Dal 25 aprile al 2 maggio a Seattle si è svolto il 61mo American Academy of Neurology; le presentazioni riguardanti la SM sono state più di 380 e hanno coperto tutte le aree della ricerca, dagli studi di base per approfondire la conoscenza della malattia, ai trattamenti innovativi in diversa fase di sperimentazione, fino a studi sulle terapie esistenti.
Qui di seguito alcune delle comunicazioni più interessanti:
Fingolimod (FTY720)
In uno studio di estensione di uno studio di fase II, durante il quale le persone hanno continuato ad assumere il fingolimod, estendendo il trattamento anche a coloro che in precedenza usavano il placebo, la frequenza di ricadute è rimasta bassa anche dopo 4 anni di trattamento con fingolimod.
TRANSFORMS, studio di fase III, che ha confrontato due dosaggi di fingolimod con interferone beta-1a (Avonex®): i gruppi trattati con fingolimod rimanevano liberi da ricadute dall’80 all’ 83% rispetto al 69% di quelli con interferone beta-1a. Questi dati confermano i risultati precedentemente annunciati nel dicembre 2008 e mostrano che la frequenza di ricadute ad un anno era inferiore al 52% nelle persone in trattamento con fingolimod rispetto a coloro che l'interferone beta-1a.
I risultati completi saranno sottoposti ad una rivista per la loro pubblicazione; inoltre l’avvio delle procedure per l’autorizzazione negli Stati Uniti e Unione Europea è prevista per la fine del 2009.
Cladribina
Presentati i risultati dello studio CLARITY, studio di Fase 3, che ha utilizzato la cladribina nel trattamento di pazienti con SM recidivante-remittente. I risultati di questo studio registrativo dimostrano come un ciclo annuale di trattamento con cladribina abbia portato a una riduzione significativa della percentuale di ricadute cliniche, della progressione della disabilità e delle lesioni cerebrali, nonché a un notevole aumento della proporzione di pazienti liberi da ricadute I soggetti del gruppo con il dosaggio più basso hanno manifestato una riduzione relativa del 58% nel tasso annuale di ricadute rispetto al gruppo placebo, tutte le persone trattate con il dosaggio totale più alto hanno registrato una riduzione relativa del 55% nella quota di ricadute annualizzate rispetto al gruppo placebo.
Merck Serono, azienda produttrice della cladribina, ha in programma di richiedere la registrazione del farmaco all'Agenzia Europea per i Medicinali (EMEA) e alla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti nella seconda metà del 2009.
Alemtuzumab (Campath)
I ricercatori hanno annunciato un'ulteriore analisi dei dati dalla studio di fase II denominato CAMMS223, studio che ha confrontato l'interferone beta-1a (Rebif®) con due dosaggi di alemtuzumab. Nei primi mesi di trattamento con alemtuzumab si è verificata una notevole riduzione della disabilità, definita da una diminuzione di un punto del punteggio della scala EDSS per un periodo superiore a sei mesi, è stato il doppio di probabilità di coloro che utilizzavano alemtuzumab, rispetto a coloro che utilizzavano l'interferone beta-1a.
I ricercatori suggeriscono che il trattamento con l’alemtuzumab potrebbe arrestare la progressione della disabilità e invertire stabilmente il deficit neurologico preesistente, ma per tale scopo sono necessari ulteriori studi.
Un ulteriore presentazione ha riportato che due anni dopo la prima somministrazione le persone trattate con l’alemtuzumab hanno continuato ad avere una riduzione significativa nella progressione della disabilità e nella frequenza di ricadute rispetto al gruppo in trattamento con interferone beta-1°, a dosaggio trisettimanale; miglioramenti ottenuti dopo due cicli annuali di alemtuzumab erano ancora presenti 2 anni dopo la somministrazione dell'ultima dose.
Natalizumab
Sull’argomento sono state presentati 46 lavori, tra cui:
• Tecniche particolari di risonanza magnetica hanno fornito prove che il trattamento con natalizumab potrebbe promuovere i processi di rimielinizzazione,
• in una presentazione di dati di sorveglianza postmarketing, il dottor Božiæ, rappresentante dell’azienda produttrice Biogen, ha fornito alcuni dati sul rischio di sviluppare l’encefalopatia multifocale progressiva come effetto collaterale del natalizumab. Il rischio secondo questi dati sarebbe inferiore rispetto a quanto si pensava in precedenza. Infatti i dati in questione suggerirebbero un rischio più vicino a 1,2 su 10.000, anziché 1 su 1000
• nelle persone con SM che assumevano natalizumab si sono presentate più frequentemente infezioni da herpes simplex orale rispetto a coloro che non assumevano tale terapia.
Mitoxantrone
Precedenti studi avevano dimostrato che le persone con SM trattate con il mitoxantrone avrebbero un aumentato rischio di sviluppare la leucemia; in particolare hanno valutato che casi di leucemia acuta si erano verificati in percentuali variabili e comprese dal 0,07% al 0,25% in coloro che avevano assunto il mitoxantrone. Il presente studio retrospettivo italiano, condotto su 2.854 persone con SM che avevano ricevuto il mitoxantrone, presentato all’American Academy ha verificato che casi di leucemia si erano verificati nel 0,74%, individuando così valori decisamente superiori rispetto ai dati dei precedenti studi.
Interferone beta-1a(Avonex)
I neurologi continuano a discutere se iniziare i trattamenti per la SM immediatamente dopo i primi sintomi della SM o attendere di avere una diagnosi certa. A tale proposito i dati dello studio CHAMPIONS (Controlled High-Risk AVONEX® (interferon beta-1a) Multiple Sclerosis Prevention Study In Ongoing Neurologic Surveillance), presentato durante l’American Academy, hanno confermato che il trattamento di persone ad alto rischio di sviluppare la SM iniziato dopo i primi sintomi riduce la frequenza di ricadute e la progressione della malattia. Infatti le persone trattate immediatamente dopo il primo episodio con l’interferone beta-1a aveva meno possibilità di manifestare una seconda ricaduta rispetto a coloro in cui il trattamento era iniziato più tardi, inoltre risultati dello studio indicano che a dieci anni dall’inizio del trattamento l'80% di coloro che assumevano AVONEX® erano rimasti entro un valore di 3 alla scala EDSS.
Terapie combinate
Il metilprednisolone è uno corticosteroide, usato nella SM per il trattamento delle ricadute; nello studio danese presentato presso l’American Academy e pubblicato sulla rivista The Lancet Neurology, il metilprednisolone è stato somministrato a cicli, ogni quattro settimane, in trattamento combinato con l’interferone beta 1a. Le persone che nello studio hanno ricevuto entrambi i trattamenti hanno avuto il 38% in meno di ricadute nei tre anni di studio, rispetto a coloro che avevano ricevuto il solo interferone beta 1a. I ricercatori concludono lo studio affermando che questi risultati dovranno essere confermati con ulteriori studi.