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In ricordo di mia mamma, dei suoi 23 anni con la SM, della sua immensa dignità

Stefano Ristagno, 39 anni, ricorda la mamma Caterina, venuta a mancare 5 anni fa dopo 23 anni di vita con la sclerosi multipla. Per tenere viva la sua memoria, a cinque anni dalla sua scomparsa, ha scritto: «1992- La vera storia di mia madre e della sua battaglia contro la sclerosi multipla»

02/03/2021

 

«Desperados, esperamos todavia». Con questo verso del poeta spagnolo Machado, Stefano Ristagno raccoglie, a cinque anni di distanza, il «lascito di mia mamma, Caterina Sole,  che ha vissuto per 23 anni con la sclerosi multipla ed è mancata cinque anni fa. Ci sono stati anni in cui eravamo restati soli, io e lei, ad affrontare una malattia diventata gravemente progressiva. In quel periodo sentivo forte il senso della responsabilità nei suoi confronti e siamo insieme passati tante volte dalla disperazione per una guarigione sempre rincorsa e mai raggiunta, per una cura che non c’era, alla speranza intatta, al desiderio di uscirne, alla voglia di lottare che non è mai mancata. Lei mi ha lasciato come eredità preziosa e irrinunciabile la sua grande energia, il fatto che abbia combattuto fino all’ultimo, che abbia dato un senso a questa malattia, che sia andata oltre ogni limite e sofferenza affrontata. Anche quando non aveva più nessun tono muscolare e doveva essere accudita in tutto, era lei che dava forza a me. Ancora oggi nei miei personali momenti di sconforto mi viene sempre in soccorso questa sua energia, la forza d’animo che è stata il tratto dominante della sua esperienza. Ogni volta che qualcosa mi butta giù, mi rattrista, mi addolora, mi chiedo come avrebbe affrontato lei la situazione. E nel ricordo di ciò che ha fatto lei, di come ha reagito lei, trovo una mappa, una traccia. Quando ti sei smarrito nel deserto, vedere una direzione è decisivo».

 

Per tenere viva la memoria di una mamma amata intensamente, Stefano, ingegnere, oggi «insegnante precario di matematica in una scuola superiore in provincia di Treviso, dopo aver lavorato più di due anni a Londra e poi nelle Ferrovie dello Stato», ha provato a mettere per iscritto quello che gli resta di 23 anni di percorso condiviso con la mamma dentro la sclerosi multipla.

 

E il suo scritto parte da una data, indelebile: 1992.

 

«Ricordo come fosse oggi, anche se ero poco più che ragazzo, il senso di smarrimento che travolse tutta la nostra famiglia dopo la diagnosi, la disperazione di trovarci dentro una malattia che era ancora un mistero per cui non esisteva cura. Una sensazione potente e devastante, simile a quella che abbiamo vissuto di fronte all’esplosione della pandemia dovuta al Covid-19».

 

E proprio per avere una terapia che non esisteva, una speranza di guarigione che non trovava fondamento, una luce in fondo a un tunnel che sembrava senza uscita, Stefano e la sua famiglia hanno vissuto esperienze che oggi sembrano inverosimili: «Poco dopo la diagnosi – ricorda Stefano - un giovane medico di Palermo, il dottor Salemi, ebbe un’intuizione e ci prescrisse l’uso dell’interferone, che allora era solo un farmaco sperimentale. Mio papà iniziò un iter allucinante per ottenerlo: ovunque andasse a chiederlo, si trovava di fronte a un muro di gomma, a una burocrazia che nemmeno rispondeva, a una totale diffidenza non solo nei suo confronti ma anche rispetto al medico che aveva prescritto il farmaco. Lui fu testardo, chiese risposte scritte, ricordò a chi negava il farmaco il diritto alla salute sancito dalla Costituzione, chiese e richiese fino a quando dalla Germania arrivò questo farmaco. I miei ricordi sono un po’ sfocati, sono passati tanti anni, ma resta viva la memoria in famiglia di una sensazione di vittoria. Dopo il senso di disastro arrivato con la diagnosi, in quel momento ci sembrava di avere trovato il Santo Graal, la panacea. Ci eravamo illusi che mamma con quel farmaco sarebbe guarita in poco tempo. Allora, si sapeva pochissimo della sclerosi multipla. Il farmaco fu efficace solo per brevi periodi. Mamma non solo non è guarita, come ci eravamo illusi, ma ha continuato a peggiorare. Fu una vicenda molto sofferta sotto molti punti di vista».

 

Oggi la diagnosi arriva in un mese, e subito si ha gratuitamente la cura, scelta tra le molte disponibili. Non si guarisce, ma si può vivere oltre la sclerosi multipla. Un altro mondo.

Ma il passato, per Stefano, continua a parlare, anche in un mondo diverso.

Ricorda come fosse oggi il giorno della sua laurea in Ingegneria, quando mamma, orgogliosa del figlio, volle essere presente. Fu portata all’Università dai volontari della Sezione AISM di Palermo: «ma trovarono occupato il posteggio per disabili e, quando chiamarono la vigilanza per la rimozione, si trovarono davanti a una persona che li insultò e minacciò. Oggi le cose sono cambiate, ma non così tanto. Spesso, nei suoi ultimi anni di vita, uscivo con lei in carrozzina per portarla un po’ a spasso, al mercato rionale. Ma trovavamo sempre gli scivoli dei marciapiedi occupati da qualche auto parcheggiata fuori posto. E dovevamo ogni volta combattere con sguardi di riprovazione dei passanti, che sembravano dire a mamma: “cosa ci fate voi in giro? Non vi accorgete che ci mettete a disagio?”. Lo so, non è così ovunque. Sono stato alcuni anni a Londra per lavoro e ho visto spesso le persone in carrozzina salire, anche da sole, sugli autobus. La discriminazione non è un destino già scritto, vivere in una società inclusiva è possibile».

 

Il destino possibile va scritto insieme. Va desiderato.

 

Lo chiedo a Stefano: dopo tanto camminare nel passato, per tenere viva la memoria di tua mamma, che desiderio hai per il tuo futuro e per quello delle persone cui viene diagnosticata oggi la sclerosi multipla?

«Sicuramente continuo a desiderare che, invece di continuare a vedere ogni anno nuove diagnosi, queste vadano a diminuire. E poi la speranza forte è quella che arrivi una cura che sia risolutiva, su larga scala. Vorrei che succedesse quasi come le cure che oggi abbiamo per il cancro: molti si ammalano, si curano e guariscono, a un certo punto ne escono, possono dire di averlo vinto. Vorrei una cura che risolva la SM una volta per tutte. Per questo, per dare forza alla ricerca, sono e resto un donatore abituale di AISM, per come le mie risorse permettono. E per il mio futuro, come per tutte le persone che condividono tratti essenziali della vita con una persona cara ammalata di sclerosi multipla, desidero non perdere mai gli insegnamenti di mia mamma, non smarrirli, non rinnegarli alla prima difficoltà, al primo dolore, alla prima disperazione. Voglio restare capace di cercare e ritrovare in me la forza che lei mi ha trasmesso e il messaggio che lei mi ha lasciato».