Salta al contenuto principale

27/11/2011

Terapie orali per la SM: partito uno studio osservazionale sul fingolimod

 

Prosegue la sperimentazione nel campo delle nuove terapie per la SM. Circa 80 centri coinvolti in tutta Italia. L’intervista al coordinatore Prof. Gianluigi Mancardi

 

Negli ultimi anni, il trattamento della sclerosi multipla è notevolmente cambiato; si sono realizzati e si stanno realizzando molti passi avanti nella definizione di nuove terapie, sempre più mirate ed efficaci.

In questo contesto grande attenzione è stata posta verso lo sviluppo di terapie orali, campo in cui sono state condotte diverse sperimentazioni.

 

Tra queste ultime, quella riguardante il fingolimod ha terminato gli studi di fase III. Il nuovo farmaco orale ha ottenuto l’approvazione dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) e dall’Agenzia italiana AIFA come terapia per la SM nelle persone con sclerosi multipla recidivante-remittente che non hanno risposto adeguatamente alle altre terapie disponibili o hanno forme particolarmente aggressive.

 

Ora sta iniziando uno studio osservazionale per raccogliere informazioni riguardo ai possibili effetti collaterali e per fornire subito alle persone con SM che non rispondono alle altre terapie disponibili un’alternativa terapeutica. Per capire in dettaglio come si  svolge  lo studio abbiamo intervistato il coordinatore, Prof. Gianluigi Mancardi. 

 

Lei è coordinatore di uno studio, Expanded Programm Access with Fingolimod, sull’utilizzo del nuovo farmaco orale Gylenia ®, già approvato dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) e dall’ Agenzia italiana AIFA. Ci spiega di cosa si tratta?
«È uno studio di tipo osservazionale: viene somministrata la terapia e vengono prese informazioni riguardo ai possibili effetti collaterali del farmaco, come per esempio la bradicardia, eventuali problemi oculari, il valore dell’emocromo. Ma soprattutto lo studio viene incontro a una reale urgenza delle persone con SM a ricadute e remissioni che, non rispondendo adeguatamente alle altre terapie disponibili, non hanno al momento una valida alternativa terapeutica. In altri termini, è uno studio che risponde anche alle esigenze di chi ha urgenza e necessità di utilizzare subito il nuovo farmaco».

 

Per quali persone in particolare è stato messo a punto questo studio?
«In questo momento in Italia abbiamo diverse persone che non hanno risposto positivamente all’interferone beta e al copolimero e non desiderano o non possono aderire ad altre terapie. Inoltre c’è un’altra tipologia di pazienti per i quali l’uso del fingolimod è urgente: sono quelli in terapia con il natalizumab da più di due anni, con pregressa terapia con immunosoppressori, che hanno avuto una precedente esposizione al virus JC (circa il 60% della popolazione risulterebbe aver contratto tale virus). Costoro hanno una possibilità su centocinquanta di sviluppare una malattia gravissima, la leucoencefalopatia multifocale progressiva, che può essere mortale o lasciare esiti molto invalidanti. Questi pazienti, che ora potrebbero decidere di non utilizzare più il natalizumab, devono avere una valida alternativa terapeutica, altrimenti, con la sospensione del natalizumab, potrebbero essere esposti al rischio di avere una riacutizzazione della malattia».

 

Se una persona con SM volesse partecipare, come dovrebbe fare?
«Chi volesse accedere allo studio, dovrà mettersi in contatto col proprio Centro clinico di riferimento e, se ritenuto idoneo a partecipare in base ai criteri di inclusione previsti, verrà inviato al più vicino dei Centri clinici SM che partecipano allo studio. Il Centro SM dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino di Genova è il Centro coordinatore, ed ha per primo avuto l’approvazione del Comitato etico: abbiamo già una decina di pazienti in studio».

 

Quanti sono i Centri clinici SM e le persone con SM coinvolte?
«Partecipano circa 80 Centri: tutti i più grossi Centri clinici SM d’Italia. In ogni Regione ci sono almeno due o tre Centri inseriti in questo studio: si presuppone di offrire il nuovo farmaco a circa 200-300 pazienti. Ma non c’è un numero chiuso: è possibile ampliare la quantità dei pazienti coinvolti».

 

Come funziona questo farmaco?
«È un farmaco innovativo, che ha un meccanismo d’azione nuovo: agisce su alcuni recettori della sfingosina che, in parole semplici, fanno fuoriuscire i linfociti dai linfonodi e ne consentono l’immissione nel sangue, permettendo loro di determinare il processo infiammatorio tipico della sclerosi multipla. Questo farmaco si lega ai recettori S1P1 presenti sui linfociti e inibisce la loro fuoriuscita dai linfonodi. Ciò determina una linfopenia, cioè una diminuzione dei linfociti nel sangue, quindi una diminuzione dei linfociti autoreattivi, dannosi nella SM. Il meccanismo d’azione del fingolimod è ancora più interessante se si considera che passa la barriera emato - encefalica e dunque entra nel sistema nervoso centrale e agisce sui recettori che sono presenti sui neuroni. Proprio per questa caratteristica si sta sperimentando con appositi trial il farmaco anche nelle forme progressive di sclerosi multipla».

 

Quale efficacia si prevede che il farmaco garantisca alle persone?
«Anzitutto teniamo presente che si tratta di un farmaco assunto per via orale: questa è una grande novità rispetto alle terapie sino ad ora approvate per la SM, che come sappiamo richiedono iniezioni sottocutanee o intramuscolari e che possono produrre effetti collaterali disturbanti come la sindrome simil-influenzale. Gli studi effettuati hanno dimostrato che il farmaco è significativamente più efficace, rispetto al placebo ma anche rispetto all’interferone beta-1a (a somministrazione monosettimanale) nel ridurre la frequenza delle ricadute, l’attività di malattia riscontrata dalla risonanza magnetica e la progressione della disabilità. Inoltre si è riscontrata una migliore efficacia nel rallentare la progressione dell’atrofia cerebrale e, dunque, verosimilmente, dovrebbe essere utile anche per i possibili disturbi cognitivi».

 

In scienza niente è gratis: quali sono i possibili effetti collaterali del nuovo farmaco orale?
«Il farmaco, solamente durante la prima somministrazione, provoca una bradicardia, ossia un rallentamento del battito cardiaco, che si risolve entro le prime sei ore. Per questo la prima somministrazione verrà monitorata in ambiente ospedaliero. In una piccola percentuale di casi può dare edema maculare, cioè disturbi visivi, quindi entro il terzo o quarto mese è consigliabile una visita oculistica. La preoccupazione più importante è legata a possibili infezioni di origine virale: negli studi registrativi si sono verificati due decessi. Il primo è stato causato da un’encefalite varicellosa e il secondo decesso è stato causato da un’encefalite erpetica. La linfopenia, dunque, può determinare un aumentato rischio di infezioni virali».

 

Un caso di infezione siete riusciti a individuarlo e curarlo direttamente qui al Centro clinico di Genova.
«Venivamo dopo il caso di una persona che era deceduta a Siena a causa di una varicella generalizzata: la donna aveva avuto una ricaduta di malattia curata con cortisone. Pur lavorando in una scuola materna, ambiente a rischio di malattie infettive, era comunque voluta tornare al lavoro rapidamente. Non avendo gli anticorpi per la varicella ed essendo in un periodo di basse difese immunitarie a causa della terapia cortisonica, aveva presentato una infezione varicellosa generalizzata e purtroppo era deceduta. A Genova abbiamo avuto un caso simile: consapevoli dell’esperienza precedente, abbiamo evitato di somministrare terapia cortisonica, abbiamo subito sospeso il fingolimod e abbiamo trattato la paziente con terapia specifica con farmaci antivirali. Il problema è subito rientrato e successivamente la stessa persona ha ripreso la terapia con fingolimod. Abbiamo anche pubblicato su Neurology le modalità con cui abbiamo affrontato questo caso. Ora le regole dell’EMA e dell’AIFA prescrivono tassativamente di verificare che il paziente prima di utilizzare il fingolimod abbia già contratto la varicella. Altrimenti dovrà prima vaccinarsi per la varicella, proprio per evitare ogni problematica di questo tipo».

 

Dunque la verifica sulla tollerabilità del farmaco prosegue.
«Il futuro del farmaco si gioca senz’altro sugli effetti collaterali. C’è da evidenziare che la sospensione del farmaco determina entro 4 settimane un rapido ritorno dei linfociti ematici al livello precedente l’inizio della terapia. Quindi il farmaco mostra anche una rapida reversibilità in caso di problemi ed effetti collaterali. Sarà comunque l’osservazione di quello che avverrà quando il farmaco verrà somministrato su larga scala a dirci se e quali problemi ci saranno. Fortunatamente fino ad ora non ci sono stati casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML), come nel caso del natalizumab. Piuttosto, la linfopenia di cui parlavamo comporta il rischio teorico di una sorveglianza meno accentuata sui tumori: sono stati riportati infatti alcuni casi di neoplasie, si è verificato un melanoma. Però questi problemi si sono verificati anche nei controlli sani, e dunque bisogna vedere con gli ulteriori studi osservazionali se effettivamente il farmaco comporterà questo tipo di rischio. Va sottolineato che negli studi registrativi gli effetti collaterali del farmaco sono comunque stati modesti e accettabili e che, anche se esiste una linfopenia modesta, il pool generale dei linfociti dell’organismo non sono diminuiti, essendo una quota parte confinati nei linfonodi».

 

Quanto tempo ci vuole per arrivare a dati certi in base a osservazioni su larga scala?
«Credo che nel giro di due o tre anni si saprà tutto. Teniamo presente che per il fingolimod ci sarà un registro centralizzato di farmaco - vigilanza. Come tutti i registri AIFA dovrebbe essere gestito dal CINECA, che è un sistema informatico perfetto: tutti gli effetti collaterali, gravi e meno gravi, verranno registrati».

 

Lei che giudizio complessivo dà su questa nuova possibilità terapeutica?
«Credo che questo farmaco rappresenti una svolta. L’atmosfera che si registra nella comunità scientifica fa ritenere che si tratti di una cambiamento importante. I medici e le persone con SM hanno un atteggiamento molto positivo al riguardo. Se nei prossimi anni vedremo che il farmaco continuerà a dimostrare l’efficacia evidenziata dagli studi registrativi, sarà ben tollerato e avrà nel tempo effetti collaterali accettabili, anche se ora può essere utilizzato solo dopo il fallimento degli altri farmaci o per le forme particolarmente aggressive, è possibile che diventi un farmaco di prima linea, come è già negli Stati Uniti».

 

Quali i criteri di accesso al nuovo farmaco? Per chi non rientrasse nei criteri è previsto in Italia un programma di uso compassionevole a carico dello Stato?
«Sicuramente questo è un farmaco davvero innovativo per una malattia importante come la SM. Ora che il farmaco sta per entrare in commercio, i medici potranno eventualmente far pervenire alla propria Azienda o ASL richieste di uso compassionevole per i pazienti che non rientrano nei criteri di accesso al farmaco. Criteri che, ricordiamo, prevedono che il fingolimod sia utilizzato come farmaco di seconda linea per le forme di SM a ricadute e remissioni, oppure come farmaco di prima linea per forme molto aggressive che non rispondono ad altri trattamenti. E le aziende e le ASL faranno le valutazioni del caso. Saranno dunque tutte richieste che verranno valutate singolarmente».

 

Le persone in terapia da due anni con Tysabri che, positive al virus JC, arrivano al momento in cui devono sospendere l’uso di natalizumab, potranno accedere al fingolimod? E con quali tempistiche?
«Se una persona, d’accordo col medico, non vuole o non può più fare terapia con natalizumab, perché il rischio di PML è diventato, per quel singolo caso, inaccettabile, allora potrebbe trovare un’importante alternativa nel fingolimod: ma dovrà prima sospendere per tre mesi il trattamento con natalizumab. In questi tre mesi, teoricamente, si è coperti ancora dall’efficacia del natalizumab. L’importante è che poi alla fine dei tre mesi non ci siano ritardi nell’iniziare la terapia con fingolimod. In generale è importante che i medici, i neurologi e soprattutto le persone con SM abbiano a disposizione diverse alternative. Poi la personalizzazione dei trattamenti, che dipende proprio dalla tipologia e dalle caratteristiche individuali, è affidata propriamente al rapporto medico-paziente».

 

Le persone che partecipano allo studio, possono continuare  in automatico a usare il farmaco reso  disponibile tramite SSN?
«Sì, dovrebbe essere automatico: i criteri di inclusione nello studio sono esattamente quelli della prescrivibilità approvata dall’EMA».

 

Chi usa l’interferone beta ora perché non potrebbe chiedere di passare subito al fingolimod?
«Chi trae giovamento l’interferone beta è bene che continui a usare questo farmaco importante, che ha i propri vantaggi. Per esempio non danneggia gli organi, ha un rischio che è praticamente uguale a zero. Nei prossimi due o tre anni, finché non avremo idee definitive su efficacia e tollerabilità del fingolimod, credo proprio che chi utilizza con efficacia l’interferone beta farà bene a continuare con questo farmaco. Poi si vedrà. Potrebbero anche arrivare ulteriori nuovi farmaci».

 

Quando si avranno indicazioni per questo farmaco riguardo alle forme progressive?
«Gli studi iniziati sulle primariamente progressive hanno una durata prevista di cinque anni. Però il fingolimod si presenta come farmaco interessante per queste forme. Attualmente è già partito uno studio che analizza l’efficacia del natalizumab sulle forme secondariamente progressive. E questo è un bene per le persone con forme di SM progressive: si spera che nel giro di qualche anno avremo terapie anche per le forme progressive di malattia».