Nella foto: Marco Salvetti, reponsabile del Centers (Centro Neurologico Terapie Sperimentali) di Roma
Pubblicato il 16 maggio uno studio cofinanziato da FISM e condotto dal team del Centro Neurologico Terapie Sperimentali di Roma. Analizzata la correlazione tra geni e fattori ambientali. L'intervista al coordinatore Marco Salvetti
Il 16 maggio scorso su PlosOne è stato pubblicato uno studio effettuato dal team del CENTERS- Sant’Andrea - Università Sapienza, cofinanziato da FISM. Condotto da Rosella Mechelli e Renato Umeton, e coordinato da Marco Salvetti, lo studio si intitola: A “Candidate-Interactome” Aggregate Analysis of Genome-Wide Association Data in Multiple Sclerosis».1 La ricerca ha valutato se, nel genoma, i geni che interagiscono con i fattori di rischio della sclerosi multipla sono più associati alla malattia rispetto a tutti gli altri. I risultati hanno mostrato che alcune varianti dei geni che interagiscono con virus (e fra questi il virus di Epstein-Barr) sono effettivamente più associate. Ciò dimostra che i virus possono essere effettivamente fra le cause della malattia. Questa scoperta potrebbe essere determinante per stimolare il futuro sviluppo di nuove terapie antivirali, che vadano a incidere 'a monte' sui meccanismi che causano la malattia e non più solo 'a valle' sull’evoluzione della sclerosi multipla. Ne abbiamo parlato con uno degli autori, il professor Marco Salvetti.
Ci spiega sinteticamente, professore, che tipo di studio avete realizzato?
«Lo studio è stato un modo per iniziare a comprendere se e come l'interazione fra fattori genetici e non genetici possa causare la malattia».
Perché avete ritenuto importante combinare analisi genetica ed analisi ambientale?
«Il problema che ci hanno lasciato gli ultimi grandi studi sull’intero genoma dei pazienti con SM è che le varianti genetiche che sono state rilevate, considerate da sole, rivelano un peso molto debole sul rischio di ammalarsi. Uno dei motivi per cui le associazioni trovate da questi studi genetici hanno un peso debole è che non si riesce a cogliere l’altra faccia della medaglia, ossia a capire attraverso quali interazioni e con quali fattori ambientali questi geni partecipano allo sviluppo della malattia. Questa la prima domanda cui abbiamo provato a rispondere».
Cosa significa?
«Vuol dire che le associazioni genetiche possono essere più forti se le interpretiamo alla luce di come questi geni interagiscono con altri fattori di rischio, non genetici, ma ambientali».
Come si studia questa interazione tra fattori genetici e fattori ambientali?
«Questo è uno snodo importante. Lo studio dell’interazione tra i due tipi di fattori che incidono sul rischio di SM, quelli genetici e quelli ambientali, è estremamente complicato: parliamo di numeri che potrebbero essere moltiplicati fino a essere milioni e miliardi».
I geni sono tantissimi. E i fattori ambientali? Che difficoltà pone il loro studio?
«Sui fattori ambientali implicati nel rischio di sviluppare la SM esiste una serie di associazioni epidemiologiche ma nessuna prova causale. Si può osservare che il virus Epstein Barr, la vitamina D o il fumo di sigaretta in termini epidemiologici si associano alla sclerosi multipla. Però possono essere tutti epifenomeni, associazioni che si osservano ma che potrebbero essere legate ad altri motivi e non essere cause della sclerosi multipla».
Come si può effettuare il salto di qualità dall’osservazione epidemiologica alla dimostrazione che i fattori ambientali esercitano un ruolo causale?
«Uno dei modi per provare che un’associazione osservata sia causale è andare a vedere se quel fattore di rischio ambientale interagisce con un gene della persona».
L’avete fatto?
«Abbiamo contattato il Consorzio Mondiale della genetica (International Multiple Sclerosis Genetics Consortium) e il Wellcome Trust Case Control Consortium, i due soggetti di ricerca che hanno realizzato la collaborazione internazionale che ha pubblicato su Nature 2011 l’ultimo grande studio sull’intero genoma nella SM. Abbiamo chiesto i dati di quegli studi, per poterli ricanalizzare attraverso un innovativo sistema bio-informatico messo a punto nel nostro laboratorio di ricerca. Questa analisi incrociata ci ha permesso di comprendere la significatività dei geni, presi non singolarmente ma a gruppi, rispetto all’azione dei fattori ambientali».
Quali gruppi di geni avete indagato?
«Abbiamo preso le significatività di tutti i geni che sono noti per interagire con il Virus di Epstein Barr, di geni che sono noti interagire con altri virus legati al rischio di SM e con altri fattori ambientali. Abbiamo dunque costruito gruppi di geni categorizzati a seconda del tipo di interazione che hanno con un certo fattore ambientale collegato allo sviluppo della SM».
Cosa avete osservato e dimostrato?
«Abbiamo visto che alcuni tra questi tipi di geni, che abbiamo definito “interattomi”, effettivamente si associavano alla malattia, se considerati in gruppo».
Quali gruppi di geni si associano dunque alla SM nell’interazione con fattori virali?
«Il gruppo dei geni legati al Virus di Epstein Barr, il gruppo legato al virus HIV, il gruppo legato all’epatite B. Mentre invece gli altri geni rilevati non venivano associati a fattori di rischio della malattia».
Questa osservazione cosa comporta?
«Vuol dire che la associazione fra Virus di Epstein Barr e SM può avere una valenza causale».
E le altre associazioni virali da voi riscontrate che significato rivestono?
«Riguardo alle associazioni con il virus dell’epatite e con il Virus dell’HIV, che sono in qualche modo non troppo attese in base ai dati epidemiologici della SM, possiamo dire che confermano quello che si sta capendo dalle scienze di base, ossia che i virus hanno alcuni meccanismi peculiari per turbare il nostro organismo e altri meccanismi comuni che i diversi virus utilizzano e che mettono le persone a rischio nei confronti della SM».
Dove ci porta questo tipo di evidenza da voi riscontrata per la cura della malattia?
«In questa linea si può andare verso la messa a punto di terapie antivirali specifiche per colpire le cause della SM. La genetica è molto importante, ma da sola non dà sempre ricadute terapeutiche immediate. Le ricadute terapeutiche sono più semplici se, attraverso le conferme genetiche, riusciamo a individuare fattori ambientali come possibili cause della SM. Curare per bloccare l’azione di fattori ambientali noti è più facile che andare a modificare il patrimonio genetico di una persona».
Insomma, voi direste che è il momento di studiare terapie antivirali per curare la SM?
«Le nostre osservazioni, insieme ad altre già disponibili, rafforzano certamente l’idea che alcune terapie antivirali possano andare a colpire una causa della malattia».
Cosa devono aspettarsi le persone in futuro, dunque?
«Più a lungo termine questi dati di integrazione genetica e ambientale potranno essere sempre più raffinati: le informazioni sui geni stanno crescendo in modo esponenziale e quindi si potrà ulteriormente capire non solo il ruolo di gruppi o di singoli virus ma addirittura il ruolo di singoli meccanismi di funzionamento di un certo virus. E a questo punto potremmo cercare terapie ancora più specifiche, più selettive ed efficaci».
Domanda “ignorante”: se si confermasse che il Virus EBV ha un ruolo causale nella SM, questo servirebbe per prevenire che qualcuno in futuro prenda ancora la SM o per curare chi ha la SM adesso?
«Una possibile terapia antivirale servirebbe per curare chi ha già la SM. Prevenire la possibilità che le persone contraggano l’infezione sulla base dell’EBV vorrebbe dire intervenire con un antivirale sulla quasi totalità della popolazione. Questo non è pensabile e potrebbe essere anche rischioso con un virus al quale il nostro organismo si è ormai “abituato” nel corso dell'evoluzione».
Perché una terapia antivirale farebbe stare meglio una persona con SM?
«Perché interverrebbe sulla causa della SM. Attualmente i farmaci contro i virus sono molto limitati e non ci sono farmaci specifici per il virus di Epstein Barr. Serviranno ulteriori studi, per capire ancora meglio quali sono i meccanismi del coinvolgimento dei virus e magari disegnare terapie su questi singoli meccanismi».
Curare la causa della SM consentirebbe alle persone di guarire una volta per tutte?
«Diciamo che tutte le terapie disegnate sulle cause cercano di ottenere una guarigione. Non sempre ci si riesce, sia detto a scanso di facili illusioni o scorciatoie che si possono immaginare».
Giuseppe Gazzola