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20/10/2011

SM e Vitamina D: l'intervista con Maria Cristina Gauzzi

 

Ricercatrice presso l'Istituto Superiore di Sanità, è presente ad ECTRIMS 2011 con uno studio sull'attività immunomodulatoria della vitamina D nella sclerosi multipla. La nostra intervista

 

La Dottoressa Maria Cristina Gauzzi - ricercatrice del Dipartimento di  Biologia Cellulare e Neuroscienze presso l'Istituto Superiore di Sanità - è presente in questi giorni all'ECTRIMS (European Committee for Treatment and Research In Multiple Sclerosis), dove presenta uno studio di ambito immunologico, sull'attività immunomodulatoria della vitamina D nella SM. Per il nostro Speciale dedicato all'ECTRIMS ci illustra i risultati ottenuti dal suo team

 

Nel quadro globale della ricerca sulla SMI, come si collocano gli studi che presenta all’ECTRIMS?
«L’interesse principale del nostro gruppo è lo studio dell’attività immunomodulatoria della vitamina D. La vitamina D è associata generalmente al mantenimento della “salute” delle nostre ossa (la sua mancanza è la causa del rachitismo), ma è in realtà un ormone dotato di molteplici attività, inclusa la capacità di regolare le funzioni delle cellule del sistema immunitario. La principale fonte di vitamina D per il nostro organismo è l’esposizione al sole, anche se piccole quantità ne possono essere introdotte con la dieta. La carenza di questa vitamina è emersa negli ultimi anni come un importante fattore di rischio legato all’ambiente, e dunque potenzialmente modificabile, nell’insorgenza della SM. Si è anche ipotizzato che possa essere di beneficio nella cura della malattia. L’obiettivo della nostra ricerca è dare un contributo alla comprensione dei meccanismi alla base di questi potenziali effetti benefici. In particolare, ci occupiamo dello studio dell’attività della vitamina D su un tipo particolare di cellule del sistema immunitario, le cellule dendritiche. Queste cellule istruiscono i linfociti a distinguere tra molecole estranee, che innescano una risposta immunitaria, e molecole proprie, che il sistema immunitario deve “tollerare” e non attaccare. La vitamina D favorisce proprio questo stato di tolleranza, e contrasta l’infiammazione. La nostra ipotesi è che un’alterazione della capacità delle cellule dendritiche di sintetizzare o rispondere alla vitamina D possa contribuire alla patologia autoimmunitaria che sostiene la neurodegenerazione nella SM. Ipotizziamo anche che la vitamina D e l’interferone (IFN) possano cooperare nel limitare questa patologia. Stiamo quindi svolgendo uno studio mirato alla comparazione  del metabolismo e dell’attività della vitamina D, e della sua relazione con l’IFN, in cellule dendritiche di persone sane o con SM».

 

Dal punto di vista scientifico qual è il contributo, il valore della ricerca che presenta all'ECTRIMS?
«La parte di lavoro che presentiamo al congresso è legata all’osservazione che la vitamina D ha una caratteristica in comune con l’IFN: la capacità di indurre, nelle cellule che noi studiamo, la produzione di una proteina chiamata CCL2. CCL2 appartiene alla famiglia delle “chemochine”, piccole proteine in grado di attrarre e orientare il movimento delle cellule. CCL2 in particolare attrae diverse cellule del sistema immunitario, e, come già detto, la sua produzione è regolata anche dall’IFN. La nostra ipotesi di lavoro è che l’induzione di questa proteina da parte della vitamina D possa essere un meccanismo protettivo, che mantiene le cellule immunitarie nel sangue, contrastando la loro migrazione nel sistema nervoso centrale dove potrebbero contribuire all’infiammazione».

 

Che ritorni possono avere nell’immediato futuro sulla vita delle persone con SM gli esiti degli studi che sta presentando? Si riesce a identificare un orizzonte temporale entro cui dalle ricerche che state effettuando si avranno ritorni diretti per una vita di qualità oltre la SM?
«L’attività immunoregolatoria della vitamina D è attualmente oggetto di una intensa ricerca preclinica e clinica per i suoi possibili benefici in persone con la SM. Almeno tre “trials” clinici sono in corso nel mondo per valutarne l’efficacia nella SM recidivante-remittente, ed in uno di questi viene utilizzata come supplemento in pazienti in terapia con l’IFN. Con la nostra ricerca, speriamo di contribuire ad identificare meccanismi cellulari e molecolari alla base dei possibili effetti benefici della vitamina D e anche di possibili interazioni con l’IFN. Poiché il nostro non è uno studio clinico, è difficile dare un orizzonte temporale entro il quale si avranno ritorni diretti per una vita di qualità oltre la SM.  La previsione che però mi sento di poter fare è che entro 3-5 anni si avrà una risposta alla domanda se la vitamina D possa modificare il corso della malattia. La risposta a questa domanda verrà appunto dagli studi clinici già in atto e da altri che senza dubbio cominceranno nell’immediato futuro, considerando il generale consenso nella comunità scientifica sulla loro necessità».

 

Dovesse mandare un messaggio alle persone sullo stato globale della ricerca nella SM, sul quadro complessivo che le sembra possa emergere all’ECTRIMS e sulle principali conquiste che ci possiamo aspettare nei prossimi anni, cosa direbbe?
«Sono entrata nel campo della ricerca nella SM solo recentemente (da meno di due anni), e sono rimasta sinceramente colpita dalla sua vitalità e dal rapido avanzamento delle conoscenze, grazie anche allo sforzo coordinato di ricercatori e associazioni. Dovendo scegliere tra tanti, un tema molto attuale è il ruolo del sistema immunitario nella malattia, tema sul quale stanno convergendo ricerche provenienti da campi diversi, come lo studio delle cellule staminali e quello del genoma umano. Si sta scoprendo infatti che le cellule staminali, una grande promessa terapeutica per la loro intrinseca capacità rigenerativa, sono anche dotate della capacità di modulare la risposta immunitaria inibendo le componenti del sistema immune responsabili della distruzione dei tessuti. Per quanto riguarda lo studio del genoma umano invece, le tecniche di sequenziamento di nuova generazione hanno aperto la possibilità di ottenere quantità di dati impensabili fino a pochi anni fa. Uno studio recentissimo, pubblicato ad agosto sulla rivista Nature, ha portato all’identificazione di 29 nuovi geni associati al rischio di SM (in precedenza ne erano noti solo una ventina, sono stati quindi più che raddoppiati), la maggior parte dei quali è  implicata proprio nella risposta immune. Il potenziale futuro dei dati è enorme poiché questi geni potrebbero influenzare il decorso della malattia ed essere nuovi bersagli terapeutici o “markers” di diagnosi/prognosi precoce».

 

Dovesse trovare un titolo "da giornale" (ossia divulgativo) per la sua ricerca, quale sceglierebbe?
«La vitamina che viene dal sole potrebbe aiutare nella prevenzione e cura della SM».

 

Maria Cristina Gauzzi