Nella foto: Marco Rovaris, Responsabile Centro Sclerosi Multipla – Unità Operativa Riabilitazione Neuromotoria, IRCCS S. Maria Nascente, Fondazione Don Gnocchi, Milano
Uno studio sostenuto dal Bando FISM e condotto al Don Gnocchi di Milano incrocia due metodiche diverse per capire lo sivluppo della SM. L'obiettivo è capire, e in futuro fermare, la progressione. L'intervista a Marco Rovaris
«Datemi una leva e solleverò il mondo», diceva nell’antichità Archimede, uno dei massimi scienziati della storia. È un’indicazione che resta preziosa anche per la comprensione e il cambiamento del mondo della sclerosi multipla, in particolare delle forme più gravi che sono quelle progressive, ancora orfane di trattamenti specifici. Bisogna cercare «la leva» sui cui potersi poggiare con sicurezza per garantire alle persone una vita nuova. Uno studio interessante per capire come agire per «sollevare» chi ha una forma progressiva di SM è stato effettuato dall’équipe del Centro SM della Fondazione don Gnocchi di Milano, coordinato dal dottor Marco Rovaris e finanziato dal Bando FISM 2009. Lo studio, i cui risultati vengono presentati al Congresso FISM 2013, si intitola: Fisiopatologia del danno tissutale nella sclerosi multipla progressiva: studio comparativo immunologico e di RM rispetto a pazienti con malattia del motoneurone. Ne abbiamo parlato con il dottor Rovaris.
Ci spiega di cosa vi siete occupati e per quale scopo?
«Abbiamo effettuato uno studio di fisiopatologia su 20 pazienti con SM primaria progressiva a confronto con 20 pazienti con malattie del motoneurone, come la SLA, e 20 controlli sani. Li abbiamo sottoposti al controllo di alcuni parametri ottenibili mediante risonanza magnetica, per confrontare le caratteristiche del danno presente nei tessuti cerebrali. In particolare abbiamo valutato misure di atrofia cerebrale, di integrità del tratto corticospinale e del midollo cervicale. Insieme abbiamo controllato la presenza nel sangue di alcune sottopopolazioni di globuli bianchi i cui livelli sono indicativi della presenza di processi infiammatori o riparativi».
Andiamo con ordine. Per quale motivo avete scelto di confrontare persone con malattie diverse come la SM progressiva e la SLA?
«Anche se si tratta di malattie con prognosi e decorso assolutamente differenti, entrambe presentano un andamento peggiorativo dei problemi neurologici. Secondo la letteratura scientifica, entrambe le patologie implicano l’azione di meccanismi infiammatori e degenerativi. Abbiamo dunque pensato di confrontarle per evidenziarne le differenze e comprendere meglio le rispettive specificità».
Perché invece avete scelto di integrare due metodiche diverse di indagine come quella con risonanza magnetica e quella sul sangue?
«È stata una sfida. Le analisi immunologiche sul sangue periferico e quelle di risonanza magnetica restano in questo momento i due strumenti “paraclinici” più utilizzati per il monitoraggio della SM. L’analisi immunologica sul sangue periferico offre una panoramica sullo stato del sistema immunitario–l’attore principale nella patogenesi della SM-. Ma è un’immagine di periferia, mostra ciò che succede fuori del sistema nervoso e che poi si ripercuote nel danno del sistema nervoso. L’analisi di risonanza magnetica offre informazioni diverse, strutturali, molto specifiche sul danno presente in un dato momento a livello del sistema nervoso centrale. Ma è meno dinamica. La combinazione di questi due differenti tipi di informazioni poteva aiutarci a comprendere meglio cosa accade nel decorso della SM progressiva».
Cosa avete effettivamente compreso?
«Premesso che si tratta di uno studio preliminare, abbiamo capito nella SM il danno della sostanza grigia è molto più diffuso rispetto alla SLA. Si conferma dunque l’ipotesi patogenetica secondo cui nella SM il coinvolgimento della sostanza grigia ricopra un ruolo fondamentale e non sia solo secondario al danno della sostanza bianca».
E sul versante immunologico a che conclusioni siete giunti?
«Il dato più interessante è che, in entrambe le malattie considerate, vi è un aumento di certi tipi di globuli bianchi legati ad una risposta infiammatoria in atto. Anche nel decorso progressivo, dunque, non è presente solo una risposta degenerativa, come ci si aspetterebbe. E questo è più accentuato nella SM che nella SLA. In entrambe le patologie, inoltre, si verifica un aumento di linfociti attivati che producono un fattore potenzialmente protettivo o comunque favorente la riparazione del tessuto nervoso. Potrebbe quindi trattarsi di una risposta dell’organismo al danno. E questa risposta, dato curioso ma da confermare, è più evidente nella SLA che nella SM».
Dove portano questi risultati? Cosa possono cambiare nella ricerca e nella vita delle persone?
«In generale, tutti gli studi di fisiopatologia mirano a identificare quei parametri che possano aiutare a capire meglio qual è la prognosi di un paziente e quali sono le sue chance di rispondere positivamente a interventi di vario tipo, riabilitativi o farmacologici».
E ci si sta riuscendo?
«Oggi sappiamo che quanto più un paziente con SM ha un danno della sostanza grigia tanto peggiore sarà l’evoluzione della sua malattia nel breve o medio periodo, ossia nei futuri 3- 5 anni. Però non sono ancora stati definiti valori “patologici” di questi parametri di risonanza magnetica applicabili al singolo individuo. La via per giungere a un’individualizzazione dei risultati è un lavoro che richiede anni di validazione».
E allora a cosa può servire questo tipo di ricerca oggi?
«La comunità scientifica internazionale e le Associazioni SM, tra cui FISM, stanno concentrando i proprio sforzi per identificare finalmente terapie specifiche per le forme progressive di SM. Penso che si possa dire che l’impatto sull’evoluzione del danno della sostanza grigia sarà uno dei fattori chiave da monitorare per valutare l’efficacia di nuove terapie che siano in grado di intervenire non solo sui sintomi ma sull’evoluzione delle forme progressive di SM».
Nel frattempo, se io ho oggi una forma progressiva giunta a situazioni di disabilità severa, cosa devo aspettarmi dalla ricerca per migliorare la mia condizione?
«Devo aspettarmi sicuramente l’approfondimento di aspetti più concreti legati alla quotidianità. Per esempio al don Gnocchi stiamo effettuando ricerche per raffinare l’approccio riabilitativo. Molti ricercatori sono impegnati nel verificare se esistono elementi che consentono di predire la durata dei benefici che un intervento riabilitativo dà al paziente. In particolare nel nostro Centro si sta valutando se i protocolli riabilitativi di tipo motorio possano avere un’efficacia maggiore e più duratura se vengono arricchiti da stimoli di tipo cognitivo che impegnano l’attenzione e la memoria».
Giuseppe Gazzola