Il progetto del Professor Massimo Filippi del San Raffaele è stato selezionato dal bando della Progressive MS Alliance, network internazionale che unisce le forze della comunità scientifica per trovare una soluzione a questo tipo di sclerosi multipla. La nostra intervista
«SPINE» in italiano significa anche «aculeo» ed è l’acronimo di uno degli 11 progetti vincitori del secondo Bando di ricerca della Progressive Multiple Sclerosis Alliance (PMSA). Il progetto in questione, SPinal cord imaging to Identify Novel biomarkers of disease Evolution and treatment monitoring in progressive MS (Imaging del midollo spinale per identificare nuovi biomarcatori dell’evoluzione di malattia e per il monitoraggio dei trattamenti per la sclerosi multipla progressiva) ha il suo ideatore e leader nel professor Massimo Filippi (IRCCS Ospedale San Raffaele e Università Vita-Salute di Milano): lo abbiamo intervistato perché ci aiuti a comprende di cosa si tratta e perché ci si può attendere che sia una sorta di «aculeo», un nuovo ed efficace «punteruolo» per abbattere il muro che ancora impedisce di avere trattamenti specifici per la cura delle forme progressive di SM.
Qual è la direzione fondamentale del vostro progetto di ricerca, ufficializzato come uno dei vincitori del nuovo Bando di ricerca della PMSA?
«Intendiamo individuare, grazie alla risonanza magnetica del midollo spinale, nuovi outcome, cioè nuove misure che possano essere utilizzate per monitorare l’evoluzione della sclerosi multipla progressiva e che possano servire nei trial clinici per valutare l’efficacia di nuove molecole per trattarla».
Perché ritenete che nuovi e determinanti marcatori biologici per imparare a curare le forme progressive di SM si possano individuare nel midollo spinale?
«Il midollo spinale è una sede anatomica critica di fondamentale importanza per il sistema nervoso centrale. Le fibre che costituiscono il midollo sono tutte molto ravvicinate e connesse, così anche un piccolo danno può avere notevoli implicazioni. Quando questo tipo di danno si verifica, colpisce sia la sensibilità che il sistema motorio. Il danno del midollo spinale è particolarmente grave nella SM progressiva, ed è probabile che sia uno dei principali determinanti della disabilità nella SM. Anche per una serie di dati preliminari acquisiti nel nostro laboratorio, riteniamo dunque che uno sviluppo di tecniche per studiare il midollo offra la possibilità di reperire ‘outcome’ significativi sia per le fasi secondarie che per quelle primarie di progressività della SM».
Perché sinora si è studiato poco il midollo spinale?
«Il midollo cervicale, in particolare, è piccolo, ha la misura del dito indice di un adulto. Ha inoltre molte curve, è circondato da liquor, pulsa con il battito cardiaco e si muove quando una persona respira e deglutisce, ed è circondato da strutture ossee e adipose che alterano il segnale di risonanza. Ci sono voluti dieci anni di lavoro per sviluppare sequenze e sistemi di misura che ci permettano oggi di valutare adeguatamente il midollo tramite la risonanza magnetica».
Il vostro progetto si concentra in particolare sullo studio del midollo cervicale, cioè sulla porzione superiore di midollo spinale: perché?
«La porzione cervicale del midollo è quella più frequentemente colpita dalla malattia e più eloquente in termini di sintomatologia clinica. Abbiamo la possibilità di studiare le lesioni focali classiche, le alterazioni microstrutturali nella sostanza bianca apparentemente normale e quelle nella sostanza grigia centro-midollare. Ci troviamo dunque nella condizione di svolgere un ampio studio, che di fatto non esiste ancora in letteratura».
Come avete previsto di articolare lo studio?
«Ci sarà una prima valutazione clinica e di risonanza effettuata al momento dell’ingresso della singola persona con SM nello studio. Seguirà poi una valutazione a un anno di distanza, sia clinica che di risonanza, e un’ultima valutazione solamente clinica a distanza di 4 anni: vogliamo verificare se i dati che raccoglieremo all’inizio saranno predittivi dell’evoluzione futura di malattia; vogliamo inoltre valutare se la velocità con cui una persona accumula il danno del midollo cervicale nel corso del primo anno di studio si rivela predittiva dell’evoluzione di malattia che si andrà a verificare a distanza di 4 anni».
Perché gli studi in risonanza possono velocizzare la ricerca di nuove terapie?
«Per conoscere l’evoluzione clinica della malattia in una persona e per verificare a livello puramente clinico la maggiore o minore efficacia di una terapia occorrerebbe seguire la persona per molti anni. Invece la risonanza magnetica è uno strumento più potente, perché fotografa in tempo reale cosa accade nei substrati biologici di un paziente. Anche se a livello clinico non si osservassero cambiamenti significativi, in 4 anni attraverso la risonanza saremmo in grado di valutare se il rallentamento del danno è significativo e si sta traducendo in un beneficio clinico. Con questo progetto intendiamo dunque mettere a disposizione un “sistema” che consenta di selezionare e valutare nuovi farmaci in tempi relativamente brevi, come è successo negli ultimi 20 anni per le forme di SM a remissione e ricaduta».
Questo progetto verrà necessariamente svolto da un network internazionale: perché?
«Quando cerchiamo biomarcatori realmente utilizzabili non possiamo limitarci a pochi pazienti e, per avere una casistica di persone affette da SM sufficientemente ampia, sono necessari diversi Centri che siano in grado di svolgere questi esami. Per questo, il network che abbiamo costituito comprende, oltre al nostro Centro IRCCS San Raffaele anche i centri di VU Medical Centre di Amsterdam, Hospital Clinic di Barcellona, UCL Institute of Neurology di Londra, Seconda Università di Napoli e Oxford University Hospitals NHS Trust. Abbiamo riunito in questo progetto 6 Centri dotati di expertise eccellente sia nel campo della SM progressiva che dell’imaging».
Una delle sfide che intendete vincere è di arrivare a standardizzare protocolli di ricerca in risonanza sul midollo cervicale: quale il valore di questa ulteriore meta?
«Al momento si utilizzano protocolli ancora diversi tra centro e centro: uno degli scopi di questo studio è anche creare un minimo comune denominatore per lo studio del midollo spinale, come è successo con la pubblicazione di Linee Guida internazionali per lo studio dell’encefalo tramite risonanza magnetica. Il lavoro in network può ottenere frutti che, al di là del singolo progetto, diventino un patrimonio strutturale di tutta la comunità scientifica e che consentano alle persone con SM di avere dalla scienza risposte sempre più rapide ed efficaci».