leggo», prosegue Eberini.

La comunicazione scientifica, poi, è ancora più difficile di altri ambiti, perché spiega fenomeni complessi — pensiamo alla sperimentazione animale, i vaccini, i pericoli di alcuni elementi chimici per la salute — su cui spesso aleggiano diffidenza e ignoranza.

 

«In un recente post mi è stato chiesto di illustrare i pericoli dell’aspartame, dolcificante presente in molti prodotti alimentari, oggetto di discussioni e critiche. È verificato che questa sostanza rilasci metanolo, un composto nocivo, ma fatte alcune ricerche viene fuori che un succo di frutta ne rilascia di più».

 

Questo per dire che il senso di pericolosità spesso non è commisurato alla realtà dei fatti. «Il post ha ricevuto diversi commenti critici, a cui ho risposto, a volte con fatica, perché ci sono casi in cui proprio non ci si capisce», prosegue il Ricercatore social.
I dati delle ultime ricerche sull’analfabetismo in Italia non regalano molto ottimismo. Fino al 70% degli italiani, rivelano le indagini, è analfabeta funzionale, cioè legge un testo ma non lo capisce. In più i social amplificano l’effetto Lucifero, ovvero la tendenza a mostrare il peggio in situazioni di decontestualizzazione e deindividuazione, come dimostrò un esperimento scientifico divenuto famoso negli anni Settanta svolto da Philip Zimbardo. 
A volte sembra difficile come svuotare il mare con un cucchiaino. Ma c’è una motivazione molto forte per chi, come Ivano Eberini, sceglie di stare online non solo per esserci, bensì per cercare di raccontare come funziona la scienza.

 

«È la convinzione che ci sia il modo di farsi capire una volta trovata la giusta modalità, è credere nelle possibilità delle persone. Per ottenere una consapevolezza maggiore dell’opinione pubblica dobbiamo spiegare cosa facciamo, cosa abbiamo fatto, e cosa dobbiamo evitare. È una cosa che riguarda tutta la società civile».

 

Sono più le volte che ti diverti quando sei online, o che ti arrabbi?

 

«Il bilancio è sicuramente positivo. Io non ho una cerchia enorme, per cui chi mi segue tendenzialmente mi conosce, o è interessato ai temi di cui parlo, e comunque è aperto al dialogo. Penso però che, anche nei casi più critici, anche quando la discussione si accende, la possibilità di entrare in comunicazione con così tanta facilità e di discutere rimane un aspetto positivo».

 

Ci vuole tanta pazienza e tanto tempo, e la discussione è spesso assicurata.

A volte l’arena social ha effetti anche su media tradizionali: «è capitato al virologo Roberto Burioni del San Raffaele sul tema dei vaccini. Dopo essere stato invitato a una trasmissione nella TV pubblica sbilanciata verso le posizioni anti-vaccini è tornato a casa infuriato, ne ha scritto su Facebook in un post diventato subito virale. Risultato: dopo poco la trasmissione è stata chiusa».
Insomma, si può anche fare finta che i social non esistano e vivere bene, forse meglio di molti altri. Ma non si può mettere in dubbio il ruolo e il potere di questi strumenti oggi. Molti non se ne sono accorti, altri fanno orecchie da mercante, poi ci sono (non troppi per la verità) quelli che sui social, come sui blog ci stanno, e lo fanno bene. Ivano Eberini è sicuramente uno di questi.

 

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Ivano Eberini è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell’Università di Milano, si occupa di biochimica computazionale, ed è autore di circa 80 pubblicazioni. Ha concentrato le sue ricerche sullo studio delle proteine per capire la relazione tra struttura e funzione. Partecipa anche ad un importante studio sostenuto da AISM e la sua Fondazione: la ricerca sul GPR 17 coordinata dalla Prof.ssa Abbracchio. Lo studio analizza questo particolare recettore e le sue potenzialità per contrastare la perdita di mielina nel sistema nervoso centrale.

 

[l'articolo è uscito per la prima volta su Medium https://medium.com/@AISM_onlus]