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20/10/2011

SM e SLA a confronto: l'intervista con Marco Rovaris

 Marco Rovaris
Nella foto: il dott. Marco Rovaris (primo a sinistra) con il suo gruppo di lavoro

 

Il dott. Marco Rovaris è responsabile dell'Unità Operativa Riabilitazione Neuromotoria del Centro Sclerosi Multipla, presso l'ospedlae IRCCS S. Maria Nascente, Fondazione Don Gnocchi. In occasione di ECTRIMS (European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis) - uno degli appuntamenti principali sulla ricerca scientifica sulla SM, presenta una ricerca su differenze e analogie tra sclerosi multipla e SLA (sclerosi mlaterale amiotrofica) per acquisire nuovi elementi conoscitivi su entrambe le malattie. Lo abbiamo intervistato

 

Può spiegarci brevemente di cosa si occupa la ricerca che presenta all’ECTRIMS, e come si colloca nel quadro globale della ricerca scientifica sulla SM?
«La ricerca che presenteremo come poster è uno studio che cerca di valutare le differenze e le analogie tra SM e SLA (sclerosi laterale amiotrofica), altra malattia neurodegenerativa del sistema nervoso. Si tratta di una ricerca che coinvolge aspetti sia di neuroimaging che di neuroimmunologia, con l’obiettivo di acquisire elementi conoscitivi nuovi sulle due malattie e sulle loro analogie e differenze, che potrebbero avere un’utilità per l’impostazione di nuove terapie per entrambe le situazioni».

 

Dal punto di vista scientifico qual è il contributo, il valore della ricerca che presenta?
«Premesso che si tratta uno studio preliminare, effettuato su un numero relativamente basso di oggetti, i risultati hanno rivelato analogie tra la SLA e la SM nella sua forma primariamente progressiva riguardo ad alcuni meccanismi patogenetici. Fatto salvo che SLA e SM sono due malattie completamente diverse, la risonanza magnetica conferma che nelle due malattie ci sono aspetti simili di danno strutturale. Ci ha però molto sorpreso e interessato il trovare evidenze da un punto di vista immunologico di un tentativo di azione riparativa da parte del sistema immunitario in entrambe le situazioni».

 

Cioè il sistema immunitario che agisce nella SM e nella SLA si mette anche in azione per riparare il danno?
«Tra le tante anomalie osservate, che indicano come una patogenesi infiammatoria agisca in entrambe queste situazioni a decorso progressivo, c’è anche questo aspetto importante, ossia che alcuni elementi agiscono in senso riparativo. Alla luce del decorso delle due malattie sembrerebbe che questi meccanismi riparativi si attivino senza successo dal punto di vista clinico. Questa scoperta è comunque stimolante per un approfondimento ulteriore».

 

Quali sono questi meccanismi riparatori?
«In sostanza abbiamo trovato nei pazienti con SM progressiva o SLA rispetto ai controlli sani un aumento di particolari popolazioni di globuli bianchi che secernono fattori di protezione, in particolare il BDNF, un fattore di protezione neurotrofico. Questo potrebbe essere il segno di un tentativo di riparare il danno da parte dell’organismo, sia pure inefficace. Teoricamente questo potrebbe essere il target di un intervento terapeutico per favorire tali processi riparativi spontanei, al momento inefficaci, che l’organismo mette in atto».

 

Insomma se l’organismo già prova a mettere in atto fattori e meccanismi di protezione, possiamo imparare a stimolarli meglio per renderli veramente efficaci.
«Esatto. Questo però è un territorio di difficile esplorazione. È da tanti anni che la ricerca in farmacologia cerca di arrivare alla stimolazione dei fattori neuroprotettivi spontaneamente attivati dal nostro corpo, e già questo dice come l’obiettivo sia molto difficile da realizzare. Per il momento parliamo soltanto di un’evidenza preliminare acquisita da questo studio, da confermare innanzitutto con altri studi, per poi valutare se poi ci sono prospettive di azione in questo senso, come in teoria si potrebbe pensare».

 

Su quante persone lo studio è stato effettuato?
«I dati che presenteremo sono relativi a circa 20 pazienti con SLA, circa 15 con SM primariamente progressiva e un numero pari di controlli sani. Pensiamo di chiudere lo studio con un totale di 20 persone per ognuno dei tre sottogruppi».

 

La ricerca inizia in laboratorio e arriva a migliorare la vita delle persone: dalla via che voi avete imboccato con questo studio cosa possono aspettarsi dunque le persone? Nuove terapie in particolare per le forme progressive di SM?
«Il condizionale è d’obbligo e parliamo di tempi medio lunghi: partendo dalle analogie e differenze individuate tra le due malattie, si potrebbero effettivamente identificare spazi di intervento. Non dimentichiamo che, per entrambe le situazioni, SLA e SM primariamente progressiva, al momento non sono disponibili terapie veramente efficaci. In particolare, i soggetti con SM primariamente progressiva sono orfani di una terapia farmacologica approvata con efficacia basata sull’evidenza».

 

Dovesse mandare un messaggio alle persone sullo stato globale della ricerca nella SM e sulle principali conquiste che ci possiamo aspettare nei prossimi anni, cosa direbbe?
«Di avere fiducia negli approfondimenti che si stanno facendo in ambito immunopatogenetico e genetico, ossia nella ricerca non tanto della causa ultima della malattia, ma mirata all’approfondimento dei diversi meccanismi coinvolti nella generazione del danno e nel suo mantenimento. Più meccanismi arriviamo a conoscere, più ambiti di intervento potenziale identifichiamo e più alternative terapeutiche possiamo dare alle persone. Negli ultimi 20 anni siamo passati da nessuna a 7-8 terapie disponibili per una buona percentuale di pazienti. Mi aspetto che questo numero cresca e che si estenda l’offerta di terapie adatte anche ai malati che in questo momento non beneficiano dei farmaci che abbiamo a disposizione».

 

Se dovesse dare ai suoi studi un titolo "da giornale", ossia chiaro,sintetico e divulgativo, quale sarebbe?
«Il risultato del nostro studio è sintetizzabile come evidenza di una possibile condivisione di alcuni meccanismi di generazione del danno tra SM progressiva e SLA, con un potenziale riflesso nella ricerca di nuove strategie terapeutiche».

 

Un lavoro che dà speranze ulteriori, dunque.
«Assolutamente. È un lavoro molto preliminare, non semplice. Come tutti i lavori di laboratorio necessita di conferme indipendenti che speriamo arrivino da altri gruppi».

 

Perché avete scelto di confrontare direttamente le due malattie?
«Forse perché il nostro centro opera inserito nel contesto di un istituto di riabilitazione e siamo quindi particolarmente sensibili ai problemi di malati accomunati da un destino di danno neurologico progressivo. La SLA, purtroppo, ha un decorso molto più drammatico della SM progressiva, ma c’è una breve fase in cui le due malattie si somigliano e hanno problematiche simili nella gestione della disabilità. Inoltre in letteratura c’erano evidenze che si “incrociavano” sulle due malattie, ma mancava un confronto diretto. È quello che abbiamo provato noi ad effettuare, con risultati incoraggianti e, speriamo, di stimolo a nuove ricerche».